lunedì 19 settembre 2016

Una Corte tanto casta, di Stefano Cingolani

E’ la Corte dei Conti, quella che fa le pulci alle caste degli altri. E che piace tanto alla Raggi e ai grillini



La fascinazione reciproca tra grillini e magistrati forse non è ancora finita (magari ci penserà Marco Travaglio a tenerla viva), certo a Roma è durata lo spazio di un mattino. Carla Raineri, che doveva essere capo di gabinetto della sindaca Virginia Raggi e ha difeso con ostinato orgoglio il suo stipendio di 193 mila euro l’anno (lo stesso che percepiva alla Corte d’appello di Milano), ha gettato la spugna. Adesso tocca a Angelo Raffaele De Dominicis, raccomandatissimo dal premiato studio Sammarco dove la Raggi ha svolto il tirocinio per diventare avvocato: già procuratore della Corte dei Conti a Roma, viene defenestrato prima ancora di insediarsi e salta fuori una indagine nei suoi confronti per abuso d’ufficio. Era stato messo alla berlina per gli svarioni linguistici, le teorie sui complotti pluto-giudaico-massonici, l’operetta (morale?) sulle vite parallele di Giulio Andreotti, Tinto Brass e Paolo Conte; adesso non ha nemmeno “i requisiti”. Ma stiamo attenti al facile sfottò, alla Corte dei Conti non sono tutti come lui. I pochi che non conoscono l’inglese s’informano sulla pronuncia, nessuno pensa che le agenzie di rating puniscano l’Italia per invidia e chi coltiva ambizioni romanzesche (i cassetti dei giudici traboccano di manoscritti, come dimostra l’industria editoriale) magari si dedica al giallo. Magistrati e anche un po’ ragionieri, inflessibili sentinelle dei soldi pubblici, cerberi e talvolta anche consiglieri, sono convinti che di loro ci sarà sempre più bisogno. E’ davvero così?

Usi a lavorar tacendo, questi solerti funzionari sono saliti alla ribalta dopo il collasso della Prima Repubblica. La stessa Corte dei Conti, del resto, ha sofferto a lungo un qualche complesso d’inferiorità. Il suo quartier generale impallidisce rispetto alle dimore romane di altri rami della magistratura: il Palazzaccio di umbertina memoria, la Procura, fortezza modernista ai piedi di Monte Mario, o persino le ex caserme con il loro fascino maschio e un po’ demodé. La costruzione tardo-razionalista di viale Mazzini è un po’ tristanzuola, ammettiamolo. Ma il circolo no, quello brilla di luce propria. Fondato nel 1966 sulle rive del biondo Tevere, si autodefinisce “un punto di riferimento tra i circoli sportivi più prestigiosi della capitale”, con i suoi campi da tennis, la piscina, l’immancabile squadra di canottieri, la palestra che “dispone dei macchinari di ultima generazione” e, last but not least, il ristorante e “gli ampi saloni per l’organizzazione di feste ed eventi privati su richiesta dei soci” dalla primavera all’autunno anche sui vellutati e curatissimi prati all’inglese.

Per 40 anni il circolo è stato gestito dalla Corte, poi è passato in affidamento all’associazione dei dipendenti. Honi soit qui mal y pense; non crediate che paghi sempre e solo Pantalone. Guai a pensar male. Qui s’annida una casta che passa il tempo a condannare le caste degli altri? Malvagità. Il giudice contabile con la toga e il tocco, con la sua pompa e il suo rigore, è come la moglie di Cesare. “Ai magistrati e funzionari è di sprone una convinzione intima, una fede laica, che proviene dagli esempi di quanti li hanno preceduti, dal retaggio di valori dei quali l’Istituto è depositario: l’onestà degli intenti e dei comportamenti, l’etica del servizio, il corretto agire delle pubbliche amministrazioni, il perseguimento del bene dell’uomo e della collettività”, ha scritto l’ex presidente Luigi Giampaolino nella elegante brochure confezionata durante la sua gestione (2010-2013). Ma a che serve un apparato del genere che fa le pulci alla spesa pubblica eppure ha assistito inerme al suo gonfiarsi, anno dopo anno, fino a rappresentare oltre la metà del reddito prodotto dalla nazione? Qualcuno si è spinto addirittura a sostenere che si tratti di un ente inutile, uno dei tanti. Esagerazioni, eppure nell’èra della globalizzazione e dell’industria 4.0, la Pubblica amministrazione resta ancora segnata da Napoleone Bonaparte.

