domenica 28 dicembre 2014

Il filosofo e la chiesa intimidita, di Giulio Meotti


Scruton esamina l’addio di Benedetto XVI e le conseguenze. Un grande pensatore cristiano è stato combattuto con le armi del secolarismo totalitario: consenso e conformismo

“Trovo che le dimissioni di Benedetto XVI siano un segno preoccupante e che non a caso arrivino pochi mesi dopo quelle dell’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, l’altro leader della cristianità occidentale”. Roger Scruton, da buon erede della tradizione pessimista di Edmund Burke, non giudica positivamente la decisione di Papa Ratzinger. E da anglicano, Scruton lega l’uscita di scena del Pontefice a quella di Williams, “il prete più potente e prestigioso del mondo anglosassone”, il capo spirituale della chiesa d’Inghilterra e di settanta milioni di anglicani in tutto il mondo.
Docente alla Saint Andrews University, fra i fondatori della Salisbury Review, la più prestigiosa rivista del conservatorismo inglese, Scruton proviene dalla “Peterhouse Right”, il celebre movimento intellettuale legato a Margaret Thatcher, ed è oggi il più noto filosofo conservatore britannico. “Le dimissioni di Ratzinger sono preoccupanti perché, al di là dei problemi fisici che il Papa possa aver riscontrato, significa che la cristianità è stata intimidita. Il Papa si è dimesso per una debolezza strategica della chiesa e per la sua incapacità di far fronte agli attacchi subiti in Europa dai laici militanti, dalla lobby gay, dalla propaganda sulla pedofilia, dall’Unione europea, dagli intellettuali benpensanti. Si capisce l’intimidazione quando ci si chiede come abbiano fatto i sostenitori del matrimonio gay a creare questa ortodossia abbracciata da tutti i leader politici. Il cattolicesimo è stato intimidito. Quello che Giovanni Paolo II chiamava ‘odio di sé’ io lo chiamo ‘cultura del ripudio’”. George Orwell parlava del totalitarismo come di un tradimento teologico. Dice Scruton che “se nell’impero sovietico il totalitarismo è stato opera della forza, nel mondo occidentale è generato dal consenso. L’entropia minaccia l’Europa”.

Scruton torna al paragone con l’arcivescovo protestante di Canterbury. “Williams è una figura molto simile a quella di Ratzinger, entrambi sono degli intellettuali e purtroppo entrambi sono stati messi sulla difensiva di fronte agli attacchi. Non sono due combattenti”. 
Un ruolo importante nell’attacco alla chiesa l’ha giocato la questione della pedofilia: “Perché il sesso oggi è un grande catalizzatore delle pulsioni anticristiane”, continua Scruton. “I laici sono stati corrotti dall’ossessione sessuale e il liberalismo è diventato un credo intollerante. Non possono credere che qualcuno abbia rinunciato al sesso. Quindi pensano che chiunque sia interessato ai bambini sia interessato ai loro corpi, non alle loro anime. Ovviamente ci sono stati preti che hanno abusato della loro posizione. Ma questa è l’eccezione, non la regola. Inoltre la pedofilia non è un disordine sociale universale di cui lo stato o gli ‘esperti’ debbano trovare una cura”.
Secondo Scruton è invece il diretto risultato della delegittimazione della famiglia. “La famiglia è denunciata come una fonte di oppressione o come una istituzione patriarcale dedita alla subordinazione delle donne. La guerra intellettuale alla famiglia è un prodotto dell’ultima parte del XX secolo. La famiglia è diventata un’istituzione sovversiva in guerra con la cultura sponsorizzata dallo stato. Va a credito della chiesa cattolica il fatto di rifiutarsi di blandire l’autoindulgenza contemporanea. Il Papa ha il dovere di ricordarci quel che siamo”.

“Una sorta di monaco raffinato”
Secondo Scruton il papato di Ratzinger è stato di grande ispirazione. “Benedetto XVI è stato un grande Pontefice, un intellettuale che ha riformulato le verità eterne della chiesa cattolica per il mondo moderno. E’ stato una figura unica fra i papi, una sorta di monaco raffinato. Benedetto XVI ha fermato la distruzione della liturgia iniziata con il Concilio Vaticano II. Una chiesa non è un luogo in cui della gente si riunisce per annunciare l’adesione a certe leggi o per discutere la teologia biblica, è il luogo in cui si incontra Dio. Poi, con la lezione di Ratisbona del 2006, il Papa ha portato il confronto fra islam e cristianesimo a livelli nuovi e senza precedenti. Per Ratzinger si tratta di un confronto esistenziale. Non è importante che sia africano, filippino o europeo, il prossimo Papa deve essere consapevole del ruolo che svolge nella crisi contemporanea”.
Su tutte, la chiesa cattolica è impegnata in una battaglia nella difesa della riproduzione umana. “Una battaglia degna di essere combattuta”, dice infine Roger Scruton. “La forma umana è vulnerabile alla profanazione e al sacrilegio. Fino ad oggi, è sempre stata vista come qualcosa di troppo sacro per metterci sopra le mani, come un dono degli dei. Oggi stiamo cercando di accelerare il processo dell’evoluzione per soddisfare i nostri desideri. E’ stata seriamente posta la ‘soluzione finale’ al problema dell’uomo. L’uomo sembra ridondante”.

Come si fa a essere conservatori, di Richard Newbury

Un filosofo contromano


Il filosofo Roger Scruton rimuove la patina opaca dalle idee e dai comportamenti di una minoranza mondiale con radici antiche. Smonta la neolingua dell’ideologia progressista mainstream. Un libro


Il conservatorismo consiste nell’impedire alle cose di accadere finché non siano prive di pericoli, diceva Lord Salisbury, primo ministro della Regina Vittoria (qui in un ritratto di Winterhalter)
Il conservatorismo consiste nell’impedire alle cose di accadere finché non siano prive di pericoli”: lo diceva il terzo Marchese di Salisbury, grande primo ministro conservatore della Regina Vittoria all’apogeo dell’Impero. Discendeva da Robert Cecil, Lord Burleigh – eminenza grigia e segretario di stato della regina Elisabetta I – il cui nipote, a sua volta segretario di stato, avrebbe in seguito gestito la successione fra Elisabetta Tudor e James Stuart nel 1603.

