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"Discorso della flagellazione", di S.M. Luigi XV di Francia e di Navarra
3 marzo 1766

“La magistratura non forma un corpo né un ordine separato
dai tre ordini del Regno; i magistrati sono miei funzionari,
incaricati di sollevarmi dal dovere veramente regale di
rendere la giustizia ai miei sudditi, funzione che li lega alla
mia persona e che li renderà sempre raccomandabili ai
miei occhi.” […]

“Tentare di erigere in principio delle novità così perniciose, è
fare ingiuria alla magistratura, smentire la sua istituzione,
tradire i suoi interessi e disconoscere le vere leggi
fondamentali dello Stato.”

“Come se fosse lecito dimenticare che soltanto nella mia persona
risiede il potere sovrano, il cui carattere peculiare è lo spirito di
consiglio, di giustizia e di ragione; che soltanto da me le mie
corti traggono esistenza e autorità; che la pienezza di tale
autorità, che esse esercitano esclusivamente in nome mio,
rimane sempre in me e il suo uso non può mai essere rivolto
contro di me; che a me soltanto appartiene il potere legislativo,
senza dipendenze, né spartizioni; che soltanto grazie alla mia
autorità i magistrati delle mie corti procedono, non alla
formazione, ma alla registrazione, pubblicazione ed esecuzione
della legge, e che è loro permesso di farmi rimostranze ciò che è
dovere di buoni e fedeli consiglieri; che l’ordine pubblico emana
interamente da me, che ne sono il guardiano supremo; che il
mio popolo fa tutt’uno con me e che i diritti e gli interessi della
nazione, di cui si osa fare un corpo separato dal monarca, sono
necessariamente uniti con i miei e risiedono esclusivamente
nelle mie mani.”

Testamento di re Luigi XVI di Francia e di Navarra

"Nel nome della Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo.

Oggi 25 dicembre 1792. Io, Luigi XVI di nome, Re di Francia, chiuso da più di quattro mesi colla mia Famiglia nel Tempio a Parigi da coloro ch'eran miei sudditi, privo di ogni comunicazione qualunque, e dagli undici in qua del corrente fino colla mia stessa Famiglia, implicato di più in un processo, di cui è impossibile prevederne l'uscita a motivo delle passioni degli Uomini, e di cui non si trova né pretesto, né mezzi di alcuna legge esistente, non avendo che Dio per testimonio dè miei pensieri, a cui possa rivolgermi: Io dichiaro qui in sua presenza le mie ultime volontà, e sentimenti.

Lascio la mia Anima a Dio mio Creatore, pregandolo ad accoglierla nella sua misericordia, di non giudicarla secondo i suoi meriti, ma da quelli bensì del nostro Signor Gesù Cristo che si è offerto in sacrifizio a Dio suo Padre per noi altri Uomini, benché ne fossimo indegni, ed io più di tutti.

Muojo nell'unione della nostra Santa Madre la Chiesa Cattolica, Apostolica, e Romana, che ha la sua Podestà per una successione non mai interrotta dopo S. Pietro, a cui Gesù Cristo l'ha confidata.

Credo fermamente e confesso quanto è contenuto nel Simbolo, i Comandamenti di Dio, e della Chiesa, i Sacramenti, e i Misterj come la Chiesa Cattolica gli insegna, e gli ha sempre insegnati. Non ho mai preteso di farmi Giudice nelle differenti maniere di spiegare i dogmi, che dividon la Chiesa di Gesù Cristo, ma sonomi riportato, e mi riporterò sempre se Dio mi dà vita alla decisioni che i Superiori Ecclesiastici uniti alla Santa Chiesa Cattolica danno, e daranno conformemente alla Disciplina della Chiesa costante da Gesù Cristo in poi.

Compiango di tutto cuore i nostri fratelli, che potessero essere in errore, ma non pretendo però giudicarli, e non gli amo tutti per questo di meno in Gesù Cristo, secondo che la Carità Cristiana ci insegna. Prego Dio a perdonarmi tutti i miei peccati: ho cercato scrupolosamente a conoscerli, a detestarli, e ad umiliarmi in sua presenza. Non potendo servirmi del ministero di un Sacerdote Cattolico, prego Dio di ricevere la confessione che gli ho fatta, e soprattutto il pentimento profondo che ho di aver messo il mio nome (benché ciò fosse contro mia voglia) ad atti che possan esser contrarj alla disciplina, ed alla credenza della Chiesa Cattolica, alla quale sono sempre rimasto sinceramente unito di cuore. Prego Dio di ricevere la ferma risoluzione in cui sono, se mi dà vita, di servirmi tosto che il possa del Ministero di un Prete Cattolico per accusarmi di tutti i miei peccati, e ricevere il Sagramento della Penitenza.

Prego tutti coloro che potessi aver offesi per inavvertenza (poiché non mi ricordo di aver mai fatto scientemente offesa a veruno) o quelli a cui potessi aver dato cattivi esempj, o scandali di perdonarmi il male che credono possa loro aver fatto. Prego tutti coloro che han carità di unire le loro colle mie preghiere per ottenere da Dio il perdono dè miei peccati.

Perdono con tutto il mio cuore a coloro che si son fatti miei nimici, senza ch'io n'abbia loro dato motivo, e prego Dio di perdonare ad essi, come pure a coloro che per un falso zelo, o per un zelo malinteso mi hanno fatto assai male.

Raccomando a Dio mia Moglie, e i miei Figli, la mia Sorella, le mie Zie, e i miei Fratelli, e tutti coloro che mi sono uniti per vincolo di sangue, o per qualunque altro modo possa ciò essere. Prego Dio particolarmente a volgere un occhio di misericordia sopra la mia Moglie, i miei Figli, e mia Sorella che soffrono da lungo tempo con me, di sostenerli colla sua grazia se venissero a perdermi, e fino a tanto che resteranno in questo modo peribile.

Raccomando i miei Figli a mia Moglie. Non ho mai dubitato della sua materna tenerezza per essi; le raccomando sopra tutto di farli buoni Cristiani, ed onest'Uomini, di non far loro riguardar le grandezze di questo mondo (se saran condannati a provarle) che come beni pericolosi, e transitorj, e di voltare i sguardi verso la sola Gloria solida, e durevole dell'Eternità: prego mia Sorella a voler continuare la sua tenerezza à miei Figli, e di tener loro luogo di Madre se mai avessero la disgrazia di perder la propria.

Prego mia Moglie a voler perdonarmi tutti i mali che soffre in grazia mia, e i dispiaceri che potrei averle recati nel corso della nostra unione, com'Ella può esser sicura che nulla ho contro di Lei, dov'ella credesse aver qualche cosa a rimproverarsi.