La Corte dei Conti nasce nella Francia imperiale il 16 settembre 1807, quale evoluzione delle chambres des comptes risalenti all'Ancien Régime, la più importante della quali era quella di Parigi, fondata nel 1319. Anche negli antichi stati italiani esistevano istituzioni simili. Nel Regno di Napoli la Regia Camera della Sommaria risale al 1444; nel Ducato di Savoia fu istituita la Camera dei Conti di Chambéry nel 1351 e nel 1575 le venne affiancata quella di Torino; nel Lombardo-Veneto austriaco arrivò solo nel 1771; mentre nello Stato Pontificio la revisione era svolta della Camera Apostolica fin dal XIII secolo. Il modello napoleonico prende piede con la modernizzazione ottocentesca e l’irrompere della forma liberal-oligachica dello stato. La variante italiana nacque subito dopo l’unità, nel 1862, ma già Cavour ne era uno strenuo assertore: “Bisogna concentrare il controllo preventivo e consuntivo in un magistrato inamovibile”, sosteneva dieci anni prima.

La repubblica ha trasformato la magistratura contabile in un organo di rilievo costituzionale, indipendente nei confronti del governo e del Parlamento. Il presidente è nominato per decreto del presidente della Repubblica (su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di presidenza), tra i magistrati della stessa Corte che abbiano effettivamente esercitato, per almeno tre anni, funzioni di presidente di sezione, o equivalenti presso organi costituzionali nazionali o istituzioni dell’Unione europea. I magistrati sono inamovibili e la Corte gode di autonomia finanziaria e organizzativa. In base all’articolo 100 della Costituzione svolge tre controlli: il primo, preventivo, sulla legittimità degli atti del governo; il secondo, successivo, sulla gestione del bilancio dello stato; il terzo sulla gestione finanziaria degli enti ai quali lo stato contribuisce in via ordinaria. Nel corso degli anni sono stati ridotti gli atti sottoposti al controllo preventivo, aggiungendo però i fondi europei. Anche la copertura delle leggi di spesa è finita sotto la lente dei magistrati; nonostante ciò si continua a spendere regolarmente in deficit. La Corte, nell’esercizio delle proprie funzioni, può chiedere alla Consulta di pronunciarsi sulla conformità delle leggi poste alla base dell’atto controllato, assimilando così il controllo a un procedimento di natura giurisdizionale.

Alla fine di tutta questa complessa trafila, non esiste una vera e propria sanzione. Tanto rumore mediatico, tanto lavoro burocratico, tanta sapienza contabile e giuridica per nulla? No, spiega la stessa Corte, il meccanismo “è teso a provocare una correzione spontanea da parte delle amministrazioni controllate. Nell’ipotesi in cui le amministrazioni non si attengano alle indicazioni del controllore potrà sempre scattare la responsabilità politica dei titolari degli organi ed uffici e, sussistendone i presupposti, anche giuridica dei singoli funzionari ed amministratori, ove dalla condotta dei medesimi sia derivato un danno pubblico patrimoniale”. Non c’è, comunque, un rapporto diretto tra esito negativo del controllo sulla gestione e responsabilità di singoli funzionari o amministratori pubblici. La Corte riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull’esito del controllo eseguito; nel caso in cui l’amministrazione non ritenga di ottemperare ai rilievi formulati, è tenuta ad adottare, entro trenta giorni dalla ricezione dei rilievi, un provvedimento motivato.

Il vero potere è nel pubblico ministero, il quale può intraprendere un’azione di responsabilità amministrativa. La sua posizione è la stessa del pm presso il giudice ordinario (penale o civile); viene definito “un organo neutrale e imparziale che assume il ruolo di attore nel processo contabile per tutelare valori e interessi generali, e non nell’interesse particolare della sola amministrazione danneggiata”. L’azione deve essere esercitata entro cinque anni dalla data in cui si è verificato il fatto. Il procuratore generale viene nominato dal governo tra i magistrati della Corte dei Conti con qualifica di presidente di sezione, su designazione del Consiglio di presidenza, e ha poteri di organizzazione, indirizzo e coordinamento dei procuratori regionali. Insomma è il vertice di una estesa piramide. Il processo contabile è regolato dal codice di procedura civile e, come tutti gli altri, consta di una fase introduttiva scritta e di una fase orale (il dibattimento in udienza), è regolato dal principio del contraddittorio, nel senso che ognuna delle parti può svolgere le proprie difese e produrre i mezzi di prova che ritenga opportuni. La condanna è immediatamente esecutiva e l’amministrazione ha il diritto di ottenere, anche coattivamente, la somma. E in caso di errore? Il pubblico ministero, in quanto parte pubblica, non può mai essere condannato alle spese del giudizio.