Non è un caso, quindi, se il filosofo Roger Scruton ha chiamato The Salisbury Review il trimestrale da lui fondato nel 1982 e che ha diretto fino al 2009. Una piattaforma di robusto conservatorismo e un’oasi felice, per il giovane e brillante professore di Filosofia, nel benpensante deserto marxista del Birkbeck College (alla London University), presieduto dallo storico Erich Hobsbawm, impenitente apologeta dell’Urss. The Meaning of Conservatism, pubblicato da Scruton nel 1980, avrebbe rovinato la sua carriera di professore di Estetica nel Regno Unito.

Nonostante il nobile dedicatario della sua rivista, Scruton è ben lontano dall’essere un aristocratico di nascita. La sua famiglia appartiene alla fascia più bassa della middle class di provincia, suo padre era insegnante e sindacalista, e dalle elementari fino a Cambridge Scruton ha usufruito di borse di studio. Nato nel 1944, è stato anche, come molti della sua generazione, un “militante”. Solo che nel suo caso significò insegnare clandestinamente filosofia in Cecoslovacchia, dal 1979 al 1989, ed essere arrestato ed espulso dalla polizia politica. Occupazioni delle università e barricate sulla Rive gauche non facevano per lui. Il suo apprendistato di conservatorismo alla Burke lo fece nella Resistenza, prima che cadesse il Muro. Accadde nel Quartiere latino di Parigi, nel maggio del 1968. “Realizzai improvvisamente che stavo dall’altra parte. Quello che vedevo era un gruppo sregolato di auto indulgenti hooligan della classe media. Quando chiesi ai miei amici che cosa volessero, e che cosa stessero cercando di ottenere, tutto ciò che ottenni come risposta fu quel ridicolo, incomprensibile linguaggio marxista. Ne fui disgustato, e pensai che ci dovesse essere un modo di difendere la civiltà occidentale da tutto quel ciarpame. Ecco quando sono diventato un conservatore. Sapevo di voler conservare e non distruggere le cose”.

Il più recente libro di Roger Scruton, uscito a ottobre, si intitola How to be a Conservative (Bloomsbury) ed è un vero testamento politico. Non si tratta di un manifesto ma di un promemoria per agire in quell’ambito che si trova tuttora “dietro le linee nemiche”. Con poetica coincidenza, è stato appena pubblicato anche The SOE Manual: How to be an agent in Occupied Europe. Desecretato solo oggi, contiene una serie di lezioni di addestramento tenute alla Beaulieu Abbey agli agenti Soe (Special Operation Executive) che furono rigorosamente selezionati, durante la Seconda guerra mondiale, per infiltrarsi – con un cinquanta per cento di possibilità di doversi trovare ad affrontare interrogatori aggressivi e/o la morte – nell’Europa occupata dai nazisti.

In quello stesso spirito, Scruton apre il suo nuovo libro con un avvertimento: “E’ importante essere consapevoli dei termini che abbiamo ereditato da teorie morte. Possono avere autorità, ma possono anche distorcere le nostre percezioni e opprimere la nostra consapevolezza con quella ‘neolingua’ così brillantemente ridicolizzata da Orwell in ‘1984’”. Effettivamente Scruton è “figlio” di Orwell sotto parecchi aspetti; entrambi toccano toni elegiaci nel descrivere l’Inghilterra, che per Orwell era “una famiglia con le persone sbagliate a dirigerla”. Ed entrambi condividono un attaccamento viscerale per il bucolico paesaggio inglese della valle del Tamigi. 

Il primo obiettivo del totalitarismo è annientare la memoria, in modo da controllare il presente e, di conseguenza, il futuro. Il  Common Sense del Common Man è il fondamento della Common Law. In effetti, la Common Law ha rimosso, in successione, il potere arrogante dei baroni feudali nel XV secolo, il potere di una chiesa leale verso lo straniero nel XVI secolo e il potere dell’inaffidabile  “Carlo Stuart, uomo di sangue” che “dichiarò guerra alla sua stessa gente” nel XVII secolo. Cantava la rivolta dei contadini del 1381: “When Adam delved and Eve span / Who was then the gentleman?” (“Quando Adamo zappava ed Eva filava / chi era il nobile allora?”).

Conservatorismo, nell’anglosfera, è la reinterpretazione di antichi diritti, in modo da dare nuovo vigore a un’organica riparazione delle  attuali ingiustizie, che al contempo non lasci da parte né l’eredità dei nostri antenati né i nostri eredi, rompendo con una tradizione vitale. I conservatori non dovrebbero mai sradicare le istituzioni “fino alla radice”, ma dovrebbero potarle per permettere loro una crescita più sana. “Il fatto che sotto la quercia che cresce ci sia una moltitudine di rumorose cavallette non significa che non ci possa essere anche una serena mandria di mucche al pascolo”, riassume sinteticamente Edmund Burke. In effetti, per Burke e Scruton, “un diritto fuori contesto è sbagliato”. 

Il conservatorismo consiste nell’impedire alle cose di accadere finché non siano prive di pericoli, diceva Lord Salisbury, primo ministro della Regina Vittoria (qui in un ritratto di Winterhalter)


In un momento nel quale tutti i partiti politici, volenti o nolenti, si stanno  frammentando e si ritrovano a non essere più rappresentativi, oltre che fuori sincrono con gli istinti della massa delle persone comuni (solitamente conservatrici), nel suo  libro Scruton dimostra il suo rigore filosofico nel modo di affrontare un nuovo cambiamento nelle priorità.