Raccomando vivissimamente à miei Figli dopo quel che devono a Dio che deve andare innanzi di tutto, di essere uniti sempre fra loro, sommessi, ed ubbidienti alla lor Madre, e grati a tutte le cure, e travagli, ch'ella si prende per essi, e per mia memoria. Li prego a riguardar mia Sorella come un'altra lor Madre.

Raccomando a mio Figlio, se avesse mai la disgrazia di esser Re, di pensare che deve tutto se stesso alla felicità dè suoi concittadini, che deve dimenticarsi d'ogni risentimento, d'ogni odio, e segnatamente di quanto ha rapporto alle disgrazie, ed ai dispiaceri che provo, che non potrà fare giammai il bene dei Popoli, fuorché regnando secondo le leggi; ma al tempo stesso che un Re non può far rispettarle, né fare il ben che vorrebbe se non è rivestito dell'autorità necessaria, e che altrimenti legato nelle sue operazioni, e non ispirando alcun rispetto farà più di danno, che di vantaggio.

Raccomando a mio Figlio di aver cura di tutte le Persone che m'erano attaccate quanto le circostanze in cui si troverà gli permetteranno di fare: di pensare ch'è un debito sacrosanto da me contratto verso i Figli, o i Genitori di quelli che son periti in grazia mia, e poscia di coloro che in grazia mia si trovano in uno stato infelice.

So che tra quelli che m'erano attaccati ve ne son molti, che non si sono condotti a mio riguardo, come doveano, e che mi hanno fino mostrata dell'ingratitudine; ma io perdono loro (spesso in momento di agitazione, e di effervescenza non si è padron di se stessi) e prego mio Figlio se ne ha l'occasione a non ricordarsi della loro disgrazia.

Vorrei poter qui attestare la mia riconoscenza a coloro, che mi hanno mostrato un vero attaccamento senza alcun interesse; se da un canto sono stato commosso sensibilmente alla slealtà, e sconoscenza di alcuni, a cui mai non avea dimostrato che bontà, ed essi personalmente, o ai loro parenti, o amici, sono stato dall'alto consolatissimo in vedere l'attaccamento, e l'interesse gratuito da molte persone mostratomi; li prego tutti a gradire i miei ringraziamenti. Nella situazione in cui tuttavia sono le cose temerei comprometterli se mai parlassi più chiaro; ma raccomando specialmente a mio Figlio di indagar le occasioni per poter riconoscerli.

Crederei calunniare ciò non ostante i sentimenti della Nazione se non raccomandassi apertamente a mio Figlio MM. de Chamilly e Huë che il vero loro attaccamento alla mia persona avea portato a richiudersi meco in questo tristo soggiorno, e che hanno creduto di divenire le vittime disgraziate. Gli raccomando ancora Cléry, delle attenzioni del quale ho avuto tutto il motivo di lodarmi dacché trovasi meco, essendo quegli che è restato con me sin alla fine: Prego i Signori della Comune di consegnargli i miei panni, i miei libri, il mio oriuolo, la mia borsa e gli altri piccoli effetti depositati ai Consiglio della Comune.

Perdono ancora volontierissimo a coloro che mi hanno fatta la sentinella i cattivi trattamenti, e malattie con cui han creduto dover usar meco. Ho ritrovato alcune anime sensibili, e compassionevoli; possano esse godere nel loro animo di quella tranquillità che il loro modo di pensare deve ad essi accordare.

Prego i Signori di Melesherbes, Tronchet, e de Séze a qui tutti ricevere i miei ringraziamenti, e l'espressione della mia sensibilità per tutte le cure, e fastidj che si son dati per me.

Finisco con dichiarare innanzi a Dio, e pronto a comparire alla sua presenza, ch'io non mi rimprovero alcun dei delitti che mi si sono opposti.

Dalla Torre del Tempio, li venticinque dicembre dell'anno mille settecento novanta due.

Luigi"


Quare lacrymae, di Papa Pio VI

Roma, 17 giugno 1793

"Venerabili Fratelli.

1. Come mai le lacrime e i gemiti non soffocano le Nostre parole? Non Ci conviene piuttosto esprimere con i gemiti anziché con le parole quell’immenso dolore dell’animo che Vi dobbiamo manifestare, mentre Vi esponiamo quanto è successo a Parigi il 21 gennaio del corrente anno? Spettacolo orrendo di crudeltà e di barbarie!

2. Per la cospirazione di uomini empi è stato condannato a morte il cristianissimo re Luigi XVI e la condanna è stata subito eseguita. Ma quale processo, e con quale modalità ciò sia stato compiuto, brevemente Vi riferiremo: la cosa è stata condotta a termine dall’Assemblea Nazionale senza alcuna autorità e senza alcun diritto. Infatti, abolita la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica, essa aveva trasmesso ogni pubblico potere al popolo, il quale non si lascia guidare né dalla ragione, né dal consiglio; non fa distinzione fra il giusto e l’ingiusto; apprezza e stima poche cose secondo verità, molte invece secondo l’opinione corrente; è incostante, facile ad essere ingannato e condotto a tutti gli eccessi; è ingrato, arrogante, crudele. Gode nel vedere il sangue umano, la strage, i lutti e lo strazio dei morenti, come si vedeva negli antichi anfiteatri, e se ne pasce voluttuosamente. La parte più feroce di questo popolo, non contenta di aver degradato la maestà del suo Re, volendogli togliere anche la vita, comandò che fungessero da giudici i suoi stessi accusatori che gli si erano dichiarati nemici. Questi, durante lo svolgimento del processo, vollero repentinamente chiamarne altri peggiori, affinché il numero dei giudici favorevoli alla condanna prevalesse sugli altri. Tuttavia non riuscirono ad aumentarne il numero, in modo che il Re fu condannato con un numero di voti inferiore a quello richiesto dalla legge. E da tanti giudici iniqui e perversi, da tanti voti estorti, che cosa ci si doveva aspettare e temere se non un risultato triste, orribile, esecrato per tutti i secoli? Tuttavia, poiché l’orrore per tanta scelleratezza aveva fatto indietreggiare molti, essendo sorta una grande disputa fra i votanti, si decise di ripetere ancora la votazione, il cui esito, sebbene fosse soltanto espressione dei congiurati, fu dichiarato legittimo.
Passiamo qui sotto silenzio altri atti illegittimi, certamente nulli e irriti, che si possono leggere nella dignitosa difesa degli avvocati e qua e là nei pubblici giornali. Tralasciamo anche tutto quello che il Re fu costretto a subire e soffrire prima della pena capitale: la sua lunga detenzione in varie prigioni, dalle quali veniva prelevato talvolta per essere tradotto davanti alle sbarre della Convenzione; l’assassinio del suo confessore; la segregazione dalla sua carissima regale famiglia, e tanti altri generi di tribolazioni per aumentargli la pena e l’ignominia. Davanti ad esse, ognuno che abbia qualche sentimento di umanità non può provare altro che orrore, poiché era ben nota a tutti l’indole soave, benefica, clemente, paziente di Luigi XVI, amante del suo popolo, alieno da rigore e severità, cordiale e indulgente verso tutti.
Fu per questo che ci s’indusse a convocare le Assemblee del regno che venivano insistentemente richieste, e che risultarono poi contro la sua regia autorità e infine contro la sua persona.
Non possiamo tuttavia passare sotto silenzio tutte le virtù che risultano dal suo testamento scritto di suo pugno, che svela l’intimo del suo animo, e che è stato poi divulgato dovunque a mezzo stampa. Quanta virtù in lui; quanto zelo e amore per la Religione cattolica! Quale testimonianza di vera pietà verso Dio! Quanto dolore, quanto pentimento per aver dovuto apporre la sua firma sotto gli atti contrari alla disciplina e alla vera Fede della Chiesa! Venendo quasi sommerso sotto le onde di tante avversità ogni giorno sempre più pressanti, poteva ripetere le parole del re d’Inghilterra Giacomo I: "che egli veniva calunniato in tutte le assemblee popolari non perché avesse commesso qualche crimine, ma soltanto perché era il Re; il che era ritenuto il peggiore di tutti i crimini". Ma tralasciamo un po’ di parlare di Luigi, per portare dalla storia un esempio che si addice pienamente al Nostro argomento e che è provato dalla testimonianza luminosa di onesti scrittori.

