sabato 30 luglio 2011

Cosa resta del multiculturalismo dopo gli attentati in Norvegia?

Dopo gli attacchi del 22 luglio scorso in Norvegia, il dibattito sull'integrazione e sul multiculturalismo è tornato di stringente attualità. Ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha detto che "la strage della Norvegia non può far venir meno l'importanza di una discussione sul multiculturalismo senza regole, che ha fallito in Inghilterra e Danimarca sotto gli occhi di tutti". Un dibattito che però non deve essere privo "dei messaggi che possano far rieccheggiare razzismo, xenofobia", riferendosi, neanche troppo velatamente, alle dichiarazioni dell'europarlamentare leghista Mario Borghezio.

Una posizione, quella di Frattini, totalmente diversa da quella del ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli: "Il multiculturalismo non c'entra, quello che 'sbrocca' c'è sempre, a prescindere dalla situazione generale. Tutto sta ad affrontare le questioni con intelligenza e buonsenso. Qui invece si esce da ogni tipo di parametri, diventa una questione di salute mentale". Una posizione che il Foglio aveva spiegato in un editoriale, scrivendo che "liquidare l’eccidio con l’emergenza legata all’islam in Europa, a letture massonico-templari bellicose, al pericolo della critica multiculturale, dare patenti intellettuali a un claustrofobico sanguinario come Breivik, è solo una forma di paranoia intellettuale" (leggi tutto l'editoriale).

La strage di Oslo ha fornito anche alla commissaria europea agli Affari interni, la svedese Cecilia Malmström, l’occasione per stigmatizzare le pulsioni xenofobe. Sacrosanto, ma la commissaria confonde due principi troppo diversi: l'integrazione non è, infatti, il multiculturalismo (leggi tutto l'editoriale).

Inoltre, numeri alla mano, la Norvegia e tutta la penisola scandinava non sembra poi così all'avanguardia nell'accoglienza: nella penisola scandinava, con circa venti milioni di abitanti, ci sono un milione di immigrati residenti o poco più (leggi tutto l'articolo di Roberto Volpi).

"L'incubo della multietnicità", lo chiama Pietrangelo Buttafuoco, perché "a furia di evocare i fondamentalismi, specie quelli fatti ad arte, vi nascono in casa quelli genuini" (leggi tutto l'articolo). Oppure la posizione di Camillo Langone, "cristiano fondamentalista", che "condivide molte delle preoccupazioni di Anders Breivik, specie quelle riguardanti l’islam, il multiculturalismo e l’indifferenziazione sessuale", ma è molto diverso da lui: "Cattiva è la politica immigrazionista bersaglio degli attentati e cattiva la politica identitaria che supplisce alla mancanza di cultura con la violenza. Cattiva è la religione-fai-da-te di cui il copiaincollista Breivik va considerato l’ultimo apostolo, colui che ha portato alle estreme conseguenze il metodo protestante del libero esame (leggi tutto l'articolo).

Il Foglio ha poi raccontato le lacrime dello scrittore e giornalista norvegese Bruce Bawe, che nel delirante manifesto del killer di Utoya è citato venti volte a dimostrazione del fallimento multiculturale: "E’ agghiacciante pensare che gli articoli che ho composto nella mia casa nella parte occidentale di Oslo nel corso degli ultimi due anni venissero letti e copiati da questo futuro assassino di massa. Inoltre è agghiacciante vedere il modo in cui si muove da una preoccupazione legittima per i veri problemi a una ‘soluzione’" (leggi tutta l'intervista).

Il discorso del primo ministro norvegese Jens Stoltenberg alla nazione, pronunciato lunedì sera durante la commemorazione delle vittime degli attentati, è considerato il più importante dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Un manifesto, in cui Stoltenberg ha parlato di "una marcia per la democrazia, per la solidarietà" e soprattutto "per la tolleranza".

mercoledì 20 luglio 2011

Il paradosso dello yen: paese debole, valuta forte

Il paese è sotto minaccia di declassamento del suo debito sovrano da parte delle agenzie internazionali di rating. L'economia resta in recessione: tra breve sarà annunciato quello che tutti si attendono come il terzo trimestre consecutivo con il prodotto interno lordo di segno negativo. Il disavanzo pubblico, già enorme, almeno sul breve termine è destinato sicuramente ad aumentare.

La situazione politica è al collasso, con un premier già virtualmente dimissionario (si è impegnato a lasciare il posto al massimo entro poche settimane) e due maggioranze diverse e litigiose nei due rami del parlamento. La banca centrale ha lasciato intendere che procederà a un ulteriore allentamento della politica monetaria già ultraespansiva, a differenza praticamente di tutte le altre banche centrali del mondo. Si stenta a credere che, in un simile contesto, la valuta di questo paese non sia sottoposta a forti pressioni ribassiste. Al contrario, lo yen è tornato vicino ai massimi di tutti i tempi toccati quattro mesi fa nei confronti del dollaro a quota 76,25: da giorni flirta intorno al livello di 79. Sull'euro, invece, si è avvicinato alla soglia di 110 (qualche anno fa tocco' un minimo intorno a quota 169).

Mentre l'ascesa di molte divise asiatiche trova giustificazione in un crescita economica ancora relativamente robusta e nei rialzi dei tassi decisi dalle banche centrali, il rafforzamento dello yen, secondo la generalità degli analisti, ha una ragione del tutto diversa: chi scommette - e sono in tanti - su un'ulteriore ascesa della valuta nipponica, in realtà, lo fa nella convizione che i problemi dell'Eurozona e quelli degli Stati Uniti non si risolveranno facilmente e rischino anzi di aggravarsi. Lo yen continua a godere dello status di bene-rifugio in alternativa al franco svizzero e ad altri strumenti come l'oro: anche gli speculatori, insomma, si pongono il problema di ogni buon investitore, ossia quello di diversificare gli asset, comprese le attività-rifugio. Qualche banca d'affari, come Nomura, avverte che questa situazione non potrà durare e si attende un sensibile indebolimento dello yen verso la fine dell'anno. Inoltre autorevoli rappresentanti del governo - a partire dal ministro delle finanze Noda -hanno ricominciato il minaccioso tormentone dell'"interventismo verbale": assicurano di seguire con estrema attenzione i movimenti dello yen, che appaiono "unilaterali" e in grado di indebolire una economia ancora convalescente dall'effetto-tsunami.

Proprio nei giorni successivi al terremoto, quando - sempre paradossalmente, sull'aspettative di ampi rimpatri di capitali e per movimenti speculativi - lo yen toccò i picchi sul biglietto verde, Tokyo ottenne un intervento concertato del G-7. La minaccia di nuovi interventi sul mercato dei cambi, dopo questo recente precedente, aleggia, ma comunque non si dovrebbe materializzare prima che lo yen risalga ai massimi storici.

Il vicegovernatore della Banca del Giappone, Hirohide Yamaguchi, ha sintetizzato oggi: «L'ascesa dello yen ha qualche vantaggio, come la dimunuzione dei costi delle importazioni. Ma l'economia giapponese sta emergendo solo adesso dal cedimento seguito al terremoto: dobbiamo quindi monitorare attentamente l'impatto negativo dlelo yen, come un declino delle esportazioni e delle vendite aziendali così come un peggioramento della fiducia delle imprese».

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-07-19/paradosso-paese-debole-valuta-141541.shtml?uuid=AaFcDPpD

martedì 19 luglio 2011

Quote rosa, Emiliano sfida il buonismo: "Le donne? Senza voti", di Bepi Castellaneta

Il sindaco pd di Bari ha una sola assessora in squadra: non è colpa mia se gli elettori non scelgono le candidate


Il timore di fare la fine della giunta Alemanno non lo sfiora nemmeno, il dibattito nel centrosinistra sembra non scaldarlo più di tanto. Insomma il sindaco di Bari, Michele Emiliano, presidente regionale Pd, tira dritto. E, almeno per il momento, non si cura della questione delle quote rosa nonostante nei ranghi della sua squadra di governo figuri una sola donna, l’assessore al Decentramento Annabella De Gennaro. In ogni caso il primo cittadino non rinuncia a rispondere a chi su Facebook chiede quale sia la differenza tra Bari e Roma, visto che le donne chiamate ad amministrare sono pochine anche da queste parti. E, come spesso gli capita, le sue parole sembrano in qualche modo spiazzare il proprio partito.
L’Emiliano-pensiero parte da un principio semplice semplice: tocca agli elettori decidere chi governa. Come dire che governa chi vince le elezioni mentre agli altri tocca stare all’opposizione esercitando una funzione di controllo e garanzia. Un ragionamento che teoricamente non dovrebbe fare una grinza. E invece sta sollevando un polverone on line. «La giunta – sostiene il sindaco di Bari – deve essere per correttezza politica, costruita sulla base delle reali forze in campo e quindi avendo un collegamento con gli eletti». Il rischio, ritiene Emiliano, è che in caso contrario rimangano in campo «solo i pretoriani del sindaco o del presidente e questo è molto peggio della violazione delle quote rosa».
Il primo cittadino non usa mezzi termini. E scrive chiaro e tondo che «molti sindaci e presidenti utilizzano le quote rosa come scusa per non avere in giunta gente che li controlli davvero». A quanto pare le dichiarazioni affidate a Facebook vengono condivise da gran parte del popolo della rete, salvo comunque qualche eccezione colorita: c’è chi invita Emiliano a dimettersi e c’è lui che, sia pure allegando uno «smile» come per riderci su, risponde per le rime invitando l’interlocutore ad andare a farsi un bagno. «Se non hai mangiato», precisa. A parte il folclore telematico, il sindaco racconta come sono andate le cose durante i suoi mandati. E spiega: «Solo la mia lista civica in due diverse elezioni (2004 e 2009) e l’Udc (2009) hanno eletto donne in consiglio comunale a Bari. Una è stata ripescata per scorrimento. Nel 2004 ho messo in giunta sei donne e nessuna di queste è stata eletta nel 2009 e alcune non si sono neppure ricandidate».
Emiliano assicura poi di essere «pronto a mettere in giunta tutte le donne che hanno già collaborato con me e dato buona prova di sé ed anche altre che risultassero meritevoli», ma si pone una serie di domande: «Il bilancio e i regolamenti chi li vota? Come si fa funzionare un Comune senza tener conto dei risultati elettorali? Come si può far politica senza leggi che rendano obbligatoria la parità tra uomini e donne nei consigli comunali, provinciali e regionali?».
Il sindaco si sofferma poi sul futuro: «Se la Regione cambierà la legge elettorale rendendo obbligatoria l’elezione di almeno metà dei consiglieri tra le donne sarà facile per me forzare la mano anche al Comune. So che si sta lavorando per una simile legge e la aspetto con trepidazione. Nel frattempo farò il possibile, ma non sarà facile».

lunedì 18 luglio 2011

Perché i mercati bocciano la manovra. I fatti del giorno

Le borse europee regalano performance pessime

Le piazze asiatiche temono il default degli Stati Uniti

La riapertura di oggi dei mercati non ha accolto nel migliore dei modi la manovra economica del governo votata in via definitiva venerdì scorso alla Camera. Piazza Affari, la piazza borsistica peggiore d’Europa, ha aperto in calo dell’1 per cento, ha registrato ribassi per tutta la giornata, con un picco al ribasso del -2 per cento in tarda mattinata, per poi chiudere a -3,06 per cento. Ad affondare la Borsa sono stati in particolare gli istituti bancari (nonostante la promozione agli stress test della scorsa settimana): il titolo Unicredit è arrivato al -3,55 per cento, Intesa Sanpaolo al -4,04, Mps ha perso il 2,72 per cento, Ubi il 2,61 e il Banco Popolare il 4,52. Ma le performance negative non sono mancate anche al di fuori dei titoli bancari: Parmalat ha ceduto il 5,94 per cento, ed è andata in rosso per la quarta seduta consecutiva, mentre Fonsai è arrivata al -5,05 nel primo giorno dopo la conclusione dell'aumento di capitale. Il divario tra Btp e Bund decennali ha superato i 326 punti verso mezzogiorno.

Tremonti ha incontrato alcuni tra i principali banchieri italiani nella sede del ministero nel capoluogo lombardo, tra cui l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, l'amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni, il presidente di Mps e dell'Abi Giuseppe Mussari, il presidente della Fondazione Cariplo e dell'Acri Giuseppe Guzzetti e il vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona.

Manuela Bravi si è dimessa da capoufficio stampa del tesoro e portavoce del ministro Giulio Tremonti. Era stata ascoltata dai magistrati napoletani che indagano sulla vicenda in cui è coinvolto l'ex consigliere politico del ministro e deputato del Pdl Marco Milanese.

La situazione economica, invece, è stata al centro del vertice tra Berlusconi e Napolitano al Quirinale, a cui ha partecipato anche Gianni Letta. Gli analisti di Goldman Sachs parlano di "un forte segnale sul fatto che l'Italia sta rispondendo alle preoccupazioni del mercato".

Resta tuttavia l'incertezza legata all'aumento dei rendimenti che – si legge nel rapporto – potrebbe rendere "insostenibile per l'Italia il peso del debito pubblico". Ma la giornata in corso sembra essere difficile anche per altre piazze europee: a Londra l'indice Ftse 100 ha ceduto lo 0,7 per cento, a Francoforte il Dax 30 lo 0,8, come il Cac 40 di Parigi, mentre Madrid ha perso lo 0,5 per cento e Lisbona lo 0,8. Un vertice straordinario della zona euro è previsto giovedì a Bruxelles, con l'obiettivo urgente di mettere a punto un nuovo piano di aiuti per Atene. La seduta delle borse asiatiche ha invece risentito del rischio default degli Stati Uniti e delle divisioni tra repubblicani e democratici sulle misure da adottare per ridurre il deficit entro il 2 agosto, dead line per evitare proprio il default. Seul ha subito un deciso ribasso che ha coinvolto Hong Kong, nonostante il balzo registrato da Agricultural Bank of China, che ha trainato l'intero settore. Giù Shangai, Taiwan, che ha chiuso in ribasso dello 0,4 per cento e Singapore.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/9711

domenica 17 luglio 2011

Col tempo imparerò - Mia Martini (testo di Antonello De Sanctis)

Cosa posso dire dei tuoi occhi
Anche a mente li disegnerei
Nei ricordi miei lo sai non invecchi
La tua assenzanon mi lascia mai
Mia capacità di fare a pezzi tutto
Fare il vuoto intorno a me
Adesso che il momento si fa brutto
Perchè tempo non ce n'è

Col tempo imparerò
A non odiare il mondo
Col tempo capirò
Da cosa mi nascondo
E mi riscoprirò
Capace di perdonare chi
Si è preso il tempo mio
Siè preso le carezze
Di cui ho bisogno anch'io
Si è preso le incertezze
Ma forse ho perdonato già

Ma il rimpianto vero è per quel figlio
Che tut non hai voluto avere mai
Seduta aspetterei ogni suo risveglio
E qualche tua espressione gli ruberei
Adesso che la notte scende dietro al monte
Nonostante la miopia
Io scopro già nuove rughe sulla mia fronte
E ne capisco la magia

Col tempo tornerò
Ad aprire le finestre
Per respirare ancora
L'odore di ginestre
E se ci riuscirò
Allora forse nascerò
Nei gesti dei bambini
Del figlio che non ho
Col tempo fra le mani
Amandomi di più
Col tempo forse imparerò.

sabato 16 luglio 2011

Cari preti ribelli…

Il testo qui sotto è una lettera che il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha scritto nell’edizione estiva del periodico “thema kirche” in risposta all’“Appello alla disobbedienza” della “Pfarrer-Initiative”, un gruppo di circa 300 preti austriaci. Nell’Appello la “Pfarrer-Initiative” sfidava apertamente il Vaticano chiamando tutti alla disobbedienza nel nome della libertà di coscienza. I campi sui quali disobbedire sono vari, tra questi il “no” del Vaticano all’ordinazione sacerdotale femminile e il “no” alla concessione della comunione ai divorziati risposati. Ha detto Helmut Schüller, portavoce di “Iniziativa parroci”, che il Vaticano “non può imporre le proprie convinzioni ai preti austriaci”.

Il Foglio oggi ha tradotto e pubblicato integralmente la lettera dell’arcivescovo di Vienna. Eccola:

Care collaboratrici e collaboratori, e questa volta in particolare, cari confratelli nel servizio sacerdotale, i vertici della “Pfarrer-Initiative” hanno pubblicato il 19 giugno un “Appello alla disobbedienza” (www.pfarrer-initiative.at). Ho aspettato a replicare, non volevo che la mia risposta fosse dettata dalla rabbia e dal dispiacere che questo appello ha suscitato in me. Ma questo appello alla disobbedienza mi ha atterrito. E mi chiedo, che ne sarebbe delle famiglie in questo paese se la disobbedienza diventasse virtù? Molti lavoratori si chiedono come sia possibile che la chiesa inciti a propagare e a praticare la disobbedienza, quando sanno per certo che se lanciassero un appello simile sui luoghi di lavoro avrebbero da tempo perso il loro impiego.
Nel momento dell’ordinazione, noi sacerdoti abbiamo promesso, liberamente e senza costrizione, nelle mani del vescovo “rispetto e obbedienza”, a voce alta e chiara abbiamo detto davanti a tutta la comunità dei fedeli: “Si, lo prometto”. Ma questo impegno verrà osservato? Nella mia veste di vescovo ho promesso anche al Papa fedeltà e obbedienza. Io voglio onorare questa parola data anche se ci sono stati momenti in cui non è facile. L’obbedienza cristiana è una palestra di libertà. L’attuazione nella vita reale di quello che noi recitiamo nel Padre nostro, quando preghiamo che la sua volontà sia fatta, in cielo così come in terra. Questa preghiera si riempie di significato e di forza, attraverso la disponibilità interiore di chi prega, di accettare la volontà di Dio, anche nei casi in cui questa volontà si discosti dal proprio modo di vedere. Questa disponibilità si concretizza inoltre attraverso l’obbedienza ecclesiastica verso il Papa e il vescovo. E a volte può richiedere uno sforzo doloroso.
Anche il “masterplan” per la nostra diocesi, il processo avviato dall’Apostelgeschichte 2010 e il piano di sviluppo diocesano si concentrano sulla volontà del Signore. Ma cos’è questa volontà di Dio oggi, in tempi di grandi mutamenti, per noi, per l’arcidiocesi? Pregando insieme, celebrando insieme la festa dell’eucarestia, studiando le sacre scritture, osservando lo sviluppo della nostra società ci sforziamo di riconoscere la volontà di Dio. Il “masterplan” vuole essere il piano del maestro, del Signore.
E proprio qui si inserisce l’“Appello alla disobbedienza”, mettendosi però di traverso. Visto che le riforme chieste dai promotori della “Pfarrer-Initiative” fino a oggi non sono state attuate, e i vescovi, così dicono, non hanno fatto nulla, c’è chi si vede ora costretto “a seguire la propria coscienza e muoversi autonomamente”. Ma se la disobbedienza al Papa e al vescovo diventano una questione di coscienza, questo significa che si è saliti un altro gradino, un gradino che costringe a prendere una decisione chiara. Perché alla coscienza va sempre dato ascolto, quando si tratta di una coscienza formata e autocritica. Il beato Franz Jägerstätter aveva deciso in piena solitudine e rispondendo alla propria coscienza di non servire nell’esercito di Hitler, e aveva accettato di pagare questa decisione con la vita. Il beato John Henry Newman era giunto, dopo anni di profondo tormento interiore, alla certezza che la chiesa anglicana si era allontanata dalla verità, e che la vera chiesa di Gesù Cristo continuava a esistere in quella cattolica. Per questo abbandonò la propria e divenne cattolico. Da ciò consegue che, chi in piena e provata coscienza e convinzione, pensa che Roma abbia imboccato una strada sbagliata, una strada che contraddice gravemente la volontà del Signore, dovrebbe trarne, nel caso estremo le conseguenze estreme, e cioè non percorrere più la via della chiesa romana. Spero e credo però che questa caso estremo non si verifichi.
Non è necessario essere sempre d’accordo con ogni decisione ecclesiastica, soprattutto in ambito disciplinare; ed è anche lecito prendere in alcuni casi decisioni diverse da parte della curia. Ma quando il Papa ripetutamente indica chiare linee guida, ricordando anche l’insegnamento in vigore – per esempio per quel che riguarda i ruoli – allora l’appello alla disobbedienza mette di fatto in discussione la comunità ecclesiastica nel suo insieme. Perché in ultima analisi, ogni sacerdote, così come tutti noi, dobbiamo decidere se vogliamo continuare a percorrere la strada insieme al Papa, al vescovo e alla chiesa oppure no. Certo, è sempre difficile rinunciare ad alcune idee e visioni. Ma chi dichiara nullo il principio dell’obbedienza, dissolve l’unità.
Nella mia lettera pastorale ho sollecitato una via comune. Ho indicato una via molto concreta: che si metta l’evangelizzazione al primo posto, che ci si impegni con tutte le forze, cominciando con l’essere, il diventare, noi stessi discepoli nuovi e migliori di Gesù. Perché è alla luce di questo esempio che “il mondo” riconoscerà se vale la pena seguire Gesù; se essere chiesa di Gesù Cristo ha veramente qualcosa di salvifico. Ed è sotto questa egida che si pongono anche gli sforzi di una riforma strutturale.
Proprio in questa luce non reputo l’“Appello alla disobbedienza” un passo utile. Non appena possibile mi incontrerò per un dialogo costruttivo con i rappresentanti della “Pfarrer-Inititiative”. Farò notare loro alcune contraddizioni insite nel loro “Programma di disobbedienza”, tra queste per esempio il concetto di una “festa dell’eucarestia senza sacerdote” e ancora la definizione sprezzante di “festival liturgici” per gli aiuti sacerdotali. Solo un confronto basato sul reciproco rispetto, come l’abbiamo vissuto con grande soddisfazione durante le tre riunioni diocesane, può aiutarci ad andare avanti.
Sono vescovo da ormai quasi venti anni. Il compito del vescovo è quello dell’unità: l’unità nella propria diocesi, l’unità con il Papa, l’unità con la chiesa. E io assolvo questo compito con grande felicità. Vivo molti momenti belli, ma anche momenti di dolorose ferite. Una di queste ferite è l’“Appello alla disobbedienza”. Io faccio invece appello all’unità, quell’unità chiesta da Gesù Cristo al Padre, e per la quale Gesù fu disposto a sacrificare la vita. Che mi assista ora nel mio compito di mantenere l’unità nell’amore e nella verità.
Un’estate benedetta vi augura il vostro
cardinale Christoph Schönborn

Ai mercati e ai cittadini non basta l’austerity, di Paolo Savona

Lo sviluppo passa per una rivoluzione democratica in Europa

Se la stabilità fiscale, rappresentata dal pareggio del bilancio statale, e la stabilità monetaria, intesa come inflazione che non eccede il 2 per cento, sono i presupposti dello sviluppo, per l’Unione europea si attende un futuro radioso, dato che tra sussurri e grida tutti i paesi membri si stanno adattando a questa politica. Di ciò, però, non paiono convinti i due attori principali del processo: il mercato – forse è meglio dire le agenzie di rating (che ne hanno combinate più di Bertoldo in Francia) – e i cittadini europei. Per mercato e agenzie di rating la soluzione si avrebbe dotando la Banca centrale europea del potere, non l’obbligo, di intervento a tutto tondo, dai cambi al debito pubblico, per fronteggiare ogni genere di speculazione, e gli organi dell’Unione del potere di emettere eurobond entro limiti tali da rilanciare lo sviluppo degli investimenti.

I cittadini europei devono capire che non possono più godere dei vantaggi né d’essere i partner privilegiati degli Stati Uniti, né del restare isolati dai miliardi di cittadini poveri che avevano inseguito l’illusione di creare benessere sotto la bandiera del comunismo. Se vogliono proteggere il loro benessere, devono sapersi adattare alle nuove circostanze e cedere ai popoli arretrati, nel breve periodo, parte del loro potere d’acquisto, per poi recuperarlo accrescendo anno dopo anno la produttività, anche avvalendosi di economie esterne create dall’Unione.

Se non si accetta questa politica capace di conciliare rigore e sviluppo e non la si incorpora in nuovi accordi europei, non si intravvede come l’organizzazione che chiamiamo Unione possa sopravvivere. Continuiamo pure a fare finta che la colpa sia della Grecia, aggiungiamoci Portogallo e Irlanda, allarghiamo alla Spagna e all’Italia la responsabilità del male, ma esso ha radici nelle democrazia europea incompiuta.

Giuseppe Guarino, uno degli ultimi grandi saggi che dovremmo stare a sentire, sostiene che non c’è alternativa a più democrazia nell’Unione europea, anzi ritiene che ci stiamo già muovendo in questa direzione. Spero che abbia ragione, ma ho timore che il movimento, almeno quello di superficie, sia in direzione contraria, cioè dello sfaldamento democratico, dove le scelte di chi ha oggi il potere – e lo vuol proteggere per come è stato organizzato in epoca passata – fanno aggio su quelle di coloro che dovrebbero delegarlo e controllarlo. E ciò accade non solo per motivi interni all’Europa, ivi inclusa ovviamente l’Italia (che ce la mette tutta per non farsi accettare dal mondo). Siamo tutti eterodiretti. Il problema è in che consiste l’“etero” e da chi origina. In ogni caso l’Ue è attaccata dall’esterno, da un nemico per molti versi invisibile, e quando ciò accade è regola saggia che tutte le forze si uniscano.

All’atto della firma del Trattato di Maastricht e del suo corollario, il Patto di stabilità e (non a caso) di sviluppo, l’obiettivo era di mettere le sorti in comune per contare nel mondo e cercare di stare un po’ meglio. E’ andata diversamente. L’unica proposta concreta a favore dello sviluppo è stata quella dei grandi progetti infrastrutturali finanziati con eurobond; per ora questo strumento è usato solo per fronteggiare la speculazione. Un impulso esogeno di spesa sosterrebbe la domanda interna europea, si trasmetterebbe ai consumi, renderebbe meno impellente il ricorso alle esportazioni e meno stringente il vincolo della bassa produttività, dove essa incide sulla mancata crescita.

In questa fase storica i passi importanti da fare sono tre: 1. fronteggiare la speculazione sistemando i debiti pubblici in eccesso con operazioni di finanza straordinaria simili a quelle usate per la grande crisi 1929-33; 2. dare poteri fiscali autonomi (tassazione e emissione di titoli) agli organi dell’Unione su specifiche materie, lasciando il resto delle competenze agli stati-membri; 3. ampliare il mandato della Banca centrale europea, consentendo a essa, senza obbligarla, di intervenire sul mercato dei cambi e sul debito pubblico. In breve, è necessaria una nuova fase costituente europea diversa da quella “dei diritti di cittadinanza” perseguita a Lisbona e poi respinta, fatta di cose concrete che inducano i cittadini a percepirle come utili anche a loro e non solo agli interessi che si sono costituiti attorno all’attuazione dei trattati europei. Lasciando così le cose, la palla di neve, che in questi giorni si è già ingrossata, diverrà valanga.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/9685

venerdì 15 luglio 2011

Ora stop agli sperperi o non cambia nulla, di Vittorio Feltri

Finalmente i due schie­ramenti hanno deci­so di sospendere le ostilità. L'invito alla concordia è piovuto dal Colle ed è stato accolto. Meglio così. Ma dopo?


Breve nota sulle stravaganze del piccolo mondo antiquato della politica. Soltanto una settimana fa, quando l’annunciata manovra tremontiana era contenuta in una quarantina di miliardi, ci fu una reazione indi­gnata dell’intera opposizione e di mezza maggioran­za. Come mai? Era considerata troppo pesante e con­centrata nel 2014, cioè a legislatura scaduta (e quindi tale da strangolare il governo che verrà). Adesso che quei 40 miliardi,strada facendo,sono saliti a 80,guar­da un po’ i casi della vita, sono tutti d’accordo che bi­sogna approvarla subito, oggi stesso, altrimenti si corre il rischio di essere stritolati nelle fauci degli spe­culatori.

Che cosa ha provocato un cambiamento di opinio­ne tanto radicale e repentino? I politici si sono accor­ti che il problema dei problemi è il debito pubblico, che incoraggia i suddetti speculatori (sarebbe inte­ressante sapere chi siano, che faccia abbiano) a fare a pezzi il nostro Paese, distruggendone la finanza. Di conseguenza bisogna dimostrare ai mercati di avere i conti a posto, in modo che lo Stato italiano sia sol­vente, quindi affidabile e inattaccabile. Però, che intuizione hanno avuto i partiti: hanno scoperto adesso, dopo quarant’anni di incosciente gestione della spesa, che per non fallire occorre au­sterità.

Meglio tardi che mai. Finalmente i due schie­ramenti, per fronteggiare l’emergenza, hanno deci­so di sospendere le ostilità,e l’approvazione di quel­la che un tempo sarebbe stata definita «stangata» av­verrà senza intoppi, senza che la minoranza crei osta­coli. L’invito alla concordia (provvisoria) è piovuto dal Colle ed è stato accolto. Meglio così. Ma dopo? Sarà di nuovo rissa per il solito motivo: Silvio Berlusconi se ne deve andare perché la colpa dei casini è esclusi­vamente sua. Scusate, ma se il premier togliesse le tende, il debito pubblico sparirebbe di colpo? Forse vi sfugge che l’indebitamento c’era già nel 1992 e c’era già nel 1982 e anche prima?C’era nonostante non mancassero lo sviluppo e la crescita, ora invocati come una panacea, perché da mezzo secolo spendiamo più soldi di quanti ne incassiamo; e perché una serie di governi incapaci ha badato solo a distribuire risorse trascurando di procurarsele. Un controsenso. Che tuttavia non è ancora stato avvertito come tale.

Infatti qualcuno - molti - è convinto che le leggi finanziarie (o manovre o stangate) non siano soltanto tamponi idonei ad arginare il deficit di un esercizio, ma servano a rilanciare l’economia da cui trarre soldi per pareggiare il bilancio. Pia illusione.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, il Pil volava agli odierni livelli cinesi non grazie alla politica, ma nonostante la politica. Diciamo che la Democrazia cristiana dell’epoca ebbe un grande e unico merito: quello di non intralciare gli imprenditori e di non frustrare la voglia di lavorare degli italiani. Stop. Niente altro. Il famoso boom, mai sufficientemente rimpianto, fu opera della gente, non dei suoi rappresentanti eletti, i quali si limitarono a non ingessare il sistema con regole rigide ed economicamente liberticide.

Dal 1970 in poi è stato declino. Perché il Paese si è intorcinato in una spirale di spese folli per darsi un welfare fuori dalla sua portata. Sperare ora di far ripartire a mille la macchina produttiva con una manovra fiscale, anziché con la deregulation, e col taglio delle spese sociali, che sono poi sperperi, è una ingenuità da boy scout.Immagino l’obiezione del lettore: perché allora il governo non affonda ilbisturi dove è necessario per estirpare il cancro che divora miliardi e miliardi di debito, immancabilmente compensati dall’inasprimento delle imposte? Risposta banale ma esaustiva: domina in tutti gli esecutivi il terrore che, indebolendo il welfare, scoppi la protesta e crolli il consenso per i partiti di maggioranza.

Non parliamo poi della rivoluzione liberale. Non può nemmeno iniziare, figuriamoci se può compiersi. Giusto un paio di giorni or sono, si è provato a sfiorare gli ordini professionali (enti inutili, una palla al piede) e immediatamente sono insorti gli avvocati, di cui è pieno il Parlamento, e addio riforma, addio abolizione dei lucchetti che impediscono l’accesso dei giovani alle professioni.

Siamo contro le corporazioni medievali, e desideriamo abolirle, ma a patto che non si cominci dalla nostra. Meglio colpire i privilegi degli altri. Finché la mentalità sarà questa, chiunque governi dovrà rinunciare a farlo per non scontentare nessuno. E così scontenterà tutti di nuovo.

Il treno da non (ri)perdere

I mercati ci hanno costretto a una manovra migliore. Ora crescere

La manovra di finanza pubblica è migliorata, sia per l’impatto globale sia per la qualità delle singole misure. E nelle ultime ore pare migliorata anche la strategia di comunicazione del ministero dell’Economia e del governo. I tagli delle spese assistenziali per 15 miliardi a valere sul 2014 vengono inseriti da subito nella manovra e a essi si aggiungono altri 5 miliardi di riduzioni delle agevolazioni fiscali per tenere conto del probabile aumento dell’onere per interessi sul debito pubblico. Ciò viene garantito mediante una clausola di salvaguardia, per cui le agevolazioni saranno tagliate del 20 per cento se non si attuerà la delega al taglio delle spese assistenziali.

Dal punto di vista della qualità, vi è la correzione del bollo sui depositi di titoli: l’aumento non si applica sino a 50 mila euro, e al di sopra viene graduato sulla base degli importi. Per le pensioni fra 1.600 e 2.300 euro c’è la rivalutazione del 70 per cento per l’inflazione, solo al di sopra di questa soglia non c’è rivalutazione. Saranno premiati i comuni virtuosi e saranno riviste le norme sugli ammortamenti delle concessionarie di beni pubblici. I minori introiti vengono recuperati soprattutto facendo partire dal 2013 l’innalzamento dell’età pensionabile, poi grazie a un contributo di solidarietà per le pensioni sopra i 90 mila euro, e reintroducendo i ticket sulle visite mediche. Il ministero dell’Economia ha spiegato che la manovra, tenendo conto degli effetti strutturali delle misure che entrano in vigore con il tempo, vale 3 miliardi nel 2011, 6 nel 2012, 25 nel 2013 e 45 nel 2014.

Tutti questi mutamenti, di fatto abbastanza positivi, sono avvenuti con rapidità ed efficienza – almeno finora, visto che oggi la manovra passa alla Camera dei deputati – soltanto perché i mercati hanno messo sotto pressione il nostro debito con operazioni speculative, certo discutibili, ma che segnalano un malessere. Senza questa pressione ci sarebbe stato il solito tira e molla. Occorre ribadire, dunque, che è bene che il debito pubblico sia esposto ai giudizi del mercato, anche se ciò non esclude che vadano ritoccate le regole che riguardano le agenzie di rating. Resta il fatto che i mercati sono preoccupati non tanto dal nostro deficit di bilancio, contenuto, ma dalle nostre prospettive di crescita, troppo magre. E’ su questo che governo e Parlamento non possono di nuovo sbagliare i tempi per l’intervento.

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giovedì 14 luglio 2011

La legge sul testamento biologico è un'occasione persa, di Sandro Bondi

Al direttore - L’approvazione da parte della Camera dei deputati del disegno di legge sul testamento biologico è innanzitutto una occasione persa per i cattolici. L’Italia era l’unico paese in Europa nel quale la tutela di alcuni principi fondamentali, fra cui primariamente la difesa della vita, la condanna dell’eutanasia e la rinuncia all’accanimento terapeutico, potevano essere sanciti attraverso una intesa fra credenti e non credenti. Questa straordinaria opportunità, che era stata offerta dall’emendamento proposto dall’on. Mazzarella, un uomo di fede vera e autentica, un tempo si sarebbe detto fratello nella fede, è stata sprecata per un eccesso di politicismo e fondamentalmente a causa del timore di sperimentare un dialogo vero e fecondo, che purtroppo afferra anche una parte dell’organizzazione ecclesiastica. Per le responsabilità politiche che ancora ricopro all’interno del Popolo della libertà, con questa lettera, che Le indirizzo soprattutto come testimonianza umana e personale della mia fede cristiana, non intendo più tornare su una questione che pure mi coinvolge anche emotivamente. Con affetto.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/9658

Udinese, dalle cessioni 65 milioni in cassa. Il segreto è una rete di osservatori che non sbaglia un colpo, di Dario Pelizzari

Alexis SanchezAlexis Sanchez

Che problema c'è? In un paio di giorni hanno detto addio all'Udinese tre dei protagonisti della straordinaria stagione appena conclusa, Sanchez, Inler e Zapata, ma il tecnico Guidolin non si scompone: «Ne arriveranno degli altri», ha risposto a chi si preoccupava del ridimensionamento di una squadra che tra qualche mese si farà bella la sera per gli appuntamenti di Champions.

Nessuna sorpresa, dunque, a Udine sono abituati così, vendono al miglior offerente i gioielli di famiglia che hanno contribuito a fare grandi e tornano sul mercato per dare fiducia a giocatori che le big del pallone europeo non seguono da vicino perché campioni non sono ancora e mai potrebbero diventarlo.

Quaranta milioni per Alexis Sanchez, che in Spagna considerano ormai di proprietà del Barcellona, sedici milioni per Gockhan Inler, presentato dal Napoli ieri l'altro con tanto di sorpresa finale, nove milioni o giù di lì per Cristian Zapata, che i sottomarini gialli del Villareal non vedono l'ora di accogliere a braccia aperte. Sessantacinque milioni in entrata in pochi giorni, altro che mercato in uscita, ad Udine la famiglia Pozzo gongola di gioia per un conto corrente che si fa sempre più ricco ed entusiasmante. Soprattutto, se si considera il denaro che solitamente i Pozzo riservano per il mercato in entrata. Per carità, sempre di diversi milioni di euro a stagione si parla, ma il bilancio tra quello che esce e quello che entra è roba da studiare ad Harvard per il talento che gli imprenditori friulani hanno dimostrato di avere in materia di affari.

Senza andare troppo lontano, è sufficiente dare un'occhiata ai numeri che riguardano gli ultimi tre giocatori ceduti, Sanchez, Inler e Zapata. Il cileno è stato acquistato nel 2007 dal Deportes Cobreloa per 3 milioni di euro. Oggi, ne vale 40. Sempre nel 2007 i Pozzo hanno prelevato lo svizzero Inler dal Zurigo. Volete sapere per quanto? Un milione di euro. Ne hanno guadagnati in quattro anni la bellezza di 15. Zapata è arrivato ad Udine nel 2005 dal Deportivo Calì. Somma versata per l'operazione: 500 mila euro. Facile fare i conti. Per loro, l'Udinese ha investito circa 4,5 milioni di euro, mentre dalla cessione ne ha incassati quasi 65. Se non è un esempio straordinario di gestione aziendale, beh, ditemi voi come si chiama.

Il segreto di questo successo? Semplice, una rete di osservatori sparsi in tutto il mondoche conoscono il calcio e le sue più strette divagazioni come pochi altri. A capo della struttura tecnica dei friulani c'è il direttore sportivo Fabrizio Larini, che nel giugno 2010 è subentrato a Sergio Gasparin, per qualche mese ds della Sampdoria prima di essere messo da parte dalla famiglia Garrone. Cambiano gli uomini, non cambia la strategia: investire sul domani per fare bene ed incassare oggi. Insomma, ci si diverte con le tasche piene, meglio di così.

A proposito di acquisti che non dicono nulla ai più eppure promettono faville, ecco l'elenco dei giocatori finora acquistati dall'Udinese: Mangala (Standard Liegi), Neuton (Gremio), Sissoko (Troyes), Doubal (Young Boys), Larangeira (Palmeiras) e Piriz (Nacional Montevideo). Scommettiamo che fra qualche anno qualcuno andrà a bussare alla porta di casa Pozzo per avere uno di loro in cambio di molti, moltissimi quattrini?

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-13/udinese-cessioni-milioni-cassa-145304.shtml?uuid=AaZqConD

mercoledì 13 luglio 2011

Ecco come arrivare subito al pareggio, di Roberto Perotti e Luigi Zingales

La reazione dei mercati purtroppo ci ha dato ragione: l'Italia ha bisogno di misure radicali e credibili. La nostra proposta (avanzata sul Sole 24 Ore di sabato 9 luglio) di azzerare subito il disavanzo è stata criticata su due aspetti: non pensa alla crescita e non è fattibile. È vero esattamente l'opposto.

Le liberalizzazioni invocate da tanti sono necessarie e benvenute, ma hanno effetti incerti e richiedono tempo. A nostro avviso rilanciare la crescita richiede interventi draconiani che cambino l'equilibrio di rassegnazione in cui vive il Paese. Oggi i giovani migliori vanno all'estero perché in Italia non vedono un futuro, sono scoraggiati dal clientelismo e parassitismo alimentati dall'enorme sottobosco al confine tra economia e politica. Se la politica del rigore di bilancio pulisce questo sottobosco, elimina la fonte delle rendite politiche, e dà un segnale di una svolta politica e morale, allora non solo non riduce la crescita economica, ma l'aumenta.

Per riuscire in questo doppio intento non bastano manovre marginali, come 10 euro di ticket medico in alcune regioni e per alcune prestazioni, o buone intenzioni come la lotta all'evasione. Queste misure, pur non prive di effetti, non sono comprensibili o credibili all'estero e non danno un segnale di svolta al Paese. Ci vogliono misure radicali. Per essere concreti, e senza la pretesa di essere esaustivi per il poco tempo a disposizione, proviamo ad abbozzare una serie di proposte di questo tipo, che raccolgano anche i 60 miliardi necessari per il pareggio di bilancio.

1 Privatizzazioni per almeno 140 miliardi con un risparmio di circa 5 miliardi di interessi l'anno.
Abbiamo fatto un rapido calcolo di quanto si potrebbe ricavare dalla privatizzazione delle maggiori aziende: Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Finmeccanica, Fintecna, Cassa depositi e prestiti, Rai. Queste privatizzazioni (e quelle di molte altre partecipate) non solo ridurrebbero la spesa per interessi, ma darebbero un segnale molto forte ai mercati e agli italiani, e toglierebbero il terreno sotto i piedi al clientelismo, all'inefficienza e alla corruzione. Per accelerare queste privatizzazioni lo stato può conferire le sue proprietà in uno o più fondi privati che gli pagherebbero immediatamente l'80% del valore stimato (finanziandosi con debito), pagando poi il resto a vendite avvenute.