Alla base di qualsiasi pensiero conservatore c’è l’Habeas Corpus, che è anche il precedente giuridico della Common Law (così come della  libertà americana), dal momento che venne incorporato nella Magna Charta (articolo 39), nel 1215. Un articolo, ricorda Scruton, che “rende il governo servitore e non padrone dei cittadini”. Questo è il mito fondatore che tutti, compresi i conservatori, cercano di onorare e osservare attentamente. Winston Churchill, che cambiò due volte partito ed era figlio del politico che fondò la Tory Democracy, dichiarò: “Più indietro si guarda, più lontano si può guardare”. Fu per il suo copioso lavoro di ricerca storica che Churchill vinse il Nobel per la Letteratura nel 1952 (mentre lui voleva quello per la Pace!). Ma infine eccoci qui.

“Non è insolito essere un conservatore. Ma è insolito essere un conservatore intellettuale”, leggiamo nell’incipit di “How to be a Conservative”.  In Gran Bretagna e in America, qualcosa come il settanta per cento degli accademici si definisce “di sinistra”, mentre la cultura corrente è sempre più ostile ai valori tradizionali, e a qualsiasi rivendicazione dei grandi risultati raggiunti dalla civiltà occidentale. I conservatori normali – e molte, se non la maggior parte, delle persone ricomprese in questa categoria – si sentono continuamente dire che le loro idee e i loro sentimenti sono reazionari, pieni di pregiudizi, sessisti, razzisti.

Semplicemente perché sono ciò che sono, vanno contro le regole di inclusione e non-discriminazione. I loro onesti tentativi di vivere autonomamente, crescere le loro famiglie, far parte della comunità, adorare i propri dèi e adottare una cultura radicata e affermata – tutti questi tentativi sono sbeffeggiati e ridicolizzati dalla “Guardian class” (nel senso del giornale progressista inglese). Nei circoli intellettuali i conservatori si aggirano con calma e discrezione, riconoscendosi con uno sguardo come gli omosessuali di Proust, paragonati dal grande scrittore agli dèi omerici, “noti solo l’uno all’altro mentre si aggirano mascherati nel mondo dei mortali”.

“Il temperamento conservatore è una caratteristica nota delle società umane. E’ ovunque così, ma è soprattutto nelle nazioni anglofone che i partiti politici si autodefiniscono conservatori”, che vantano la tradizione inglese della Common Law e che valutano la libertà al di sopra di ogni cosa: ma la libertà di chi, esercitata, definita e circoscritta in quali modi? Questo è ciò che l’ex missionario del conservatorismo nella Cecoslovacchia comunista, dove insegnava clandestinamente filosofia nelle cantine, cerca di delineare.

Roger Scruton. “How to be a Conservative”, pubblicato in ottobre, è il suo libro più recente

Se per il terzo Marchese di Salisbury il conservatorismo significava “ritardare”, per Scruton tutti sono conservatori, nel senso che conservano le cose che conoscono. Ciò divenne chiaro a Scruton osservando suo padre Jack, che vedeva la storia inglese come una infinita lotta di classe, ma che fece della difesa dalla cementificazione suburbana della campagna rurale e del paesaggio tradizionale attorno a Aylesbury lo scopo della propria vita nonché la sua eredità. Siamo tutti conservatori!  
“Qualsiasi sia la nostra religione o la nostra convinzione individuale, siamo gli eredi collettivi di cose rare ed eccellenti, e la vita politica ci offre quello che dovrebbe essere il nostro obiettivo principe, cioè tenere strette queste cose per poterle poi passare ai nostri figli”.

Scrive ancora Scruton, sposando Adam Smith ed Edmund Burke, che “il mercato è in grado di fornire una razionale allocazione di beni e servizi solamente se esiste fiducia fra i partecipanti, e la fiducia esiste solo quando le persone si assumono la responsabilità delle proprie azioni e sono responsabili verso coloro con i quali hanno dei rapporti”. In effetti “alla base di ogni società nella quale l’individualismo ripaga, c’è un fondamento di auto-sacrificio”. “L’errore di ridurre l’ordine politico a mere operazioni di mercato va in parallelo con l’errore del socialismo rivoluzionario, che riduce la politica a un piano”.

Il principio fondante della società non è un contratto. E’ invece più simile all’amore, nella condivisione di un’eredità che appartiene ai morti, ai vivi e a chi deve ancora nascere, nella quale circoscriviamo le nostre richieste, vedendo noi stessi come parte di una catena ininterrotta di dare e ricevere. “Attraverso il loro disprezzo per le intenzioni e le emozioni di quelli che costruiscono cose (scuole, ospedali, chiese), le rivoluzioni hanno sistematicamente distrutto la scorta di capitale sociale, e questo i rivoluzionari lo hanno sempre giustificato con un impeccabile ragionamento utilitaristico: l’Homo oeconomicus entra nel mondo senza un capitale sociale proprio e consuma tutto ciò che trova”. Ma “le importanti tradizioni sociali non sono semplici reliquie casuali, che possono o non possono sopravvivere nel mondo moderno. Esse sono una forma di conoscenza”. I pregiudizi, secondo Burke, rappresentano la saggezza popolare acquisita per osmosi. Usano la prima persona plurale come in “We, the people” (preambolo della Costituzione americana, ndr). Questo ha senso solo se le generazioni future sono ricomprese nella formazione di una società duratura.

Scruton sottolinea quindi l’attuale e pressante bisogno di C/conservatorismo. Rimane da analizzare la verità/falsità per il Conservatorismo delle parole di moda al centro delle polemiche contemporanee: nazionalismo, socialismo, capitalismo, liberalismo, multiculturalismo, ambientalismo, internazionalismo e persino lo stesso conservatorismo.  

Quella crisi fiscale così mal gestita e piena di neologismi appena coniati e già mal digeriti che fu la Rivoluzione francese, ha portato “nazionalismo” a stravincere su tutto, legge e divinità, come primaria obbedienza dei “cittadini”. Con l’aiuto di Napoleone esso diventò virale. Eppure nel Trattato di Roma fu visto dalle nazioni sconfitte come la causa dei loro conflitti interni. 

Ma questa reazione era giusta per un conservatore moderno? Il nazionalismo è pericoloso quanto ogni altra ideologia, specialmente quando diventa una religione. Eppure, nel mondo reale l’identità nazionale è, come la famiglia, una comunità di vicini nella quale è possibile non essere  d’accordo senza che sorgano conflitti all’interno dell’identità stessa. Esiste la possibilità di dissentire. Inoltre, solo la legge che deriva dalla sovranità nazionale può sviluppare la politica del compromesso, dato che tutti viviamo assieme nella stessa casa, e dato che la legge secolare si adatta e le leggi religiose, come la sharia, affermano invece che la legge è imperscrutabile.