3. Maria Stuarda, regina di Scozia, figlia di Giacomo V re di Scozia, e vedova di Francesco II re di Francia, avendo assunto i titoli e le insegne dei re d’Inghilterra, che gl’Inglesi avevano già attribuito ad Elisabetta, come narrano molti storici, quante avversità dovette affrontare da questa sua rivale e dai facinorosi Calvinisti, che le portarono insidie e violenze! Spesso incarcerata, spesso soggetta agli interrogator" dei giudici, rifiutò di rispondere, dicendo che una regina deve rendere conto della sua vita solo a Dio. Vessata continuamente e in tutti i modi, rispose, dimostrò l’infondatezza dei crimini che le erano stati attribuiti e provò la propria innocenza. Ma non per questo, tuttavia, i giudici si astennero dal compiere l’ingiustizia già premeditata e pronunciarono contro di lei la condanna a morte, come fosse irrefutabilmente rea e quella testa regale fu troncata sul palco.

4. Benedetto XIV nel terzo libro sulla Beatificazione dei Servi di Dio, cap. 13, n. 10, ragiona così su questo evento: "Se si dovesse istituire un processo sul martirio di questa Regina, processo che finora non è mai stato disposto, risalterebbe subito un’obiezione evidente contro il suo martirio, desunta dalla sentenza del processo e da tutte le calunnie che contro di lei hanno farneticato gli eretici, specialmente Giorgio Buchanan in quell’infame libello che ha per titolo: "Maria smascherata". Ma se si esamina la vera causa della sua morte, che si riassume nell’odio contro la Religione Cattolica che ella sola, unica superstite, professava in Inghilterra; se si esamina l’invitta costanza con la quale respinse le proposte di abiurare la Religione Cattolica; se si osserva la forza ammirevole con cui sostenne la morte; se si tien conto, come si dovrebbe, che ella protestò prima della decapitazione, e nell’esecuzione stessa, che era sempre vissuta da cattolica e che moriva volentieri per la fede cattolica; se non si omettono, come non devono essere omesse, le evidentissime ragioni dalle quali emerge non solo la falsità dei crimini attribuiti alla regina Maria dai suoi oppositori, ma anche l’ingiusta sentenza di morte, fondata su calunnie ispirate dall’odio contro la Religione Cattolica, perché restassero immutabili i dogmi ereticali nel regno d’Inghilterra; allora si comprenderà che non manca nessuna condizione necessaria per affermare che il suo fu un vero martirio".

5. Sappiamo da Sant’Agostino che "non è il supplizio che fa il martire, ma la causa". Per questa ragione Benedetto XIV si dichiarò propenso a ritenere vero martirio l’uccisione di Maria Stuarda. Egli si chiese "se per il martirio è sufficiente dimostrare che il tiranno fu mosso dall’odio contro la Fede di Cristo, anche se si attribuisce l’occasione della morte ad un’altra causa che non riguarda la Fede di Cristo o vi appartiene soltanto accidentalmente". Risolse il caso affermativamente, indotto dalla ragione che un atto desume la sua specifica natura non da un’occasione o da altra causa impulsiva, ma dalla causa fondamentale. Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall’odio contro la Fede, anche se l’occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede.

6. Ritorniamo ora al re Luigi XVI. Se è grande l’autorità del papa Benedetto XIV, e si deve dare molto peso alla sua opinione quando propende a definire martirio l’uccisione della regina Stuarda, perché anche Noi non dovremmo considerare martirio la morte del re Luigi ? Anche in questo caso vi furono lo stesso attaccamento alla Religione, lo stesso proposito e la stessa ferocia. Deve essere quindi riconosciuto lo stesso merito. E chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede e oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo?
Già da tempo i Calvinisti avevano cercato di abbattere in Francia la Religione Cattolica; ma bisognava prima preparare gli animi. Il popolo doveva essere indottrinato con empie ideologie che essi non desistevano di spargere fra il volgo per mezzo di libelli riboccanti di perfidie ed eccitanti alla rivolta; e per realizzare il loro intento utilizzavano l’opera di perversi filosofi. L’Assemblea generale del Clero Gallicano nell’anno 1745 aveva già condannato questa perniciosa scelleratezza degli artefici di inique dottrine. Noi stessi, all’inizio del Nostro Pontificato, abbiamo denunciato a mezzo di una lettera enciclica indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica la manovra detestabile dei perfidi uomini e il gravissimo pericolo sovrastante, allorché li abbiamo esortati con queste parole: "Togliete di mezzo a Voi il male, cioè, con grande energia e sollecitudine cercate di far sparire dal Vostro gregge tutti questi libri avvelenati". Se avessero avuto esito le Nostre esortazioni e i Nostri ammonimenti, oggi non avremmo a dolerci del progresso di questa congiura contro i re, e della rovina dei regni. Quando questi uomini depravati hanno notato l’esito favorevole della loro opera, e che era già giunto il momento di mettere in esecuzione i loro disegni, cominciarono a sostenere apertamente in quel libro pubblicato nell’anno 1787 che questa affermazione di Ugo Rosario, a meno che non sia qualcun altro l’autore del libro: "È cosa lodevole togliere di mezzo il principe che non vuole aderire alla religione riformata e non vuole partecipare alla difesa della religione dei protestanti".