Dunque, una magistratura parallela, copia conforme della magistratura penale e civile, con carriere inattaccabili che si svolgono tutte all’interno, anche se autonomia e indipendenza non impediscono di collaborare direttamente con i governi: troviamo magistrati contabili sparsi un po’ ovunque nei ministeri. Raffaele Squitieri, ad esempio, è stato capo di gabinetto di Giuliano Urbani dal 2002 al 2005 al ministero dei Beni culturali prima di diventare presidente e avviare una riforma organizzativa (è stato lui a rendere autonoma la gestione del circolo, per esempio) e un potenziamento anche finanziario della Corte. Uno dei protagonisti più abili e flamboyant resta Luigi Giampaolino, napoletano, che non ha mai mancato di bacchettare la “Casta”. Siccome c’è sempre un controllore che controlla gli altri controllori, anche su di lui sono saltate fuori le polemiche, i colpi bassi, le insinuazioni, le accuse di familismo che riguardavano le carriere dei figli entrambi cultori del diritto: il primogenito Carlo Felice è docente di Diritto commerciale a Tor Vergata mentre Anna Maria è magistrato. Malignità, falli di reazione.

Ai primi di agosto il governo ha rinnovato le due figure chiave. Il presidente è Arturo Martucci marchese di Scarfizzi, nato a Napoli da aristocratica famiglia calabrese (è anche nobile di Rossano, cavaliere di Gran Croce del Sovrano Militare Ordine di Malta, cancelliere del Priorato di Napoli, Grand’Ufficiale al Merito Melitense, Cavaliere dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, ecc.), che ha a lungo controllato i conti della Campania (con scarsa fortuna a quanto pare). Anche il nuovo procuratore generale, Claudio Galtieri, romano, ha una decennale militanza nella Corte nella quale è entrato per concorso nel 1976. Continueranno a gridare nel deserto? O chiederanno maggiori poteri d’intervento? Contribuiranno a ridurre il perimetro troppo ampio dello stato oppure ad aumentare i poteri di veto, quindi la paralisi decisionale e operativa? E perché non rivedere anche i propri conti, dato che circa la metà del bilancio serve per pagare gli uffici di vertice?

La sorte di questa istituzione è legata al modello di governo e di amministrazione che si vuole seguire, al ruolo della magistratura, al peso della mano pubblica nell’economia e nella vita dei cittadini. Uno stato moderno, liberal-democratico e più leggero, riplasmato dalla rivoluzione internet, ha proprio bisogno di una Corte dei Conti? In certi paesi le funzioni di controllo sono svolte da autorità amministrative indipendenti: in Germania il Bundesrechnungshof, i cui membri hanno la stessa autonomia dei giudici; in Svizzera il Controllo federale delle finanze è un ufficio indipendente aggregato al Dipartimento federale delle finanze solo sotto il profilo amministrativo; in Svezia il Riksrevisionen è diretto da un collegio di tre revisori (cinque in Norvegia) eletti dal parlamento. Nei paesi di common law la funzione di controllo è svolta da un organo monocratico denominato auditor general o comptroller general, come negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Irlanda e India.

In modi e forme diverse, dunque, c’è una evoluzione verso strutture meno burocratiche, molto più simili a quelle adottate nelle imprese e sui mercati che vogliano essere trasparenti. L’Italia resta legata a istituzioni antiche che generano apparati di kafkiana ispirazione, i quali espandono le loro funzioni al di là del seminato. La Corte dei Conti, come il resto della magistratura, ha arricchito il copione nel teatro politico della cosiddetta Seconda Repubblica. Negli anni è stata spinta a dilatare la sua azione e i suoi giudizi, a sentenziare di macroeconomia, a gareggiare con la Banca d’Italia, a suggerire politiche economiche e bacchettare quelle dei governi, superando steccati, sconfinando in terre incognite. Anche questo è avvenuto quando si sono rotte le maglie non solo del sistema politico, ma dell’intera intelaiatura statale, e il nuovo complesso mediatico-giudiziario ha fatto e disfatto i governi, rimescolando i poteri, con buona pace del popolo.

Le magistrature si arroccano, ciascuna a difesa della propria autonomia, ciascuna con i propri organismi autoreferenziali. Il giudice giustiziere (il giudice contabile come e più degli altri), attira denunce (talvolta delazioni, calunnie, diffamazioni) quasi fosse carta moschicida e alimenta le grida, le bolle, i titoli dei giornali. Qualche esempio recente cogliendo fior da fiore? “Il malaffare imperversa”. “Crisi e corruzione un circolo vizioso”. “Tolti i servizi ai cittadini”. “A rischio le pensioni”. “La spending review è fallita”. Fino all’ultimo grido di dolore del presidente Squitieri: “La legge di stabilità crea un vuoto di gettito di 13,7 miliardi dal 2017 al 2020”. Renzi direbbe che il nido dei gufi è in viale Giuseppe Mazzini 105, anche se le geremiadi lo hanno preceduto, e di gran lunga. Tutto questo ha reso più trasparente il bilancio dello stato? Ha messo sotto controllo la spesa? Ha tutelato meglio i pensionati o chi lavora per la Pubblica amministrazione e non viene pagato, talvolta per decenni? La elegante brochure non lo dice, ma forse è arrivato il momento di chiedere qualche risposta.

http://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del-foglio/2016/09/12/corte-conti-casta-m5s___1-v-147258-rubriche_c389.htm

sabato 9 gennaio 2016

Effetti della manovra finanziaria correttiva 2010 sullo stipendio dei docenti universitari

47 mozioni in 19 atenei. Renzi non ci ascolta? E allora noi congeliamo la nuova VQR

FINANZIAMENTO
Diritto allo studio calpestato, FFO severamente ridimensionato, turn-over strangolato, finanziamento per la ricerca di base azzerato, premialità che sancisce l’irrilevanza del lavoro didattico, scatti bloccati: che senso ha sottoporsi ad una nuova valutazione della ricerca, condotta con metodologie parascientifiche, che verrà usata per ripartire risorse esigue senza attribuire premi degni di questo nome, ma solo punizioni destinate ad accelerare il collasso dei più deboli, atenei del sud in testaFin dal luglio scorso la CRUI aveva avvertito “Miur e Anvur che solo a condizione di recupero delle risorse tagliate sarà possibile garantire la collaborazione del sistema universitario allo svolgimento del nuovo esercizio Vqr 2011-2014″. Dalle pagine di Roars, era stato Stefano Semplici a proporre una forma di disobbedienza civile che non vuole mettere in questione il principio della valutazione («noi VOGLIAMO essere valutati e dare così anche in questo modo ai cittadini la certezza che i loro soldi sono spesi bene») e che può avere successo solo se sarà una scelta collettiva e condivisa. Ed è in questa direzione che cominciano a registrarsi prese di posizione istituzionali  con interi dipartimenti che annunciano il congelamento della propria partecipazione alla VQR. Una disobbedienza civile destinata ad allargarsi a macchia d’olio?
Mappa aggiornata al 29.10.2015 delle mozioni approvate per il congelamento della VQR 2011-2014
Figura_Mappa_mozioni_06112015
Per chi volesse seguire in tempo reale l’evoluzione della situazione, una tabella aggiornata in tempo reale è consultabile sul sito della Rete 29 Aprile

1. I dati di fatto e le risposte

In questo quadro, che senso ha sottoporsi ad una nuova valutazione della ricerca, condotta con metodologie parascientifiche, che verrà usata per ripartire risorse esigue senza attribuire premi degni di questo nome, ma solo punizioni destinate ad accelerare il collasso dei più deboli, atenei del sud in testa?