“Quando noi facciamo le leggi, e le facciamo per i nostri scopi, dobbiamo essere sicuri di ciò che significano. La sola domanda quindi è: ‘Chi siamo noi?’. Nelle condizioni moderne, la nazione è la risposta a questa domanda, una risposta senza la quale finiamo tutti in alto mare. Un conservatore dovrebbe opporre ferma resistenza a questa ‘cultura del ripudio’”.

Ci sono delle verità nel Socialismo che il Conservatorismo può condividere? “I socialisti credono, in un qualche senso profondo, che gli esseri umani siano tutti uguali e che, quando si parla dei vantaggi conferiti dall’essere parte di una società, l’eguaglianza deve mostrare se stessa nel modo in cui le persone sono trattate”. In realtà i conservatori potrebbero essere d’accordo se si intendesse “eguaglianza di opportunità”. I socialisti, aderendo alla  dottrina della “giustizia sociale”, credono invece a una “eguaglianza di risultato”, in cui la povertà relativa non è una condizione sfortunata ma un’ingiustizia. Per Scruton, “nessuna prima persona plurale può emergere in una società divisa al proprio interno, nella quale gli antagonismi e la guerra di classe eclissano qualsiasi comprensione del destino comune”.

Per Scruton, “la vera perversione del socialismo non va cercata nelle teorie scombinate che affascinavano Marx, e nemmeno nelle teorie di giustizia sociale proposte da pensatori come Rawls. La vera perversione sta in quella peculiare fallacia che vede la società come una realtà nella quale il successo di uno è il fallimento di un altro”. Aggiunge poi che “il socialismo come sprone a rettificare l’ordine esistente dovrebbe avere appeal su tutti noi. Ma come tentativo di rivedere la natura umana… era una fantasia pericolosa, un tentativo di realizzare un paradiso che inevitabilmente avrebbe portato all’inferno”.

E “La verità nel Capitalismo”? “E’ importante essere consapevoli dei termini che abbiamo ereditato da teorie ormai morte. Possono anche avere un’aura di autorità, ma distorcono la nostra percezione… con la neolingua”. Eppure, come dimostrano Hayek e Mises, al contrario di quanto avviene in un’economia pilotata, il prezzo di un prodotto nel libero mercato fornisce informazioni economiche affidabili solo se l’economia è, appunto, libera. Così come l’ordine legale è sorto spontaneamente e non attraverso un piano razionale, così è avvenuto con l’ordine economico. Hume, Smith, Burke e Oakeshott non vedono tensione fra il libero mercato e un ordine sociale tradizionale. Eppure Scruton vede abitudini sessuali e religione come non negoziabili, e quindi senza prezzo. Infatti per lui “nessuna economia di mercato può funzionare senza il supporto di sanzioni legali e morali atte a mantenere gli individui legati ai loro affari, e a riversare il costo del cattivo comportamento su  colui che lo ha causato”.

I conservatori dovrebbero opporsi al mondo dei paradisi fiscali, dei derivati  non tassati, delle aziende che, come i supermercati, costringono altri a pagare parte del vero costo del prodotto non riciclando gli imballaggi, e creando quindi un falso margine competitivo attraverso un trasferimento di costi.

E poi, c’è “La verità del Liberalismo”. La religione è una condizione statica che pretende sottomissione indiscussa; la politica è un processo dinamico che offre partecipazione, discussione e legiferazione basandosi sul consenso. Eppure l’avvento dei “Diritti umani”, specialmente dall’articolo 22 della Dichiarazione in poi, significa ciò che Dworkin definì con “I diritti prevalgono [su tutto]”. Anche se lo scopo originale per i diritti naturali nel liberalismo di Locke era di proteggere l’individuo dal potere arbitrario. Ora nuove concezioni dei diritti umani garantiscono diritti a un gruppo, in modo che lo stesso possa negare diritti a un altro: avete un certo diritto, in quanto membri di qualche minoranza etnica o classe sociale, che non può essere vantato da ogni cittadino.

Si tratta di un cambiamento profondo nella filosofia liberale. La Legge non è più ugualmente libera per tutti, e i conservatori dovrebbero opporsi a tutto questo: “Allo stesso tempo, invece di limitare il potere dello stato, presunti diritti umani hanno cominciato ad aumentare tale potere, e a introdurre lo stato in tutte le nostre dispute, dalla parte del favorito. I diritti, che per il liberale sono il sine qua non della politica pacifica, diventano quindi una dichiarazione di guerra contro la cultura della maggioranza”.

Tutto questo porta Scruton alla “Verità del Multiculturalismo”. Il Conservatorismo come filosofia apolitica venne alla luce con l’Illuminismo, figlio della rivoluzione scientifica, del superamento del conflitto religioso, del sorgere dello stato secolare e del trionfo dell’individualismo liberale, assieme al concetto che i governanti devono rispondere ai governati. “La cultura britannica ha sviluppato una caleidoscopica multicultura; eppure essa è ancora una cultura, che permette alle persone un’ampia gamma di stili di vita, con religione e costumi familiari che rimangono nel privato, pur conservando l’appartenenza alla sfera pubblica attraverso accordi trasparenti e lealtà condivisa. Per questo definisce questo dominio pubblico in termini legali e territoriali”.
“Quindi, cosa succede quando persone la cui identità è fissata da un credo o da un’affinità emigrano in posti governati dalla cultura occidentale?”. A giudizio di Scruton, lasciar loro lo spazio necessario a far fiorire la loro cultura è la ricetta per il disastro. Possiamo dare il benvenuto ai migranti solo se li includiamo nella nostra cultura, non al suo fianco o contro di essa. Ma questo significa dire chiaramente che devono accettare regole, usi e procedure che possono risultare alieni rispetto allo stile di vita precedente. Ma in fondo non è così. Se i migranti arrivano è perché hanno un vantaggio nel farlo, ed è ragionevole, di conseguenza, ricordare loro che c’è anche un costo.