7. A seguito dell’iniqua affermazione sopra riportata, risulta chiaro a tutti quale sia stata l’origine delle penose sventure alle quali Luigi andò incontro: si è dovuto riscontrare che tali frutti derivavano in Francia dai malvagi libri, come da un albero velenoso. È stato scritto nella Vita dell’infame Voltaire che il genere umano gli doveva essere eternamente grato per essere stato il primo sostenitore della rivoluzione generale, avendo eccitato i popoli a riconoscere le proprie rivendicazioni di libertà e ad usare le proprie forze per abbattere il formidabile bastione del dispotismo, cioè il potere religioso e sacerdotale, sopravvivendo il quale – dicevano – il giogo della tirannide non sarebbe mai stato sconfitto poiché l’una e l’altra autorità sono talmente legate fra loro, che una volta abbattuto l’uno, l’altro doveva necessariamente cadere. E costoro, cantando già vittoria per la fine del regno e per l’abbattimento della Religione, esaltano il nome glorioso di questi empi scrittori, come se fossero i comandanti di schiere vittoriose. E così è accaduto che, con queste arti, hanno attirato dalla loro parte una grande moltitudine di popolo, allettandola sempre più, o meglio illudendola con grandi promesse; hanno percorso tutte le regioni della Francia, servendosi del nome specioso di libertà onde chiamare tutti a raccogliersi sotto queste spiegate insegne e queste bandiere. Questa dunque è quella libertà filosofica che mira al risultato di corrompere gli animi, depravare i costumi, sovvertire l’ordine delle leggi e di tutte le istituzioni. Tale falsa libertà fu condannata dall’Assemblea del Clero Francese quando già serpeggiava fra il popolo con queste fallaci opinioni; Noi stessi nella già ricordata lettera enciclica [Inscrutabile divinae del 25 dicembre 1775] l’abbiamo caratterizzata e definita con queste parole: "Questi perversi filosofi cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che un’immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo".

8. I suddetti agitati difensori del genere umano hanno aggiunto a questo falso e bugiardo nome di libertà l’altro nome parimenti falso di uguaglianza: cioè uguaglianza fra uomini che si costituiscono in società civile, quantunque siano di opinioni diverse, procedano verso direzioni diverse, ciascuno spinto dal proprio arbitrio, e non ci debba essere nessuno che prevalga per autorità e forza, comandi, moderi e richiami dall’agire perverso sulla strada dei doveri, affinché la società stessa, sotto la spinta contrastante di tante fazioni, non cada nell’anarchia e si dissolva, come qualsiasi armonia che si compone dell’accordo di tanti suoni, e se non ottiene un idoneo equilibrio fra strumenti e suoni degenera in rumori confusi e del tutto stonati. Essendosi poi proclamati riformatori degli stessi comandamenti, anzi arbitri della Religione, mentre, secondo l’espressione di Sant’Ilario di Poitiers, la Religione esige il dovere dell’obbedienza, cominciarono essi stessi ad emanare norme e inauditi statuti sulla Chiesa stessa. Da questo laboratorio è uscita quella sacrilega Costituzione che Noi abbiamo rifiutato nella Nostra risposta del 10 marzo 1791 sottoscritta da trenta Vescovi. E qui si può giustamente adattare al caso ciò che scrisse San Cipriano: "Come è possibile che siano gli eretici a giudicare i cristiani, gli ammalati ad occuparsi dei sani, i feriti di chi è rimasto incolume, i peccatori del santo, i rei dei giudici e i sacrileghi del sacerdote?". Che resta ormai alla Chiesa, se non cedere a un insensato?
Coloro che nelle diverse classi dei cittadini rimanevano ancora fedeli al loro credo e costantemente ricusavano di sottomettersi con giuramento alla nuova Costituzione, venivano subito fatti oggetto di malversazioni e destinati alla morte. Si è osato perfino di massacrarli indistintamente; si è infierito barbaramente contro moltissimi uomini di chiesa; sono stati soppressi dei Vescovi, i quali dovrebbero essere circondati di devozione e riverenza, come ha insegnato col suo esempio Cristo Signore che, come dice San Cipriano, "fino al giorno della sua passione rispettò i pontefici e i sacerdoti ebrei, nonostante essi non avessero il timore santo di Dio, né riconoscessero in Lui il Messia".
Una moltitudine di uomini di ogni ceto fu in questo modo soppressa. La pena meno grave fu di cacciarli in esilio in regioni straniere, senza distinzione di età, di sesso, di condizione. Per la verità era stato decretato che ognuno potesse liberamente professare la religione che voleva, come se ogni religione fosse vera e portasse all’eterna salvezza. In realtà era invece proibita la sola Religione Cattolica, e per estirparla si faceva scorrere il sangue per le piazze e le case, come se ogni credente fosse da colpire con pena capitale. Non potevano essere difesi e sicuri coloro che si erano rifugiati nelle regioni d’esilio, perché in quei luoghi venivano arrestati e, ingannati perfidamente, venivano soppressi. Questa è la caratteristica di tutte le eresie, questo il costume degli eretici fin dai primi secoli della storia della Chiesa; e questo è pure confermato dalla tirannica condotta dei Calvinisti, specialmente in Francia, dove con minacce e violenze cercano d’indurre tutti ad accettare la loro confessione.

9. Da questa serie ininterrotta di empie violenze iniziate in Francia, emerge evidente che lo scopo principale di queste macchinazioni era di sfogare l’odio contro la Religione Cattolica; oggi tutta l’Europa ne è agitata e sconvolta e nessuno può negare che questa è stata la causa della morte inflitta al re Luigi. Contro di lui si sforzarono di approntare un cumulo di accuse ispirate da motivi politici, e fra esse spicca tuttavia la principale ragione, cioè quella sua fermezza d’animo con la quale si rifiutò di approvare e sancire il decreto di esiliare i preti cattolici, come pure l’affermazione contenuta nella lettera inviata al Vescovo di Clermont, di voler ristabilire in Francia il culto cattolico appena fosse stato possibile. Forse che tutto questo non vale e non è sufficiente per affermare e stabilire che Luigi è stato un martire? Anche la sentenza capitale contro Maria Stuarda cercava di appoggiarsi su pretese macchinazioni, crimini e congiure contro lo Stato, facendo appena menzione della Religione. Tuttavia Benedetto XIV, disdegnate le menzogne espresse nella sentenza, indicò quale era realmente la principale causa all’origine della condanna, cioè l’odio contro la Religione Cattolica; pertanto esisteva il motivo del martirio.

10. Ma, come si sente dire, contro questo martirio di Luigi c’è chi obietta che egli aveva approvato la Costituzione che era stata da Noi respinta nella Nostra risposta ai Vescovi già citata. Invece parecchie persone ritengono che le cose si siano svolte diversamente e asseriscono che, quando fu presentata al re la Costituzione per essere firmata, egli esitò, raccolto nei suoi pensieri; poi ricusò di firmarla, temendo che quella firma avesse valore di approvazione. Ma quando da uno dei suoi ministri (e se ne fa anche il nome) sul quale egli aveva posto tanta fiducia, gli disse che la sottoscrizione significava soltanto che quello scritto era il vero e autentico testo della Costituzione, affinché Noi, a cui il testo era indirizzato, non avessimo nessun sospetto sulla sua autenticità, per questa semplice ragione fu indotto a sottoscrivere, e ciò confermò nel suo testamento quando scrisse di aver firmato contro la propria volontà. E infatti non sarebbe stato conseguente con se stesso, se avesse poi rigettato costantemente ciò che aveva approvato, non avendo mai voluto firmare il decreto col quale venivano cacciati in esilio quei preti che avevano rifiutato il giuramento; né avrebbe dichiarato al Vescovo di Clermont che egli era deciso a ristabilire il culto cattolico in Francia. Ma in qualunque modo siano avvenuti i fatti (in proposito Noi non assumiamo alcuna responsabilità) anche se concediamo che Luigi abbia approvato con la sua firma la Costituzione o per inganno, o per errore, o per leggerezza, dovremmo variare il Nostro giudizio sul suo martirio? Ce lo vieta quella certa e solenne ritrattazione del Re che ne seguì, e inoltre il fatto – come sopra abbiamo dimostrato – che la morte gli fu inferta in odio alla Religione Cattolica. E questo nulla toglie al Re dell’onore e della gloria del martirio. Analogamente per San Cipriano, che a proposito del Battesimo degli eretici aveva espresso principi contrari alla verità; Sant’Agostino più volte con parole e scritti afferma che Dio lo aveva purificato con la falce del martirio, come si pota un ramo che porta frutta.

11. Non molto diversa la questione sollevata nella Congregazione dei Riti, se era di ostacolo a riconoscere il martirio del gesuita Giovanni de Britto, il fatto che nella missione di Madura aveva usato i cosiddetti riti Cinesi che erano stati proibiti. Gli elettori non esitarono ad esprimersi in senso negativo: cioè il fatto non era per nulla di ostacolo, dato che il servo di Dio nel successivo martirio aveva ritrattato col sangue l’uso di tali riti. Ma i Cardinali si trovarono poi divisi nell’esprimere un decreto favorevole, affinché non si prendesse l’occasione per propugnare in seguito che si vuole recedere dalla proibizione di questi riti. Ma Benedetto XIV rimosse ogni difficoltà, affermando che dalla proclamazione di quel decreto non si poteva dedurre che la Santa Sede intendesse recedere dai decreti dei suoi predecessori, che avevano proibito i riti suddetti. Nello stesso tempo approvava la ritrattazione emessa dal venerabile Giovanni non con l’inchiostro ma col sangue, e dichiarava che l’eccezione che si era posta nella causa di beatificazione del venerabile servo di Dio Giovanni de Britto non doveva ostacolare oltre la discussione sulla vera causa del martirio e ancor più sulla veracità dei segni e dei miracoli che erano stati compiuti con la sua intercessione. Si doveva discutere secondo il decreto emanato e pubblicato il 2 luglio 1741.
Noi, incoraggiati da tale decreto, riconoscendo che la ritrattazione di Luigi era vera e ampiamente provata, scritta non soltanto con l’inchiostro, ma col suo sangue generoso, crediamo di non essere lontani dal parere del Papa Benedetto non per emettere un simile decreto ma per restare nell’opinione che Ci siamo formati sul martirio del Re Luigi, nonostante ci fosse stata – se pure c’è stata – un’approvazione della Costituzione civile del clero.

12. Ahi Francia, ahi Francia! Chiamata dai Nostri predecessori "specchio di tutta la Cristianità e sicura colonna della Fede", tu che nel fervore della Fede cristiana e nella devozione alla Sede Apostolica non hai mai seguito le altre Nazioni, ma le hai sempre precedute! Quanto sei lontana da Noi oggi, con codesto animo così ostile verso la vera Religione: sei diventata la più implacabile nemica fra tutti gli avversari della Fede che mai siano esistiti!
Eppure non puoi ignorare, anche se lo volessi, che la Religione della Fede cristiana è il sostegno più solido dei regni, poiché reprime l’abuso dei potenti e la licenza dei sudditi. Per questa ragione gl’invidiosi nemici del potere dei re, per toglierlo di mezzo, aspirano a sovvertire la Fede cattolica.

13. Ahi Francia, ancora una volta! Tu che hai chiesto di avere un re cattolico, poiché le leggi fondamentali del regno non esigono nessun altro re se non cattolico, proprio perché era cattolico lo hai ucciso!

14. Fu tanto il tuo furore contro il Re, che non ti sei acquietata e saziata neppure con la sua decapitazione. Hai voluto infierire anche sul cadavere; hai voluto che il suo corpo venisse immediatamente sotterrato, senz’alcuna onorata sepoltura. Invece a Maria Stuarda, già estinta, si tributò l’onore dovuto alla sua regale dignità. La sua salma fu portata nella cittadella, imbalsamata e riposta in un loculo già predisposto per la sepoltura. Fu ingiunto ai suoi servi e ai suoi ministri di restare presso di lei con le livree e le insegne della loro dignità, senza cederle a nessuno, finché non si fosse trovata una sepoltura onorevole.
Che cosa hai guadagnato, tu, con tutto il tuo inestinguibile odio, se non disonore e infamia, e da parte dei re e dei principi un’avversione, un disgusto, un odio e un’indignazione ancora maggiori di quelli che arsero contro Elisabetta d’Inghilterra?