2 Esproprio della moderna manomorta: per 50 miliardi con un risparmio di circa 2 miliardi di interessi l'anno.
Quando volle rilanciare l'economia del Piemonte Cavour espropriò la manomorta ecclesiastica: non solo per questioni di bilancio, ma perché le proprietà della chiesa venivano gestite male e frenavano la crescita economica. Le fondazioni bancarie sono la manomorta dei nostri tempi. È una proprietà dei contribuenti che fu appropriata dai politici con la legge Amato, e che oggi è fonte di prebende e di influenza politica sotto il mantello della funzione sociale. Riappropriarsi di quei patrimoni rivendendoli per diminuire il debito pubblico non aiuterebbe solo il bilancio dello Stato, ma libererebbe la vita economica dell'intermediazione politica.

3 Privatizzazioni delle municipalizzate per 30 miliardi con un risparmio di circa 1 miliardo di interessi l'anno.
Il Tesoro stima in 100 miliardi il valore di libro delle attività delle aziende municipalizzate. Tenendo conto dei debiti e di un possibile sconto di mercato stimiamo che si possano raccogliere circa 30 miliardi. Ovviamente queste privatizzazioni necessitano di regolamenti per evitare l'abuso del potere di mercato di cui alcune di queste imprese godono.

4 Riduzione dei costi della politica: circa 8 miliardi.
Vi sono molte stime sui risparmi dall'abolizione delle province; usiamo una cifra prudente, e diciamo 3 miliardi. Secondo il Sole 24 Ore di lunedì scorso i costi dei cda delle partecipate, delle auto blu, degli enti intermedi e delle consulenze esterne ammontano in totale a 7,5 miliardi. Questa spesa può essere sicuramente dimezzata senza alcun effetto negativo (anzi, probabilmente con un effetto positivo) sull'efficienza del l'amministrazione pubblica. Il costo complessivo di Camera e Senato è di 1,7 miliardi all'anno. Dimezzando il numero di deputati e senatori (portandolo così vicino alla media europea) e i vitalizi per ex deputati e senatori si risparmiano circa 900 milioni. Anche questa operazione non colpisce alcuna categoria a rischio di emarginazione sociale, e ha effetti positivi sulla crescita, perché innalza la qualità e la competenza dei deputati e senatori rimanenti.

5 Taglio di sussidi e agevolazioni alle imprese: 5 miliardi.
È difficilissimo ricostruire il flusso di sussidi e agevolazioni alle imprese. Una stima prudente è di circa 7 miliardi, ma possono essere molti di più, a seconda dei criteri di calcolo. La stragrande maggioranza sono inutili o dannosi, perché anestetizzano lo spirito d'impresa, inducendo a specializzarsi nell'ottenere sussidi e agevolazioni, invece che a produrre ed innovare, e sono una fonte infinita di corruzione, di diatribe politiche, di progetti inutili, e di frodi vere e proprie.

6 Eliminazione dei progetti faraonici ed inutili: 3 miliardi.
Una delle principali cause del dissesto greco è stata l'Olimpiade di Atene, fonte di corruzione e sprechi. La crisi è un'ottima occasione per ridimensionare alcuni grandi progetti inutili. Una moratoria sulle grandi opere, che consenta solo la manutenzione delle opere già esistenti, di cui invece c'è molto bisogno, porterebbe a un risparmio annuale difficilmente quantificabile: usiamo una cifra prudente e diciamo 3 miliardi.

7 Taglio delle pensioni inique e altri interventi sulle pensioni: 6 miliardi.
Accanto alle tante pensioni vicino al minimo, vi sono circa un milione 600mila pensioni oltre i duemila euro al mese, per un importo di oltre 60 miliardi. Alcune di queste sono totalmente sproporzionate ai contributi versati in passato, e non c'è nessuna ragione né morale né di equità per mantenerle al livello attuale. Da un taglio medio del 5% si possono ricavare 3 miliardi. Insieme con un innalzamento immediato dell'età pensionabile delle donne a 65 anni e con l'indicizzazione al Pil come avviene in Svezia e come proposto da Tito Boeri e Agar Brugiavini su www.lavoce.info, si potrebbe produrre un risparmio da quantificare esattamente, ma diciamo almeno 6 miliardi (le pensioni totali sono 250 miliardi, oltre il 15% del Pil; se non si può ridurre questa voce del 2%, che rigore è?).

8 Taglio degli stipendi pubblici più alti: 5 miliardi.
La seconda voce del bilancio pubblico è il monte salari, 173 miliardi, l'11% del Pil. Grecia, Spagna e Irlanda li hanno ridotti; anche noi possiamo fare altrettanto. Da una riduzione media del 3% (ogni ente pubblico può decidere se da minore impiego o minori salari), dolorosa ma non tragica, possiamo ottenere 5 miliardi.

9 Aumento delle rette universitarie: 3 miliardi.
L'università oggi è quasi gratuita, ma è frequentata soprattutto dai ricchi; i poveri finanziano dunque la laurea dei ricchi. Non c'è motivo per cui chi può permetterselo non paghi l'investimento più redditizio della vita, magari scegliendo tra pagare subito oppure un prestito da restituire in base al reddito conseguito dopo la laurea.

10 Addizionale Irpef.
Con queste misure si risparmiano circa 38 miliardi non riducendo la crescita, ma rivitalizzandola. Restano ancora 22 miliardi (meno dell'1,5% del Pil) da reperire con maggiori entrate. Qui non abbiamo una preferenza specifica. Ovviamente un'intensificazione della lotta all'evasione aiuterebbe, ma sappiamo per esperienza che i risultati richiedono tempo e sono incerti. Una possibilità è un'addizionale Irpef restituibile in caso di successo nella lotta all'evasione: ogni euro recuperato all'evasione viene restituito pro quota a chi ha pagato l'addizionale. Questo ha due vantaggi: è una tassa visibile, per cui i cittadini vorranno sapere che i loro soldi vengono usati bene; e crea un forte incentivo politico a fare sul serio la lotta all'evasione.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-07-13/ecco-come-arrivare-subito-082038.shtml?uuid=Aa9UChnD