La questione di chi accetta il costo è anche fondamentale per “La verità dell’Ambientalismo”. I Conservatori sostengono la visione di Burke di una società come partnership fra i viventi, coloro che ancora non sono nati e chi non è più in vita; significa credere nella libera associazione di vicini piuttosto che nell’intervento dello stato. L’oikophilia (l’amore per la casa), porta di per sé verso la causa ambientalista: perché, allora, non è stata accolta dai partiti conservatori dell’anglosfera? Secondo Scruton per due ragioni: in primo luogo, la causa conservatrice è stata infiltrata eccessivamente dal Big Business; secondo, la propaganda agitata dagli ambientalisti di sinistra sembra insuperabile e capace solo di portare a interventi internazionalisti che necessitano di rinunce alla sovranità.  

Le grandi imprese sono reattive rispetto alla domanda. Anche noi comunque esternalizziamo i nostri costi e li esportiamo verso gli altri e a carico delle future generazioni, quando prendiamo un aereo o guidiamo un’automobile. Non aggiungendo i costi esternalizzati, neghiamo il vero prezzo di libero mercato e confondiamo il mercato! La soluzione non è di tipo socialista – abolire la libera economia e conferire un enorme potere a una burocrazia che non rende conto di ciò che fa. PENSA GLOBALMENTE, AGISCI LOCALMENTE! Le nazioni sono predisposte ad affermare la loro sovranità, e lo slogan ecologico conservatore dovrebbe essere SENTI LOCALMENTE, PENSA NAZIONALMENTE! Il modello per affrontare la vera minaccia del riscaldamento globale è nella storia della creazione di grandi città industriali, come nella Gran Bretagna del Diciannovesimo secolo, che ha sopportato inizialmente squallore sociale e ambientale. Eppure, nell’arco di due generazioni, grandi riformatori, generalmente conservatori, risolsero il problema dell’inquinamento, riformarono l’istruzione, crearono parchi pubblici e abitazioni salubri. Ciò dimostra che le soluzioni politiche emergono dall’interno e sono plasmate sulle motivazioni della gente reale, non sono imposte dall’alto o dall’esterno.

Arriviamo così alla “Verità nell’Internazionalismo”. “Il Conservatorismo non è, per sua natura, internazionalista, ed è sospettoso di qualsiasi tentativo di controllare la legislazione e il governo della nazione da un posto che si trovi al di fuori dei suoi confini. Riconosce la verità del liberalismo, cioè che il processo politico può essere fondato sul consenso solo se si riconoscono i diritti dell’individuo. Ma l’opposizione, il disaccordo, la libera espressione di visioni provocatorie e il ruolo del compromesso, tutto ciò presuppone un’identità condivisa”.

“Se le democrazie devono difendersi da crescenti minacce, è più necessario che mai adottare una prospettiva nazionale piuttosto che transnazionale. La globalizzazione, la facilità di spostarsi e la rimozione delle barriere alla migrazione hanno cambiato la natura delle minacce. Ma non hanno cambiato l’efficace risposta a esse, che è, come ci ha insegnato Clausewitz, quella di disarmare il nemico in modo da imporgli la nostra volontà. Il nemico è ora nascosto fra le reti globali. Ma questo, lungi dal rendere l’approccio internazionale più utile, lo rende meno utile. I nemici possono essere affrontati solo se prima vengono portati alla luce. Significa portarli alla luce da qualche parte, come gli americani hanno fatto con al Qaida in Afghanistan. La globalizzazione può aver reso più difficile difenderci dagli attacchi terroristici, ma nonostante tutto continueremo a difendere il territorio, il luogo in cui ci troviamo, e a dare la caccia ai nostri nemici nei luoghi in cui essi si trovano”.

“Questa è la direzione che i conservatori sperano di prendere, e uno dei principali ostacoli è il desiderio internazionalista di dissolvere tutti i confini, governando il mondo da nessun luogo”.

Qual è, quindi, per Scruton “La Verità del Conservatorismo? “Il Conservatorismo non ha a che vedere con la correzione della natura umana, e nemmeno con il plasmarla su una qualche concezione di ideale razionale. Esso tenta di capire come funzionano le società, e di fare in modo che vi sia lo spazio necessario affinché esse lavorino con successo. Il suo punto di partenza è nella psicologia profonda della persona umana. La sua filosofia fondamentale non è mai stata colta tanto bene quanto nella ‘Fenomenologia dello Spirito’ di Hegel, nella quale si dimostra come auto-consapevolezza e libertà emergano attraverso l’avventurarsi dell’uno verso l’altro; come le relazioni di conflitto e dominio siano sconfitte dal riconoscimento di reciproci diritti e doveri; e come, nel corso di questo processo, l’individuo non abbia solo libertà di azione ma anche senso dei suoi valori e di quelli dell’altro. Il processo nel quale gli esseri umani acquisiscono la loro libertà costruisce anche i loro legami, e le istituzioni della legge, dell’istruzione e della politica sono parte di ciò: non sono cose che scegliamo liberamente da una posizione di attaccamento, ma cose attraverso le quali acquisiamo la nostra libertà, e senza le quali non esisteremmo come agenti pienamente consapevoli”.

Sono sei i concetti centrali illustrati da Scruton. Il primo è quello che mette in relazione Associazione e Discriminazione. La libera associazione ci è necessaria non solo perché “nessun uomo è un’isola” ma anche perché i suoi valori intrinseci emergono dalla cooperazione sociale. Non sono imposti dall’alto, da un’autorità esterna o dalla paura. Crescono dal basso, attraverso relazioni d’amore, rispetto e reciproca responsabilità. La libertà di associarsi con chi e con ciò che scegliamo, come per esempio le scuole private, surclassa le pretese di “uguaglianza di risultato” così come le rancorose “discriminazioni positive” o “affirmative action”. In realtà l’unica soluzione al problema del risentimento è proprio la mobilità sociale. Le opportunità si arricchiscono non tarpando le ali alle cose, ma lasciandole fiorire, il che significa permettere alle istituzioni autonome di crescere. Nessuno avrebbe immaginato che lo studio decennale del greco e del latino sarebbe stato la perfetta preparazione al multiculturale Impero Britannico. E nessuno avrebbe potuto predire che il lavoro astruso dell’algebra di Boole e della logica di Frege ci avrebbero portato all’èra digitale. Sono solo due esempi dell’utilizzo di cose “inutili” senza pianificazione statale. Sono esempi del Modello Conversazionale.

Secondo ciò che afferma Hayek, l’ordine civico dovrebbe emergere spontaneamente  dalla mano invisibile del nostro relazionarci con gli altri. Deve necessariamente essere consensuale, ma non intenzionale come un contratto, bensì emergere da passi quotidiani che facciamo per apportare migliorie, accomodamenti e correzioni; ciò che Kant definirebbe “atto a uno scopo senza avere uno scopo”. La visione della polis presentata da Aristotele è quella di una società organizzata allo scopo dell’amicizia, nella quale la sua più alta forma, l’amicizia della virtù, è incoraggiata non solo fra individui ma anche fra individui e stato. In ogni caso, come sempre, devono essere evitate le forme estreme, e i conservatori devono rifuggire gli estremi non-discriminanti del pensiero libertario.

E’ il caso della Difesa della Libertà. Non solo per Scruton le forze armate sono “un ordine civile esistente in modo indipendente”, ma lo è anche l’avvocato esperto sia nella legge britannica sia nella Sharia, e il concetto alla base della forza di polizia inglese, che non esiste per controllare l’individuo ma per renderlo libero. “La Common Law è dalla parte del cittadino contro coloro – siano essi politici in ascesa o comuni criminali – che sperano di piegarlo senza tenere conto della sua volontà. E’ questa la concezione della legge alla base della politica conservatrice nel mondo anglofono, ed è ciò che più deve essere difeso, ora, contro le forze che si stanno raccogliendo per combatterlo”.

mercoledì 10 dicembre 2014

Presentazione del libro: LEGGE DI STABILITÀ E FINANZA PUBBLICA IN ITALIA


CREI
Centro di Ricerca
sull’
Economia delle Istituzioni


Presentazione del libro


Legge di Stabilità e finanza pubblica in Italia
e
Gian Cesare Romagnoli (Università Roma Tre)

Indirizzo di saluto:

Francesco Guida, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, Università Roma Tre
Edoardo Marcucci, Direttore del CREI, Università Roma Tre


Interventi:

Roberto Convenevole (Agenzia delle Entrate)

Antonella Palumbo (Università Roma Tre)

Mario Tirelli (Università Roma Tre)


Dibattito

Conclusioni


Mercoledì 17 dicembre 2014, ore 14:30

Aula Tesi (II Piano), via G. Chiabrera 199, Roma (RM)

mercoledì 5 novembre 2014

Cari tedeschi, mollate l'euro, di Marco Valerio Lo Prete

L’economista americano Meltzer tifa per il rigore e ci dice che Berlino deve farsi un euro forte per sé e i paesi nordici. Così si torna a crescere (pure in Italia) senza tradire l’idea di Europa. Se ne parla in Germania


“E in questo caso, come la mettiamo con la Francia?”. Così avrebbe risposto il ministro delle Finanze tedesco, Schäuble, al collega di un altro paese del nord Europa che gli parlava del “piano Meltzer”
Roma. Un euro forte per la Germania e gli altri paesi del nord Europa; un euro debole per i paesi mediterranei e periferici. In questo modo alcuni stati non saranno costretti a sobbarcarsi i debiti altrui, mentre gli altri avranno un’ultima occasione di avviare riforme senza invocare a ogni piè sospinto stampelle esterne. “Euro uno” ed “euro due”: una separazione della moneta unica più consensuale che no, con un prezzo da pagare certo, ma comunque un allontanamento più temporaneo che definitivo. “E in questo caso, come la mettiamo con la Francia?”, ha risposto una volta – scherzando, ma anche no – Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze tedesco, al suo omologo di un paese nordico che gli aveva sottoposto il piano di cui sopra. Un piano che il ministro in questione non aveva inventato da sé, ma letto in un saggio di Allan Meltzer che lo stesso Schäuble aveva compulsato.

Bostoniano classe 1928, a 86 anni Meltzer è conosciuto come l’autore di una monumentale storia della Federal reserve, due volumi, 1.500 pagine in tutto per raccontare la politica monetaria americana fino al 1969. Con tanto di complimenti del Maestro, l’ex governatore Alan Greenspan. Consigliere di Ronald Reagan per due anni, fortemente allergico allo stato, Meltzer è oggi presidente uscente della Mont Pelerin Society, un esclusivo club internazionale di personalità liberali e liberiste già presieduto da Friedrich Von Hayek, Bruno Leoni, Milton Friedman e Kenneth Minogue. Raggiunto dal Foglio, sul siparietto di cui sopra tra i due ministri dell’Eurozona non smentisce nulla, ma si limita a dire: “Non faccio politica, mi capisca. Però so per certo che alcuni ministri europei conoscono bene la mia proposta dei due euro”.

I contenuti prima di tutto, dunque. E’ ancora valida la sua idea, presentata nel settembre 2011 in un intervento sul Wall Street Journal, sotto il titolo “Lasciate l’Europa ai Pigs”, dove per “Pigs” s’intendono i paesi periferici dell’Eurozona (Portogallo, Irlanda o Italia, Grecia e Spagna) ma anche i “maiali”? E se la sentirebbe ancora di “congratularsi” – come fece allora – con Jürgen Stark, a quel tempo capo economista della Banca centrale europea (Bce), e il presidente della Bundesbank, Axel Weber, entrambi dimessisi in malcelato dissenso con le prime scelte espansive della Bce e per “riaffermare i princìpi per cui la Bce era nata”? “Attenersi a dei princìpi è quasi sempre giusto”, risponde secco Meltzer. Intanto però la Federal reserve del suo paese ha appena sancito la fine del Quantitative easing (Qe), o allentamento monetario, uno dei più grandi esperimenti di politica monetaria non convenzionale della storia contemporanea, e la ripresa americana sembra averne beneficiato. “A proposito di princìpi, la Fed non ne ha più. Il Qe2 e il Qe3 sono stati degli errori fondamentali. I problemi degli Stati Uniti non sono monetari, sono reali. Troppe tasse, troppe regolamentazioni, una progressiva criminalizzazione delle corporation. Ecco perché, nel mio paese, gli investimenti latitano”. A suo modo Meltzer fornisce una spiegazione, quantomeno non mainstream, di quella che altri chiamano “stagnazione secolare”, cioè della situazione in cui il cavallo non beve anche se la tinozza d’acqua è stata riempita fino all’orlo (vedi i tassi d’interesse ai minimi storici). “Aggiungo pure che la Fed ha pompato trilioni di dollari nelle banche, eppure sento qualcuno festeggiare per il fatto che non si vede inflazione – dice il professore di Economia politica alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh in Pennsylvania – Io sono convinto però che siamo soltanto a metà della partita, presto banche e istituzioni finanziarie si dovranno liberare di tale liquidità in eccesso nei propri bilanci, superiore ai 2,5 trilioni di dollari, e allora buona fortuna all’America”.

Torniamo a chi, di fortuna, ne avrebbe bisogno qui e ora: l’Eurozona. “Anche per voi, è inutile continuare a chiedere soldi alla Bce guidata da Mario Draghi – dice Meltzer – I vostri problemi sono tutt’altro che monetari. Il punto di fondo è che i prezzi relativi di paesi come l’Italia e la Francia sono oggi troppo superiori rispetto a quelli della Germania e degli altri paesi nordici. Tali prezzi dovrebbero diminuire in Italia e Francia”. Meltzer non crede a un Quantitative easing all’europea o agli Eurobond, innanzitutto perché non li ritiene una scelta saggia. “La Germania da anni tiene una linea che è teoricamente condivisibile. Quel paese negli anni 90 era il malato d’Europa. Poi ha fatto le riforme, soprattutto con il governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, e oggi semplicemente chiede a tutti gli altri europei di fare altrettanto. E’ quanto oggi Berlino vi continua a ripetere, o sbaglio?”. Non sbaglia. Il problema, secondo Meltzer, è che la transizione per arrivare a un’Italia o a una Francia debitamente “riformate”, e un po’ più tedeschizzate, necessita di tempo, è inutile negarlo.

“Le regole dell’economia sanno essere dure come pietre – dice lo studioso – E oggi per l’Eurozona esistono soltanto tre scenari possibili. Nel primo scenario, i paesi del nord spendono e investono molto di più, sostenendo così la domanda interna ai loro paesi e spingendo la crescita degli altri. Non mi pare che accadrà mai”, sintetizza brutalmente lo studioso americano. “Nel secondo scenario, i paesi periferici dell’Eurozona attraversano un periodo di deflazione”. Quella del calo dei prezzi in terreno negativo sarebbe tuttavia una fase “lunga e dolorosa”, al punto che si potrebbe arrivare stremati alla meta che consiste nella riconquista di una competitività a livelli tedeschi. “Oppure, ultimo scenario possibile, si svaluta la moneta dei paesi più deboli. Ma dentro la moneta unica, ovviamente, ciò è vietato”.

Allan Meltzer precisa subito in che senso la proposta delle due aree valutarie in Europa si differenzia dall’idea di una fuoriuscita di un solo paese dall’Eurozona. “Per me la sequenza dovrebbe essere questa: l’euro 2 si svaluta rispetto all’euro 1, le esportazioni dei paesi periferici riacquistano temporaneamente competitività rispetto a quelle dei paesi nordici, la crescita finalmente rifiata e allo stesso tempo si portano a termine radicali riforme strutturali. Da queste ultime nei paesi periferici non si può scappare, ma perché voi le facciate sarebbe saggio innanzitutto lasciarvi tornare a crescere un po’”. Italia e Francia, ripete Meltzer, “dovrebbero svalutare, come hanno sempre fatto dal 1945 a oggi – sorride – ma ora dovrebbero farlo assieme, oltre che per una sola e ultima volta. Soltanto così la separazione dei due euro potrà essere temporanea invece che definitiva”. Meltzer dice di non essere “un fan aprioristico della moneta unica”, eppure riconosce che “l’opinione pubblica europea ha dimostrato in tutti questi anni di essere favorevole al progetto del mercato comune e dell’euro. Ecco, questa mia proposta consentirebbe di sbloccare l’impasse attuale, di tornare a una crescita sostenibile per chi vorrà farlo, e quindi di riunirsi tutti assieme in un ‘euro 3’ o come vorrete chiamarlo”.

Per l’Italia, ha sostenuto anche in passato Meltzer, il gioco varrebbe sicuramente la candela: “La crescita italiana è stata bassa per più di un decennio. La competizione asiatica è stata davvero troppo per molti piccoli produttori di scarpe, tessuti e altri prodotti che l’Italia solitamente esportava. Oggi inoltre il paese continua a sprecare le sue potenzialità spendendo soldi pubblici in trasferimenti decisi dalla politica e a basso valore aggiunto. Una svalutazione della moneta consentirebbe al paese di riallineare i suoi costi alle condizioni globali. A quel punto riduzioni di spesa pubblica libererebbero risorse per usi più produttivi”. Segue una chiosa più personale: “Io sono simpatetico con gli italiani, non sono felice per la situazione che state attraversando”.

Ammettiamo pure che da domani noi italiani avremo l’euro 2 in tasca, e ammettiamo che per qualche ragione il cambio di banconote possa spingere l’establishment italiano a capire il significato dell’espressione “spending review” (o revisione della spesa pubblica). Il passaggio comunque non sarà indolore, per noi come per gli altri paesi periferici: “Di svalutazioni ne avete subite in passato. Pure questa non sarebbe gratis, ovvio. Chi detiene titoli di stato italiani potrebbe subire perdite. Le banche che siano minacciate da fughe di capitali saranno colpite. A quel punto dovranno essere lasciate fallire o potranno chiedere soldi in prestito al governo. Ma le banche devono poter fallire, non si può addossare tutto sulle spalle dei cittadini”. Non ci si poteva attendere altro dall’autore del noto aforisma secondo cui “il capitalismo senza il fallimento è come la religione senza il peccato: non funziona” (“Capitalism without failure is like religion without sin: it doesn’t work”). “Ricordiamo sempre quali sono le due alternative: la Germania e i paesi del nord che rilanciano massicciamente la domanda interna o tradiscono il principio del no-bailout con i soldi dei loro contribuenti, e non vedo come possa accadere. Oppure una prolungata deflazione nei paesi periferici”.

La questione francese

Alcuni degli economisti e degli osservatori interpellati dal Foglio a proposito dell’ipotesi dei due euro, perfino quelli che come lei non chiudono del tutto alla fattibilità economica di questo processo, si bloccano però davanti alla domanda che, secondo la nostra ricostruzione, ha fatto lo stesso Schäuble commentando il suo progetto: “Come la mettiamo con la Francia?”. Replica Meltzer: “E’ vero, i francesi hanno un curioso insieme di convinzioni politiche e culturali che forse li spingerebbe a stare alla larga dall’euro 2. I problemi economici però restano: il tasso di disoccupazione francese non è mai sceso sotto il 10 per cento nell’ultimo decennio; i francesi più ‘smart’ vivono tutti all’estero, tra Londra, Bruxelles e altre capitali. Insomma, l’economia di Parigi è sicuramente molto più vicina a quella di Roma che a quella di Berlino”.

Veniamo infine alla Germania. Meltzer ancora oggi difende la linea “ortodossa” di quanti, a partire dalla Bundesbank, si oppongono a ogni possibile innovazione di politica monetaria o fiscale, nella convinzione che “così gli europei vorrebbero continuare a coprire di soldi i loro problemi, insistendo su palliativi di breve termine”. In un’intervista rilasciata al quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt, nel maggio 2012, l’economista americano dava ragione al giornalista che gli chiedeva cosa ci fosse di male nel desiderio di Berlino di raggiungere il pareggio di bilancio anche a fronte di una crescita anemica: “Ha ragione – replicò Meltzer – Oggi il rapporto debito pubblico/pil è dell’80 per cento. Se la Germania facesse per esempio quello che il Financial Times le chiede di fare ogni giorno con i suoi editoriali, allora entrerebbe in crisi. Il rapporto debito pubblico/pil raggiungerebbe il 100 per cento. Questo non aiuta né la Germania né l’Europa. Inoltre, se la Germania e la Bce perseguissero politiche che aumentano l’inflazione, dov’è che l’aumento dei prezzi sarebbe maggiormente percepito? Questa inflazione si andrebbe a sommare ai problemi attuali, non li attenuerebbe”. Quel che si fatica a comprendere è perché Berlino dovrebbe accettare una partizione dell’euro che, stando a numerosi indicatori, sicuramente non l’avvantaggerebbe, anzi probabilmente la penalizzerebbe considerato che uno degli obiettivi dell’euro 2 è proprio quello di far riguadagnare rapidamente competitività a dei concorrenti industriali e commerciali. Berlino, nella migliore delle ipotesi, perderebbe peso politico in Europa.

Meltzer individua tre ragioni che potrebbero spingere la Germania a pronunciare un inatteso “Auf Wiedersehen” alla moneta unica. Innanzitutto “la situazione economica tedesca è oggi meno rosea di quanto non possa apparire da altri paesi dell’Eurozona che nemmeno riescono a crescere di un punto percentuale di pil all’anno”. Le stime del pil sono state tagliate dal governo stesso, gli indici di fiducia degli imprenditori calano. Però rimangono costi d’indebitamento mai così bassi, anche grazie all’effetto calamita del Bund nei mari tempestosi della finanza; e un euro relativamente sottovalutato rispetto alla propria potenza esportatrice che è maggiore perfino di quella cinese. “C’è una seconda ragione che consiglia un ripensamento pragmatico, ed è la crescita dei movimenti anti europei. Per ora sono minoritari, ma la loro capacità di cambiare gli equilibri politici già si nota. Anche in Germania, dove il sentimento anti europeo si nutre della sensazione che gli accordi fondativi della moneta unica siano stati violati, aggirando per esempio il divieto di salvataggio di stati e banche con i soldi pubblici, cioè dei contribuenti tedeschi”. Lo studioso americano si riferisce ai voti raccolti da Alternative für Deutschland (Afd), al fatto che questo movimento ha drenato i consensi dei liberali dell’Fdp alle ultime elezioni nazionali ed europee, al punto da costringere i cristiano-democratici di Angela Merkel a formare una “grande coalizione” con i socialdemocratici: “Pure la Cdu, così come la Fdp, dovrà mutare posizione sull’atteggiamento da tenere rispetto alla moneta unica”. E non è un caso, forse, che nelle prossime due settimane Meltzer sarà ospite di alcuni incontri a porte chiuse a Francoforte, poi terrà la prestigiosa lecture annuale del Walter Eucken Institut di Friburgo, infine passerà per Bruxelles per confrontarsi in pubblico con l’economista francese Thomas Piketty (“ma credo che alla fine potrebbe dare forfait. D’altronde le sue tesi sono tra le più deboli e sconclusionate che abbia sentito da tempo in tutto il mondo”, dice l’economista americano). Per questo, prima di lasciare temporaneamente la sua Pittsburgh per l’Europa, aggiunge scherzando: “Se in Germania l’avessero dimenticata, la tesi dei due euro, tornerò a ricordargliela presto”. Con un’ultima e convincente ragione dalla sua: “L’euro com’è oggi non funziona. E se qualcuno sostiene che funziona, almeno dovrà ammettere che funziona male. Concepire un meccanismo che porti a una svalutazione in un blocco di paesi tra loro economicamente più omogenei, potrebbe favorire la crescita e, in definitiva, preservare alla lunga il progetto di una moneta unica”.