15. Oh giorno trionfale per Luigi! Dio gli ha dato la pazienza nella persecuzione, la vittoria nel supplizio! Noi abbiamo la ferma fiducia che tu hai felicemente cambiato una caduca corona regale e i gigli, che in breve sfioriscono, con un’altra corona perenne, intessuta dagli Angeli con gigli immortali.

16. Quello che ora Noi dobbiamo fare secondo il Nostro dovere apostolico, lo desumiamo dalla lettera di San Bernardo al suo discepolo, il Papa Eugenio IV, quando lo esortava "ad adoperarsi con tutte le sue energie perché gl’increduli si convertissero alla Fede, i convertiti non si allontanassero più, e i lontani ritornassero". Abbiamo inoltre davanti agli occhi l’esempio del Nostro predecessore Clemente VI che non cessò di perseguire il crimine dell’assassinio del re di Sicilia, Andrea, infliggendo gravissime pene spirituali contro i cospiratori e gli assassini, come si legge nella sua lettera. Ma che cosa possiamo ottenere da un popolo che non solo disprezzò i Nostri ammonimenti, ma Ci ha insultato con gravissime offese, abusi, ingiurie e calunnie, ed è giunto a un punto tale di audacia e di pazzia da scrivere false lettere con il Nostro nome, nelle quali ha inserito i propri errori? Lasciamo dunque nella sua miseranda depravazione chi vuole perseverare nella sua pertinacia; confidiamo che il sangue innocente di Luigi gridi in qualche modo e interceda affinché il popolo francese riconosca e detesti la propria ostinazione nell’accumulare delitti e consideri le varie e acerbissime pene che Dio, giusto vindice delle scelleratezze, è solito infliggere ai popoli per delitti molto meno gravi.

17. Abbiamo voluto fare queste considerazioni con Voi per averne un po’ di sollievo in una così orribile catastrofe.
Poniamo fine al Nostro discorso invitandovi a celebrare con Noi le solenni esequie per il defunto Re, secondo la consuetudine, anche se i Nostri uffici funebri di suffragio sembrano inutili, avendo egli conseguito, come si crede, il nome di martire. Sant’Agostino afferma che "la Chiesa non prega per i martiri ma piuttosto si raccomanda alle loro preghiere"; tuttavia l’affermazione del Santo si deve applicare non a colui che per giudizio umano è stato ritenuto martire, ma come tale è stato dichiarato dalla Sede Apostolica.
Pertanto, nel giorno che Vi verrà notificato, insieme con Voi, Venerabili Fratelli, celebreremo le pubbliche esequie nella Nostra pontificia cappella per il cristianissimo re Luigi XVI."


Ultima verba della regina Maria Antonietta di Francia e di Navarra

"Questo 16 ottobre alle 4 del mattino,

è l'ultima volta che scrivo, sorella mia, e scrivo a voi. Sono stata or ora condannata non a una morte vergognosa, ché tale essa non è che per i delinquenti, ma ad andare a raggiungere vostro fratello; innocente al pari di lui, spero di mostrare la medesima sua fermezza negli ultimi istanti. Sono calma come si è calmi quando la coscienza non ha nulla da rimproverarsi; ho un profondo rammarico di abbandonare i miei poveri figliuoli; voi sapete che non esistevo che per loro e per voi, mia buona e tenera sorella; voi che, per l'amicizia vostra, avete sacrificato ogni cosa per stare con noi, in che congiuntura vi lascio! Sono venuta a sapere dagli stessi difensori del processo che mia figlia era separata da voi. Ahimè! Povera figliuola, non oso scriverle, non riceverebbe la mia lettera; non so neppure se questa giungerà a voi. Ricevete per loro due, qui, la mia benedizione; spero che un giorno, quando saranno più grandi, potranno ricongiungersi a voi e fruire in pieno delle vostre tenere cure: pensino entrambi a ciò ch'io non ho mai smesso di ispirar loro: che i principi e il compimento dei propri doveri sono la prima base della vita, che la loro amicizia e la loro fiducia reciproca ne farà la felicità, che mia figlia senta come, all'età che ha, deve sempre aiutare suo fratello con i consigli che l’esperienza ch'ella avrà più di lui e la sua amicizia potranno ispirarle, ch'entrambi sentano infine che in qualunque posizione possano venirsi a trovare, non saranno davvero felici che in grazia della loro unione, che prendano esempio da noi, quanta consolazione ci abbia data nelle nostre disgrazie la nostra amicizia e nella felicità si gode doppiamente quando si può condividerla con un amico, e dove trovarne di più tenero, di più vero che nella propria famiglia? Che mio figlio non dimentichi mai le ultime parole di suo padre, che espressamente gli ripeto: non cerchi mai di vendicare la nostra morte. Ho da parlarvi di una cosa penosissima per il mio cuore. So quanto dispiacere deve avervi procurato quel fanciullo: perdonategli, mia cara sorella, pensate all'età che ha e a quanto è facile far dire a un fanciullo ciò che si vuole e perfino ciò che non capisce neppure. Verrà un giorno, spero, in cui egli sentirà ancor meglio il valore delle vostre bontà e della vostra tenerezza per entrambi. Mi resta da confidarvi ancora i miei ultimi pensieri. Avrei voluto scrivere fin dal principio del processo; ma oltre che non mi si lasciava scrivere, le cose si sono svolte tanto rapidamente, che in realtà non ne avrei avuto il tempo.

Muoio nella religione cattolica, apostolica e romana, in quella dei miei padri, in quella in cui sono stata educata e che ho sempre professata; nessuna consolazione spirituale avendo da attendere, ignorando se qui esistano ancora preti di questa religione, senza contare che il luogo ove io sono li esporrebbe troppo se vi entrassero anche una volta soltanto. Chiedo sinceramente perdono a Dio di tutte le colpe che ho potuto commettere da che sono al mondo; spero che, nella sua bontà, vorrà benignamente accogliere gli estremi miei voti, così come quelli che ho fatto da gran tempo ormai perché voglia ricevere la mia anima nella sua grande misericordia e nella sua bontà. Chiedo perdono a tutti coloro che conosco, e a voi, sorella mia, in modo particolare, di tutti i dispiaceri che, senza volerlo, potessi avervi cagionato. Perdono a tutti i miei nemici il male che mi hanno fatto. Dico qui addio alle mie zie e a tutti i miei fratelli e le mie sorelle. Avevo degli amici. L'idea d'esserne separata per sempre e le loro sofferenze sono uno dei più grandi dolori che porto meco morendo; sappiano almeno che, fino all'ultimo istante, penso a loro.

Addio, mia buona e tenera sorella; possa questa lettera giungere fino a voi! Pensate sempre a me, vi abbraccio e bacio con tutto il cuore, così come quei poveri e cari figliuoli. Quanto è straziante, mio Dio, abbandonarli per sempre! Addio! Addio! Ora non mi occuperò più che dei miei doveri spirituali. Siccome non sono libera delle mie azioni, mi condurranno qui, forse, un prete che ha fatto il giuramento, ma io protesto che non gli dirò una parola e che lo tratterò come un essere assolutamente estraneo.

Maria Antonietta"


Proclama del re Francesco II delle Due Sicilie quando lasciò Napoli (6 settembre 1860)

"Fra i doveri prescritti ai re, quelli dei giorni di sventura sono i più grandiosi e solenni, ed io intendo di compierli con rassegnazione scevra di debolezza, con animo sereno e fiducioso, quale si addice al discendente di tanti monarchi.
A tale uopo rivolgo ancora una volta la mia voce al popolo di questa metropoli, da cui ora debbo allontanarmi con dolore. Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei stati, nonostante ch'io fossi in pace con tutte le potenze europee. I mutati ordini governativi, la mia adesione ai grandi principi nazionali e italiani non valsero ad allontanarla, che anzi la necessità di difendere l'integrità dello Stato trascinò seco avvenimenti che ho sempre deplorati. Onde io protesto solennemente contro queste inqualificabili ostilità, sulle quali pronunzierà il suo severo giudizio l'età presente e futura. Il corpo diplomatico presente presso la mia persona seppe, fin dal principio di questa inaudita invasione, da quali sentimenti era compreso l'animo mio per tutti i miei popoli, e per questa illustre città, cioè garantirla dalle rovine e dalla guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni d'arte, e tutto quello che forma il patrimonio della sua grandezza, e che appartenendo alle generazioni future è superiore alla passione di un tempo. Questa parola è giunta l'ora di compierla. La guerra si avvicina alle mura della città, e con dolore ineffabile io mi allontano con una parte dell'esercito, trasportandomi là dove la difesa dei miei diritti mi chiama. L'altra parte di esso resta per contribuire, in concorso con l'onorevole Guardia Nazionale, alla inviolabilità ed all'incolumità della capitale, che come un palladio sacro raccomando allo zelo del ministero. E chieggio all'onore e al civismo del sindaco di Napoli e del comandante della stessa guardia cittadina di risparmiare a questa Patria carissima gli orrori dei disordini interni e i disastri della guerra civile; al quale uopo concedo a questi ultimi tutte le necessarie e più estese facoltà. Discendente di una dinastia che per ben 126 anni regnò in queste contrade continentali, dopo averlo salvato dagli orrori in un lungo governo viceregnante, i miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il suo destino, prospero o avverso, serberò sempre per essi forti e amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia Corona non diventi face di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l'ho irrevocabilmente circondato, quello che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi, forti e felici.

Francesco"


Ultime volontà del re Francesco II delle Due Sicilie
 
"La restituzione del mio non mi adesca; quando si perde un trono, poco importa il patrimonio.
Se l’abbia l’usurpatore o il restituisca, né quello mi strappa un lamento, né questo un sorriso.
Povero sono, come oggi tanti altri migliori di me. Stimo più la dignità che la ricchezza.

Io sono napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto altri paesi, non conosco altro che il suolo natio. Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno: i vostri costumi sono i miei costumi: la
vostra lingua è la mia lingua; le vostre ambizioni le mie ambizioni.
Sono un principe vostro che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra suoi sudditi.

Francesco"