2. Niente valutazione senza valorizzazione

2.1 La protesta guidata da Carlo Ferraro

A fronte di questa situazione, 14.000 tra professori e ricercatori hanno sottoscritto una richiesta di sblocco degli scatti, scritta da Carlo Ferraro e indirizzata al Presidente della Repubblica. Da ben più di un anno, lo stesso Ferraro,  aveva indicato il boicottaggio VQR come una delle forme di lotta per ottenere il ripristino delle normali progressioni economiche.
Niente ripristino degli scatti stipendiali, niente collaborazione alla VQR: questo il senso della dichiarazione da lui riportata nella “Bozza di motivazione“:
non mi doto del codice ORCID necessario per la VQR 2011-2014, e quindi non invio (oppure: Pur essendomi dotato del codice ORCID, non invio) l’elenco delle pubblicazioni in quanto aderisco all’azione nazionale per lo sblocco delle classi e degli scatti stipendiali a partire dal 1° gennaio 2015.
Ferraro propone anche una bozza di delibera dipartimentale, che riconosce legittimità alla protesta nazionale, lasciando ai singoli docenti la decisione se aderire o meno:
Il Dipartimento, unanime, riconosce la legittimità della protesta nazionale  contro il perdurare del blocco delle classi e degli scatti stipendiali della Docenza Universitaria e delle richieste avanzate e lascia ai singoli docenti afferenti la decisione di aderire o meno all’astensione dalla procedura VQR 2011-2014.
I governi di alcuni atenei stanno manifestando preoccupazione per questa forma di protesta al punto da minacciare sanzioni severe nei confronti di chi, per esempio, non vorrà munirsi del codice ORCID (senza il quale il soggetto non risulterà valutabile nella VQR 2011-2014). È evidente che queste reazioni, anche fuori misura, denunciano il timore che la protesta a macchia di leopardo possa trasformare la VQR da una “competizione scientifica” in una competizione tra chi saprà meglio serrare le fila, riportando all’ordine i riottosi, con le buone o – se serve – con le cattive.
Che poi il “muro contro muro” sortisca gli effetti desiderati è tutto da vedere.

2.2 Dalla “non collaborazione” della CRUI al “noi disobbediamo”

Fin dal luglio scorso la CRUI aveva avvertito “Miur e Anvur che solo a condizione di recupero delle risorse tagliate sarà possibile garantire la collaborazione del sistema universitario allo svolgimento del nuovo esercizio Vqr 2011-2014″.
Un avvertimento che, se non è stato ascoltato dal governo,  non è però caduto nel vuoto. Dalle pagine di Roars, era stato Stefano Semplici a proporre una forma di disobbedienza civile che non vuole mettere in questione il principio della valutazione («noi VOGLIAMO essere valutati e dare così anche in questo modo ai cittadini la certezza che i loro soldi sono spesi bene» scrive Semplici) e che può avere successo solo se sarà una scelta collettiva condivisa.
A partire dalla lettera aperta di Semplici, è stata elaborata una bozza di mozione dipartimentale (scaricabile quioppure vedi Appendice 1), con i seguenti tratti distintivi.
  1. Pur non scordando il blocco degli scatti, il problema dell’università è proposto in modo più completo, anche per dissipare il sospetto che si possa essere soddisfatti del recupero del dovuto, se rimanesse immutato il quadro di disinvestimento complessivo, che colpisce soprattutto studenti e precari. In questi termini, si giustifica anche la richiesta di appoggio rivolta agli studenti
    Chiediamo infine ai nostri studenti di non considerare questo problema come “un affare dei professori” e di dare la loro risposta sui tre punti che abbiamo sollevato. Per noi è importante sapere se sono d’accordo
  2. Viene chiarito fin dalle prime righe che la mobilitazione non è un alibi agitato strumentalmente da chi non vuole o teme la valutazione:
    Sono i soldi dei cittadini a mantenere la libertà della scienza e del suo insegnamento come un bene di tutti e per tutti. Per questo le università e i loro docenti devono essere valutati in modo rigoroso e devono essere introdotte tutte le procedure che consentano di valorizzare i migliori, eliminare i privilegi, ridurre le inefficienze.
  3.  Non ci si rifiuta di chiedere il codice ORCID.
  4. Il blocco avviene più a valle, in quanto si anticipa la propria indisponibilità a ordinare i propri prodotti per la VQR
    Almeno fino a quando ciò non venisse imposto come condizione imprescindibile per l’invio degli stessi da parte delle rispettive istituzioni.
  5. Si evita in tal modo di mettere a rischio la valutazione del proprio dipartimento. Se l’ordinamento dei prodotti verrà imposto come condizione imprescindibile, si collaborerà e nessun danno verrà inflitto ai singoli o ai dipartimenti.
  6. Lo scopo è quello di avere una formulazione che ottenga con relativa facilità l’adesione di interi dipartimenti e, sperabilmente, anche di interi atenei, evitando tra il “muro contro muro” innescato dalle  sanzioni e dalla conseguente radicalizzazione delle posizioni. Una lista sempre più lunga di dipartimenti (oppure atenei) che hanno votato il blocco della VQR potrebbe avere più effetto su MIUR, CUN e CRUI di quello ottenibile da un’adesione a macchia di leopardo, la cui tenuta sarà messa a dura prova dal timore di danneggiare se stessi o il proprio SSD/dipartimento/ateneo.

2.3 Insieme si può?

La “mozione Semplici” funge anche da base della “mozione intersindacale” siglato da ADI, ANDU, CISL-Università, CNU,CONFSAL-CISAPUNI-SNALS, CoNPAss, Federazione UGL Università, FLC CGIL, LINK, RETE29Aprile, SNALS-Docenti, UDU, UIL RUA, intitolato
e lo stesso approccio “inclusivo” è riconoscibile anche nel documento di CIPUR e CNRU
In particolare, Rete 29 Aprile, ha intrapreso un monitoraggio delle discussioni in corso negli atenei, per tener conto delle adesioni, in particolare quelle di natura istituzionale:
Fino all’altro ieri questa era la situazione (la versione aggiornata è consultabile in testa al post):
MappaMozioni19102015
Come si può vedere la mozione intersindacale è stata approvata da:
  • Dip.  SIMAU (Sc. Ing. Materia. Amb. ed Urban.) dell’Università Politecnica delle Marche;
  • assemblea di docenti e ricercatori dell’Università di Bari.
Il Senato Accademico dell’Università di Padova ha invece approvato una mozione relativa agli scatti, riservandosi ulteriori interventi sugli altri aspetti.
Nella giornata di martedì 20 ottobre, la mozione Semplici – o sue varianti – ha ottenuto l’approvazione di altri tre dipartimenti:
  • Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – Università di Pavia
  • Dipartimento di Scienze Umanistiche – Università di Pavia
  • Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura – Università di Pavia
È inoltre giunta notizia dell’approvazione di una mozione (vedi Appendice) presso l’università di Genova:
  • Dipartimento di Scienze della Formazione (DISFOR) – Università di Genova
Al meglio delle informazioni disponibili, la situazione nazionale è riassunta dalla seguente infografica, che sarà nostra cura tenere aggiornata a mano a mano che pervengono nuove informazioni (la versione aggiornata è consultabile in testa al post).
MappaMozioni

3. La Crui batta un colpo

Ora che cominciano a registrarsi prese di posizione istituzionali  con interi dipartimenti che annunciano il congelamento della propria partecipazione alla VQR, è quanto mai opportuno che la Crui batta un colpo. È di pochi giorni fa la lettera indirizzata da Stefano Semplici al neo-presidente Gaetano Manfredi, che si chiude con queste parole:
È arrivato il momento, per il Presidente e la Giunta della CRUI, di far sentire la loro voce. Venendo “dall’alto”, questa voce sarebbe certamente più efficace ed eviterebbe il dilagare del caos e delle iniziative “fai da te” di singoli rettori, senati accademici e altri zelanti difensori della VQR. Se dobbiamo essere puniti, dobbiamo esserlo almeno nello stesso modo e dovete assumervi fino in fondo la relativa responsabilità. Questa sarebbe però una brusca inversione di rotta rispetto a ciò che la stessa CRUI ha detto solo pochi mesi fa e spero dunque di ascoltare da voi parole diverse. E soprattutto parole che aiutino l’intera opinione pubblica a comprendere che quel che stiamo difendendo non sono i nostri stipendi, ma un’idea di università che riteniamo più coerente con la nostra Costituzione rispetto a quella che si è affermata in questi ultimi anni. Ed è di questo che occorre discutere.

Appendice 1: “mozione Semplici”

Il Prof. N.C. sottopone la seguente mozione al Consiglio di Dipartimento
Sono i soldi dei cittadini a mantenere la libertà della scienza e del suo insegnamento come un bene di tutti e per tutti. Per questo le università e i loro docenti devono essere valutati in modo rigoroso e devono essere introdotte tutte le procedure che consentano di valorizzare i migliori, eliminare i privilegi, ridurre le inefficienze.
La Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) è stata introdotta in Italia con la promessa che si sarebbe finalmente avviato un percorso virtuoso in questa direzione. Sono tuttavia inaccettabili e sotto gli occhi di tutti alcuni effetti prodotti non dalla valutazione in quanto tale, ma dalle modalità con le quali è stata realizzata e soprattutto dall’uso che è stato fatto dei suoi risultati:
  • La marginalizzazione della “missione” della didattica. Praticamente tutti gli incentivi sono stati concentrati sulla qualità dei prodotti della ricerca. Risultato: per i professori e per coloro che aspirano a “fare carriera” ogni ora trascorsa al servizio degli studenti rischia di apparire come un’ora di tempo perso.
  • La trasformazione delle nostre comunità di ricerca in falangi armate secondo la logica non più semplicemente del publish or perish, ma addirittura del publish and kill. Occorre scalare con ogni mezzo le “dettagliatissime” classifiche dell’ANVUR. Risultato: pochi sopravvivranno a questa guerra di tutti contro tutti e il sistema-paese ne risulterà alla fine impoverito.
  • La spregiudicata utilizzazione della parola d’ordine del “merito” per giustificare una brutale riduzione del finanziamento al sistema universitario, che era già ai livelli minimi fra i paesi più avanzati. Il blocco del turn over e quello degli scatti di anzianità sono gli elementi più evidenti di questa politica, ma gli effetti di lungo periodo saranno la progressiva desertificazione universitaria di intere aree del paese e una sostanziale riduzione del diritto allo studio, soprattutto per i giovani nati nel posto sbagliato.
La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, inviando all’ANVUR le sue osservazioni sul bando della nuova VQR, relativa ai “prodotti” degli anni 2011-2014, ha denunciato la gravità delle conseguenze del taglio delle risorse, avvertendo che “sarà possibile garantire la collaborazione del sistema universitario allo svolgimento del nuovo esercizio VQR 2011-2014” solo a condizione che vi sia il recupero delle risorse tagliate.
Chiediamo dunque alla CRUI di confermare la sua posizione e annunciare che le università italiane non parteciperanno alla VQR 2011-2014, almeno fino a quando Governo e Parlamento non avranno dato una risposta concreta e definitiva sul recupero delle risorse sufficienti a garantire: (i) livelli di garanzia del diritto allo studio coerenti con l’art. 34 della Costituzione, (ii) lo sblocco totale del turn-over, e (iii) la fine della incomprensibile discriminazione della quale sono vittime i docenti universitari a causa del prolungamento selettivo del blocco degli scatti di anzianità.
Chiediamo ai singoli docenti e ricercatori e ai loro Dipartimenti di aderire a una forma di protesta forte e che tuttavia non comprometta la loro attività di ricerca e il loro servizio agli studenti. Acquisiremo l’identificativo ORCID, come previsto tassativamente dal bando della nuova VQR, ma ci rifiuteremo di elencare in ordine di preferenza i prodotti di ricerca attraverso lo strumento informatico messo a disposizione dal CINECA. Almeno fino a quando ciò non venisse imposto come condizione imprescindibile per l’invio degli stessi da parte delle rispettive istituzioni.
In questo modo, si eviterà che la disobbedienza solo di pochi si traduca automaticamente in un danno non solo per loro ma anche per le comunità alle quali appartengono. Se saremo tanti, costringeremo Governo e Parlamento a cambiare rotta
Chiediamo infine ai nostri studenti di non considerare questo problema come “un affare dei professori” e di dare la loro risposta sui tre punti che abbiamo sollevato. Per noi è importante sapere se sono d’accordo.
La protesta senza la proposta è sterile. Offriamo tre obiettivi fondamentali alla riflessione delle nostre comunità universitarie e chiediamo:
1) la restituzione immediata di almeno il 50 per cento delle risorse complessive sottratte al sistema universitario in questi anni, da destinare al diritto allo studio, a nuove assunzioni e allo sblocco degli scatti di anzianità.
2) l’assegnazione dei fondi cosiddetti “premiali” in modo chiaramente distinto e aggiuntivo rispetto all’assegnazione di quelli necessari a garantire il normale e buon funzionamento delle università e l’assegnazione di fondi di importo equivalente per premiare i risultati e i miglioramenti ottenuti in aree meno favorite dalle condizioni socio-economiche complessive.
3) l’assegnazione, in base ad una seria valutazione della “missione didattica”, di una percentuale non inferiore al 30 per cento della cosiddetta “quota premiale”;
In relazione alla mozione letta dal Prof. N.C., il Consiglio di Dipartimento:
  • condivide la posizione espressa dalla Crui, in particolare per quanto riguarda la richiesta indirizzata a Governo e Parlamento in merito al recupero delle risorse sottratte;
  • sottolinea che tali risorse sono indispensabili per ripristinare i livelli di garanzia del diritto allo studio, il turn-over e gli scatti di anzianità;
  • ritiene altresì valide le motivazioni e le richieste della mozione, inclusa quella di assegnare i fondi “premiali” in modo chiaramente distinto e aggiuntivo rispetto a quelli necessari e di legarli, per una percentuale non inferiore al 30 per cento, alla “missione didattica”;
  • anticipa che, se venisse a mancare una risposta concreta, l’adesione alla protesta da parte di un largo numero di docenti e ricercatori del dipartimento metterebbe a rischio la partecipazione del dipartimento alla valutazione VQR 2011-2014;
  • Trasmette la presente delibera al Rettore, al Consiglio di Amministrazione e al Senato Accademico, invitandoli a farsi parte attiva nei confronti del Ministro, del CUN e della CRUI, affinché questi ultimi sollecitino una pronta risposta di Governo e Parlamento alle richieste in essa contenuta, in modo da rendere possibile un corretto svolgimento della VQR.

