sabato 30 luglio 2011

Cosa resta del multiculturalismo dopo gli attentati in Norvegia?

Dopo gli attacchi del 22 luglio scorso in Norvegia, il dibattito sull'integrazione e sul multiculturalismo è tornato di stringente attualità. Ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha detto che "la strage della Norvegia non può far venir meno l'importanza di una discussione sul multiculturalismo senza regole, che ha fallito in Inghilterra e Danimarca sotto gli occhi di tutti". Un dibattito che però non deve essere privo "dei messaggi che possano far rieccheggiare razzismo, xenofobia", riferendosi, neanche troppo velatamente, alle dichiarazioni dell'europarlamentare leghista Mario Borghezio.

Una posizione, quella di Frattini, totalmente diversa da quella del ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli: "Il multiculturalismo non c'entra, quello che 'sbrocca' c'è sempre, a prescindere dalla situazione generale. Tutto sta ad affrontare le questioni con intelligenza e buonsenso. Qui invece si esce da ogni tipo di parametri, diventa una questione di salute mentale". Una posizione che il Foglio aveva spiegato in un editoriale, scrivendo che "liquidare l’eccidio con l’emergenza legata all’islam in Europa, a letture massonico-templari bellicose, al pericolo della critica multiculturale, dare patenti intellettuali a un claustrofobico sanguinario come Breivik, è solo una forma di paranoia intellettuale" (leggi tutto l'editoriale).

La strage di Oslo ha fornito anche alla commissaria europea agli Affari interni, la svedese Cecilia Malmström, l’occasione per stigmatizzare le pulsioni xenofobe. Sacrosanto, ma la commissaria confonde due principi troppo diversi: l'integrazione non è, infatti, il multiculturalismo (leggi tutto l'editoriale).

Inoltre, numeri alla mano, la Norvegia e tutta la penisola scandinava non sembra poi così all'avanguardia nell'accoglienza: nella penisola scandinava, con circa venti milioni di abitanti, ci sono un milione di immigrati residenti o poco più (leggi tutto l'articolo di Roberto Volpi).

"L'incubo della multietnicità", lo chiama Pietrangelo Buttafuoco, perché "a furia di evocare i fondamentalismi, specie quelli fatti ad arte, vi nascono in casa quelli genuini" (leggi tutto l'articolo). Oppure la posizione di Camillo Langone, "cristiano fondamentalista", che "condivide molte delle preoccupazioni di Anders Breivik, specie quelle riguardanti l’islam, il multiculturalismo e l’indifferenziazione sessuale", ma è molto diverso da lui: "Cattiva è la politica immigrazionista bersaglio degli attentati e cattiva la politica identitaria che supplisce alla mancanza di cultura con la violenza. Cattiva è la religione-fai-da-te di cui il copiaincollista Breivik va considerato l’ultimo apostolo, colui che ha portato alle estreme conseguenze il metodo protestante del libero esame (leggi tutto l'articolo).

Il Foglio ha poi raccontato le lacrime dello scrittore e giornalista norvegese Bruce Bawe, che nel delirante manifesto del killer di Utoya è citato venti volte a dimostrazione del fallimento multiculturale: "E’ agghiacciante pensare che gli articoli che ho composto nella mia casa nella parte occidentale di Oslo nel corso degli ultimi due anni venissero letti e copiati da questo futuro assassino di massa. Inoltre è agghiacciante vedere il modo in cui si muove da una preoccupazione legittima per i veri problemi a una ‘soluzione’" (leggi tutta l'intervista).

Il discorso del primo ministro norvegese Jens Stoltenberg alla nazione, pronunciato lunedì sera durante la commemorazione delle vittime degli attentati, è considerato il più importante dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Un manifesto, in cui Stoltenberg ha parlato di "una marcia per la democrazia, per la solidarietà" e soprattutto "per la tolleranza".

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