Testamento di Paolo VI



Alcune note
 per il mio testamento
In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.
1. Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce.
Dinanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita.
Parimente sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita, da Te, o Signore, elargitimi: chi nella vita mi ha introdotto (oh! siano benedetti i miei degnissimi Genitori!), chi mi ha educato, benvoluto, beneficato, aiutato, circondato di buoni esempi, di cure, di affetto, di fiducia, di bontà, di cortesia, di amicizia, di fedeltà, di ossequio. Guardo con riconoscenza ai rapporti naturali e spirituali che hanno dato origine, assistenza, conforto, significato alla mia umile esistenza: quanti doni, quante cose belle ed alte, quanta speranza ho io ricevuto in questo mondo!
Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? Come celebrare degnamente la tua bontà, o Signore, per essere io stato inserito, appena entrato in questo mondo, nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica? Come per essere stato chiamato ed iniziato al Sacerdozio di Cristo? Come per aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio, e d’aver avuto l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa, a Roma specialmente, accanto al Papa, poi a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo, e finalmente su questa suprema e formidabile e santissima di San Pietro? In aeternum Domini misericordias cantabo.
Siano salutati e benedetti tutti quelli che io ho incontrati nel mio pellegrinaggio terreno; coloro che mi furono collaboratori, consiglieri ed amici - e tanti furono, e così buoni e generosi e cari!
benedetti coloro che accolsero il mio ministero, e che mi furono figli e fratelli in nostro Signore!
A voi, Lodovico e Francesco, fratelli di sangue e di spirito, e a voi tutti carissimi di casa mia, che nulla a me avete chiesto, né da me avuto di terreno favore, e che mi avete sempre dato esempio di virtù umane e cristiane, che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità, e che soprattutto mi avete aiutato a cercare nella vita presente la via verso quella futura, sia la mia pace e la mia benedizione.
Il pensiero si volge indietro e si allarga d’intorno; e ben so che non sarebbe felice questo commiato, se non avesse memoria del perdono da chiedere a quanti io avessi offeso, non servito, non abbastanza amato; e del perdono altresì che qualcuno desiderasse da me. Che la pace del Signore sia con noi.
E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore.
A te, Roma, diocesi di San Pietro e del Vicario di Cristo, dilettissima a questo ultimo servo dei servi di Dio, la mia benedizione più paterna e più piena, affinché Tu Urbe dell’orbe, sia sempre memore della tua misteriosa vocazione, e con umana virtù e con fede cristiana sappia rispondere, per quanto sarà lunga la storia del mondo, alla tua spirituale e universale missione.
Ed a Voi tutti, venerati Fratelli nell’Episcopato, il mio cordiale e riverente saluto; sono con voi nell’unica fede, nella medesima carità, nel comune impegno apostolico, nel solidale servizio al Vangelo, per l’edificazione della Chiesa di Cristo e per la salvezza dell’intera umanità. Ai Sacerdoti tutti, ai Religiosi e alle Religiose, agli Alunni dei nostri Seminari, ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore.
E così, con particolare riverenza e riconoscenza ai Signori Cardinali ed a tutta la Curia romana: davanti a voi, che mi circondate più da vicino, professo solennemente la nostra Fede, dichiaro la nostra Speranza, celebro la Carità che non muore, accettando umilmente dalla divina volontà la morte che mi è destinata, invocando la grande misericordia del Signore, implorando la clemente intercessione di Maria santissima, degli Angeli e dei anti, e raccomandando l’anima mia al suffragio dei buoni.
2. Nomino la Santa Sede mio erede universale: mi obbligano a ciò dovere, gratitudine, amore. Salvo le disposizioni qui sotto indicate.
3. Sia esecutore testamentario il mio Segretario privato. Egli vorrà consigliarsi con la Segreteria di Stato e uniformarsi alle norme giuridiche vigenti e alle buone usanze ecclesiastiche.
4. Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo.
Per quanto riguarda cose mobili e immobili di mia personale proprietà, che ancora restassero di provenienza familiare, ne dispongano i miei Fratelli Lodovico e Francesco liberamente; li prego di qualche suffragio per l’anima mia e per quelle dei nostri Defunti. Vogliano erogare qualche elemosina a persone bisognose o ad opere buone. Tengano per sé, e diano a chi merita e desidera qualche ricordo dalle cose, o dagli oggetti religiosi, o dai libri di mia appartenenza. Distruggano note, quaderni, corrispondenza, scritti miei personali.
Delle altre cose che si possano dire mie proprie: disponga, come esecutore testamentario, il mio Segretario privato, tenendo qualche ricordo per sé, e dando alle persone più amiche qualche piccolo oggetto in memoria. Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano; e che della corrispondenza ricevuta, di carattere spirituale e riservato, fosse bruciato quanto non era destinato all’altrui conoscenza.
Nel caso che l’esecutore testamentario a ciò non possa provvedere, voglia assumerne incarico la Segreteria di Stato.
5. Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile.
Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso).
La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.
6. E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante. Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore. Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo : si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica. Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.
Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina Bontà. Ancora benedico tutti. Roma specialmente, Milano e Brescia. Alla Terra santa, la Terra di Gesù, dove fui pellegrino di fede e di pace, uno speciale benedicente saluto.
E alla Chiesa, alla dilettissima Chiesa cattolica, all’umanità intera, la mia apostolica benedizione.
Poi: in manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Ego: Paulus PP. VI.
Dato a Roma, presso S. Pietro, il 30 giugno 1965, anno III del nostro Pontificato.
Note complementari
al mio testamento
In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Magnificat anima mea Dominum. Maria!
Credo. Spero. Amo.
Ringrazio quanti mi hanno fatto del bene.
Chiedo perdono a quanti io avessi non fatto del bene. A tutti io do nel Signore la pace.
Saluto il carissimo Fratello Lodovico e tutti i miei familiari e parenti e amici, e quanti hanno accolto il mio ministero. A tutti i collaboratori, grazie. Alla Segreteria di Stato particolarmente.
Benedico con speciale carità Brescia, Milano, Roma, la Chiesa intera. Quam diletta tabernacula tua, Domine!
Ogni mia cosa sia della Santa Sede.
Provveda il mio Segretario particolare, il caro Don Pasquale Macchi, a disporre per qualche suffragio e qualche beneficenza, e ad assegnare qualche ricordo fra libri e oggetti a me appartenuti a sé e a persone care.
Non desidero alcuna tomba speciale.
Qualche preghiera affinché Dio mi usi misericordia.
In Te, Domine, speravi. Amen, alleluia.
A tutti la mia benedizione, in nomine Domini.
PAULUS PP. VI
Castel Gandolfo, 16 settembre 1972ore 7,30.
Aggiunta
alle mie disposizioni testamentarie
Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tomba speciale, né alcun monumento. Qualche suffragio (beneficenze e preghiere).
PAULUS PP. VI
14 luglio 1973



Lettera al padre, di W. A. Mozart


La morte del padre avverrà il mese successivo. E' uno dei documenti più toccanti lasciati da Mozart:

Vienna, 4 aprile 1787
"Dato che la morte (ben riflettendo) è l'ultimo, vero fine della nostra vita, da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con questa sincera e carissima amica dell'uomo, che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terribile, bensì mi appare persino molto tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi dato la fortuna di avere l'opportunità (lei mi comprende) di riconoscere in essa la chiave che apre la porta alla nostra autentica felicità. Non mi addormento mai senza pensare che (per quanto giovane sia) l'indomani forse non ci sarò più. Ma nessuno, tra tutti coloro che mi conoscono, potrà dire che in compagnia io sia triste o di pessimo umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l'auguro con tutto il cuore ad ognuno dei miei simili."


Lontano dagli occhi, di Sergio Endrigo


Che cos'è?
C'è nell'aria qualcosa di freddo
Che inverno non è.
Che cos'è?
Questa sera i bambini per strada
non giocano più.

Non so perchè
l'allegria degli amici di sempre
non mi diverte più.
Uno mi ha det..to che
lontano dagli occhi,
lontano dal cuore,
e tu sei lontana,
lontana da me.

Per uno che torna
e ti porta una rosa,
mille si sono scordati di te.

Lontano dagli occhi,
lontano dal cuore,
e tu sei lontana,
lontana da me.

Ora so
che cos'è questo amaro sapore
che resta di te,
quando tu
sei lontana e non so dove sei,
cosa fai, dove vai.

E so perchè
non so più immaginare il sorriso
che c'è negli occhi tuoi
quando non sei
con me.

Lontano dagli occhi,
lontano dal cuore,
e tu sei lontana,
lontana da me.

Per uno che torna
e ti porta una rosa,
mille si sono scordati di te.

Lontano dagli occhi,
lontano dal cuore,
e tu sei lontana,
lontana da me.

Per uno che torna
e ti porta una rosa,
mille si sono scordati di te.
Lontano dagli occhi,
lontano dal cuore,
e tu sei lontana,
lontana da me. 


Inno alla carità, di San Paolo


Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.

Se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza
e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sarei nulla.

Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,
se dessi il mio corpo per essere arso,
e non avessi la carità,
non mi gioverebbe a nulla.

La carità è paziente,
è benigna la carità;

la carità non invidia, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità;
tutto tollera, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.

La carità non verrà mai meno.

Le profezie scompariranno;
il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà;
conosciamo infatti imperfettamente,
e imperfettamente profetizziamo;
ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto.

Quando ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino.
Da quando sono diventato uomo,
ho smesso le cose da bambino.

Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro;
ma allora vedremo faccia a faccia.
Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,
come perfettamente sono conosciuto.

Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità;
ma la più grande di esse è la carità.

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