Appendice 2: mozione approvata dal DISFOR – Università di Genova

MOZIONE
I sottoscritti, docenti del Dipartimento di Scienze della Formazione (DISFOR), riuniti in Consiglio di Dipartimento il 14 ottobre 2015, cui ha fatto seguito ulteriore votazione telematica, in considerazione
  1. delle gravi criticità segnalate da molta parte del mondo universitario e della cultura nell’impianto della VQR 2011-14, che non soltanto non ha recepito
    le osservazioni critiche rivolte al precedente esercizio, ma ne ha accentuato gli aspetti discutibili;
  2. delle profonde distorsioni nelle pratiche di ricerca e nelle politiche di finanziamento della stessa che ne sono conseguite e ne conseguiranno;
  3. degli usi impropri e scorretti degli esiti del precedente esercizio che nulla fa presagire possano cessare;
  4. della sempre maggiore marginalizzazione della didattica, derivante dall’attenzione prevalente ad un impianto di valutazione della ricerca che richiede risorse rilevanti e crescenti,
pur nella consapevolezza dell’importanza del processo di valutazione, dichiarano  la loro intenzione – per protestare contro il mancato ascolto da parte del MIUR e dell’ANVUR delle istanze critiche ricordate e per sottolineare con forza la gravità della situazione in cui versa in generale il mondo dell’Università, depauperato di  risorse e del suo ruolo sociale e civile – di astenersi dalla partecipazione alla VQR 2011-2014, non presentando i loro prodotti di ricerca.
La presente mozione è stata approvata, con voto telematico, a maggioranza [31 voti favorevoli, 6 astenuti, 6 contrari, 7 non si sono espressi].

Blocco scatti stipendiali dei docenti universitari: la protesta approda in Parlamento, di Roberto Tomei

Come molti lettori ricorderanno, Il Foglietto in più occasioni si è occupato dell’iniquo blocco degli scatti stipendiali dei docenti universitari, ritenendo ingiusto che ad essi fosse stato negato un diritto che veniva concesso, invece, ai “fratelli” dipendenti degli enti di ricerca.
Sono ormai passati diversi mesi da questa nostra presa di posizione, ma la questione è tutt’altro che risolta. Bene ha fatto, perciò, il prof. Enzo Borsellino dell’Università degli studi Roma Tre a portarla all’attenzione dell’on. Flavia Piccoli Nardelli, nella sua qualità di presidente della Commissione Istruzione e Cultura della Camera dei deputati.
Nella lettera, i docenti chiedono un’audizione da parte dei membri della Commissione, se possibile insieme ai componenti della Commissione Bilancio, per esporre più dettagliatamente i termini della questione, affinché sia possibile reperire, con la prossima legge di stabilità, i fondi necessari per ripristinare tali scatti a partire dal 2015, domandando per il quadriennio 2011-2014 soltanto il riconoscimento degli effetti giuridici.
Per protestare contro l’ingiusto permanere del blocco degli scatti - che risale ormai al 2011 e a danno dei soli docenti universitari, mentre agli altri dipendenti pubblici è stato tolto – il 40% del corpo docente, si legge nella lettera, è pronto a “bloccare le procedure per la Valutazione della Qualità della Ricerca negli atenei italiani e a non candidarsi per la valutazione della stessa VQR” e a non chiedere “il codice ORCID necessario per accreditare i propri titoli scientifici in vista della stessa  VQR”.
E’ ovvio che una mobilitazione siffatta senz’altro impedirebbe lo svolgimento della valutazione. Farebbe, perciò, bene “la politica” ad adoperarsi per scongiurare una tale eventualità, grave esito di una scelta estrema che i docenti – ne siamo certi - mai avrebbero voluto fare.
Un indimenticabile politico della prima repubblica diceva che “non basta aver ragione, perché ci vuole pure qualcuno che te la dà”. I professori ragione ce l’hanno. Non resta che dargliela, questa benedetta ragione. Pure senza fare tante storie.