sabato 16 luglio 2011

Cari preti ribelli…

Il testo qui sotto è una lettera che il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha scritto nell’edizione estiva del periodico “thema kirche” in risposta all’“Appello alla disobbedienza” della “Pfarrer-Initiative”, un gruppo di circa 300 preti austriaci. Nell’Appello la “Pfarrer-Initiative” sfidava apertamente il Vaticano chiamando tutti alla disobbedienza nel nome della libertà di coscienza. I campi sui quali disobbedire sono vari, tra questi il “no” del Vaticano all’ordinazione sacerdotale femminile e il “no” alla concessione della comunione ai divorziati risposati. Ha detto Helmut Schüller, portavoce di “Iniziativa parroci”, che il Vaticano “non può imporre le proprie convinzioni ai preti austriaci”.

Il Foglio oggi ha tradotto e pubblicato integralmente la lettera dell’arcivescovo di Vienna. Eccola:

Care collaboratrici e collaboratori, e questa volta in particolare, cari confratelli nel servizio sacerdotale, i vertici della “Pfarrer-Initiative” hanno pubblicato il 19 giugno un “Appello alla disobbedienza” (www.pfarrer-initiative.at). Ho aspettato a replicare, non volevo che la mia risposta fosse dettata dalla rabbia e dal dispiacere che questo appello ha suscitato in me. Ma questo appello alla disobbedienza mi ha atterrito. E mi chiedo, che ne sarebbe delle famiglie in questo paese se la disobbedienza diventasse virtù? Molti lavoratori si chiedono come sia possibile che la chiesa inciti a propagare e a praticare la disobbedienza, quando sanno per certo che se lanciassero un appello simile sui luoghi di lavoro avrebbero da tempo perso il loro impiego.
Nel momento dell’ordinazione, noi sacerdoti abbiamo promesso, liberamente e senza costrizione, nelle mani del vescovo “rispetto e obbedienza”, a voce alta e chiara abbiamo detto davanti a tutta la comunità dei fedeli: “Si, lo prometto”. Ma questo impegno verrà osservato? Nella mia veste di vescovo ho promesso anche al Papa fedeltà e obbedienza. Io voglio onorare questa parola data anche se ci sono stati momenti in cui non è facile. L’obbedienza cristiana è una palestra di libertà. L’attuazione nella vita reale di quello che noi recitiamo nel Padre nostro, quando preghiamo che la sua volontà sia fatta, in cielo così come in terra. Questa preghiera si riempie di significato e di forza, attraverso la disponibilità interiore di chi prega, di accettare la volontà di Dio, anche nei casi in cui questa volontà si discosti dal proprio modo di vedere. Questa disponibilità si concretizza inoltre attraverso l’obbedienza ecclesiastica verso il Papa e il vescovo. E a volte può richiedere uno sforzo doloroso.
Anche il “masterplan” per la nostra diocesi, il processo avviato dall’Apostelgeschichte 2010 e il piano di sviluppo diocesano si concentrano sulla volontà del Signore. Ma cos’è questa volontà di Dio oggi, in tempi di grandi mutamenti, per noi, per l’arcidiocesi? Pregando insieme, celebrando insieme la festa dell’eucarestia, studiando le sacre scritture, osservando lo sviluppo della nostra società ci sforziamo di riconoscere la volontà di Dio. Il “masterplan” vuole essere il piano del maestro, del Signore.
E proprio qui si inserisce l’“Appello alla disobbedienza”, mettendosi però di traverso. Visto che le riforme chieste dai promotori della “Pfarrer-Initiative” fino a oggi non sono state attuate, e i vescovi, così dicono, non hanno fatto nulla, c’è chi si vede ora costretto “a seguire la propria coscienza e muoversi autonomamente”. Ma se la disobbedienza al Papa e al vescovo diventano una questione di coscienza, questo significa che si è saliti un altro gradino, un gradino che costringe a prendere una decisione chiara. Perché alla coscienza va sempre dato ascolto, quando si tratta di una coscienza formata e autocritica. Il beato Franz Jägerstätter aveva deciso in piena solitudine e rispondendo alla propria coscienza di non servire nell’esercito di Hitler, e aveva accettato di pagare questa decisione con la vita. Il beato John Henry Newman era giunto, dopo anni di profondo tormento interiore, alla certezza che la chiesa anglicana si era allontanata dalla verità, e che la vera chiesa di Gesù Cristo continuava a esistere in quella cattolica. Per questo abbandonò la propria e divenne cattolico. Da ciò consegue che, chi in piena e provata coscienza e convinzione, pensa che Roma abbia imboccato una strada sbagliata, una strada che contraddice gravemente la volontà del Signore, dovrebbe trarne, nel caso estremo le conseguenze estreme, e cioè non percorrere più la via della chiesa romana. Spero e credo però che questa caso estremo non si verifichi.
Non è necessario essere sempre d’accordo con ogni decisione ecclesiastica, soprattutto in ambito disciplinare; ed è anche lecito prendere in alcuni casi decisioni diverse da parte della curia. Ma quando il Papa ripetutamente indica chiare linee guida, ricordando anche l’insegnamento in vigore – per esempio per quel che riguarda i ruoli – allora l’appello alla disobbedienza mette di fatto in discussione la comunità ecclesiastica nel suo insieme. Perché in ultima analisi, ogni sacerdote, così come tutti noi, dobbiamo decidere se vogliamo continuare a percorrere la strada insieme al Papa, al vescovo e alla chiesa oppure no. Certo, è sempre difficile rinunciare ad alcune idee e visioni. Ma chi dichiara nullo il principio dell’obbedienza, dissolve l’unità.
Nella mia lettera pastorale ho sollecitato una via comune. Ho indicato una via molto concreta: che si metta l’evangelizzazione al primo posto, che ci si impegni con tutte le forze, cominciando con l’essere, il diventare, noi stessi discepoli nuovi e migliori di Gesù. Perché è alla luce di questo esempio che “il mondo” riconoscerà se vale la pena seguire Gesù; se essere chiesa di Gesù Cristo ha veramente qualcosa di salvifico. Ed è sotto questa egida che si pongono anche gli sforzi di una riforma strutturale.
Proprio in questa luce non reputo l’“Appello alla disobbedienza” un passo utile. Non appena possibile mi incontrerò per un dialogo costruttivo con i rappresentanti della “Pfarrer-Inititiative”. Farò notare loro alcune contraddizioni insite nel loro “Programma di disobbedienza”, tra queste per esempio il concetto di una “festa dell’eucarestia senza sacerdote” e ancora la definizione sprezzante di “festival liturgici” per gli aiuti sacerdotali. Solo un confronto basato sul reciproco rispetto, come l’abbiamo vissuto con grande soddisfazione durante le tre riunioni diocesane, può aiutarci ad andare avanti.
Sono vescovo da ormai quasi venti anni. Il compito del vescovo è quello dell’unità: l’unità nella propria diocesi, l’unità con il Papa, l’unità con la chiesa. E io assolvo questo compito con grande felicità. Vivo molti momenti belli, ma anche momenti di dolorose ferite. Una di queste ferite è l’“Appello alla disobbedienza”. Io faccio invece appello all’unità, quell’unità chiesta da Gesù Cristo al Padre, e per la quale Gesù fu disposto a sacrificare la vita. Che mi assista ora nel mio compito di mantenere l’unità nell’amore e nella verità.
Un’estate benedetta vi augura il vostro
cardinale Christoph Schönborn

Nessun commento: