Casi giudiziari italiani "strani"

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A Monteacuto l'«asilo» di Annamaria. I genitori dei bimbi: è la migliore
La Franzoni «babysitter» del paese Il Tribunale: è una brava mamma

RIPOLI S.CRISTINA (Bologna) — Le mamme di Ripoli e Monteacuto non avevano bisogno del decreto del tribunale per i minorenni di Bologna che pochi giorni fa ha sentenziato: «I due figli di Annamaria Franzoni vivono in un ambiente protetto e tutelato dai genitori, sono curati e accuditi adeguatamente sia sotto il profilo pratico che sotto quello emotivo». Non ne avevano bisogno perché da mesi affidano a lei i loro bambini.

All'inizio erano tre o quattro. Ora sono una dozzina i piccoli che tengono impegnata la mamma di Cogne. Hanno dai due ai 12 anni. Tutto funziona più o meno come un asilo. Lo scuolabus li scarica davanti a casa Franzoni. Poi ci sono i giochi in giardino, le merende con torte e ciambelle. Due volte alla settimana Annamaria prepara anche il pranzo. In cambio una piccola retribuzione. «Perché lei è la migliore mamma del paese» dicono tutte in coro, giudicando la condanna a 30 anni per l'omicidio del figlio che Annamaria ha sulle spalle come un «gigantesco errore giudiziario». 
«Mia figlia ha 2 anni. Gliela affido per giornate intere. Pensa che la lascerei nelle mani di un'assassina? Io e le altre siamo convinte che lei non c'entra niente». Rita fa l'impiegata. Lei lascia la figlia di 12 anni: «Noi qui non abbiamo l'asilo. Così ci siamo organizzate. Con Annamaria i nostri figli si divertono. Ogni giorno è una festa. Noi ci fidiamo. Dovrebbero essere i giudici a venire qui a vedere, magari in incognito. Capirebbero molte cose».

Jeans e maglietta fucsia, la mamma di Cogne ha un bel da fare a tenere a bada tutti quei marmocchi: «Ma a me non pesa, fare da mangiare per due o per dieci è la stessa cosa. Certo, se un bambino si facesse male chissà cosa penserebbe tutta Italia. Sto attenta. I bambini mi vogliono tutti bene».

I giudici si sono pronunciati dichiarandola una brava mamma. Ma tanto brava da permetterle di seguire anche i figli degli altri? Il presidente del tribunale per i minorenni di Bologna, Maurizio Millo, risponde di sì e spiega: «Quella di lasciare i figli ad Annamaria Franzoni è un'opportunità che spetta alla prudenza di ciascun genitore. Al massimo noi potremmo intervenire se ci venisse segnalato che minorenni sono seguiti da una persona pericolosa o inaffidabile. Ma non è questo il caso. Davvero, a oggi, non sono emersi comportamenti critici nei confronti dei figli».

L'indagine del tribunale per i minori che doveva stabilire se Annamaria era in grado di accudire i suoi due bambini era partita già nel 2002, con un primo intervento dei magistrati di Torino. Poi gli atti erano passati a Bologna per competenza ed era stato aperto un fascicolo. 
Nel 2004, dopo la sentenza di condanna, in tutte le relazioni degli assistenti sociali è evidenziato un ambiente sereno. «Abbiamo tenuto in sospeso il decreto per due anni solo per prudenza — sottolinea il presidente —. La nostra è stata una decisione serena». I giudici hanno comunque concluso disponendo un costante controllo: «Gli sviluppi potrebbero anche condurre ad effetti imprevedibili. Si ritiene opportuno disporre la vigilanza del servizio sociale che dovrà monitorare le condizioni di vita dei minori».

Cristina Marrone




Maricica, Burtone ottiene i domiciliari

Uccise l'infermiera nell'ottobre 2010



ROMA - La Corte d'assise di Roma ha concesso gli arresti domiciliari a Alessio Burtone, il ventiduenne romano condannato ad otto anni di carcere per l'omicidio dell'infermiera romena Maricica Hahaianu, uccisa con un pugno nell'ottobre del 2010 a Roma. La Corte ha recepito una istanza presentata dall'avvocato Fabrizio Gallo, difensore del giovane. Il fatto era avvenuto alla stazione metropolitana Anagnina: Burtone aveva colpito la donna al termine di una lite.



«Nessun pericolo di fuga». «Siamo molto soddisfatti della decisione presa oggi dalla Corte d’Assise d'Appello di Roma». Lo afferma il difensore del giovane romano, l'avvocato Fabrizio Gallo. «Non ho ancora avuto modo di leggere le motivazioni dei giudici - spiega il penalista - ma non escludo che la Corte possa aver recepito la nostra istanza nella quale si affermava che non esiste alcun rischio di reiterazione del reato ne di pericolosità sociale da parte del ragazzo». Nella istanza di scarcerazione presentata dai difensori si faceva riferimento anche al comportamento 'tenuto dal ragazzo sia durante il processo che in carcere'. «Si tratta di una serie di fattori - conclude Gallo - a cui la Corte avrà tenuto conto nel decidere per gli arresti domiciliari».




Gagliano in Francia? Ecco perché è uscito


Allarme in Liguria, ma potrebbe essere in Francia Bartolomeo Gagliano, il killer evaso da Genova dopo un permesso. Una telecamera ha ripreso all'imbocco dell'autostrada l'auto la Panda van di colore verde con cui è scappato (la targa è CV848AW). Il detenuto aveva potuto uscire dal carcere perché le norme penitenziarie sono state applicate alla lettera.

Libero per burocrazia. Libero perché le norme penitenziarie sono state applicate alla lettera, senza un occhio di riguardo per il fattore umano, in questo caso il curriculum criminale. È una frase del direttore del carcere Marassi rilasciata ieri al cronista del Secolo XIX a rivelare la tragica leggerezza che ha permesso di rilasciare al pluriomicida Bartolomeo Gagliano l’ennesima licenza premio: «Noi e il magistrato di sorveglianza - ha spiegato Salvatore Mazzeo - siamo tenuti a considerare il reato per il quale il detenuto sta scontando la pena e il comportamento tenuto durante la pena in corso. Il precedente pesa, ma non ai fini della valutazione del detenuto oggi. Per noi la storia di Gagliano è cominciata nel 2006, quando è stato arrestato per alcune rapine».

È la stessa linea che il giorno dopo lo scandalo per questa inopportuna scarcerazione mantiene il Procuratore capo di Genova Michele Di Lecce: «Non posso sapere che cosa abbia influito in particolare sulla decisione di concedere un permesso premio a Bartolomeo Gagliano, ma è possibile che qualunque soggetto abbia scontato una pena anche per reati gravi possa redimersi e comunque cambiare o migliorare la propria vita. Nel caso specifico ovviamente non lo so».

«Si trattava di un permesso - ha spiegato Di Lecce - che era stato dato dall'autorità competente sulla base delle informazioni che emergevano. Quando un soggetto è in espiazione di una pena - ha sottolineato - il riferimento è al titolo per il quale il soggetto sta espiando. In questo caso è chiaro che il soggetto stava espiando una pena diversa da quelle che, peraltro in misura assai limitata a causa delle sue condizioni mentali, gli erano state date in passato. Nell'immediato era presente soltanto il titolo di carcerazione relativo ad altri fatti, anche se il curriculum ovviamente esiste».

Dunque sapevano. Nell’altalena dei sapevo-non sapevo la verità che appare oggi è, se si può, più grave. Difficile dimenticare la natura e i delitti del detenuto, visto che era ancora in cura con uno psichiatra proprio per la fragilità mentale. Per la legge Gagliano era ed è un uomo normale malgrado tre omicidi alle spalle, sei evasioni, anche se durante i numerosi permessi premio non ha ucciso.

Normale per il Marassi, normale per Gianfranco Nuvoli, lo psichiatra che lo aveva in cura: «Sapevamo che aveva una importante storia criminale alle spalle ma con noi non ha dimostrato gravi problematiche psichiatriche. I suoi erano solo problemi lievi, qualche episodio di ansia e di comportamento. Sapevamo che era una persona con cui non era facile interagire, con una sua personalità di tipo criminologico, tendente a trasgredire, influenzata pesantemente dal lungo tempo passato in carcere. Nel corso della vita, però, si può modificare la personalità, anche attraverso un percorso con i medici».

IL GOVERNO RIFERISCE
Di tutto questo riferirà domani il ministro Cancellieri. Lo ha reso noto il ministro Alfano: «Risponderà in aula e dirà nei dettagli tutto ciò che c'è da dire».

AVVISTAMENTI
Dopo una notte di falsi avvistamenti, Bartolomeo Gagliano avrebbe lasciato una traccia in autostrada. La Panda Van di colore verde targata CV848AW sarebbe stata vista fuori Genova. Gagliano, quando ha lasciato a Genova il panettiere Maurizio Revelli, che aveva sequestrato per farsi accompagnare da Savona al carcere, ha imboccato l'autostrada per allontanarsi dal capoluogo. Parte da qui l'inchiesta della procura di Genova, coordinata dal pm Alberto Landolfi, per rintracciare il fuggiasco. Nella notte gli allarmi si sono susseguiti anche dopo che la trasmissione «Chi l’ha visto?» ha diffuso targa e foto segnaletica del fuggiasco. Falso allarme a Rapallo e al Pronto soccorso dell’ospedale di Lavagna dove stanotte i medici hanno chiamato i carabinieri dopo che un uomo, senza documenti, si era presentato nel nosocomio per farsi curare. «Stiamo vagliano tutte le segnalazioni - ha ripetuto il Procuratore capo Di Lecce - Non possiamo dire se gli avvistamenti arrivati fino ad ora siano attendibili».

L’ARMA
Stamani intanto, è stata raccolta in Procura la testimonianza di Revelli, il panettiere sequestrato per poche ore a Savona da Gagliano. La vittima del sequestro ha riferito dei drammatici momenti in cui gli è stata puntata la pistola. «Era un'arma semiautomatica - ha riferito - Non so dire se vera o falsa, ma sembrava vera». E proprio questo, la presenza di una pistola insieme a un altro particolare, a lasciare esterrefatti. Bartolomeo Gagliano aveva lasciato il carcere da poche ore come avrebbe fatto a procurarsi l’arma? Buoni contatti con la malavita, certo. Ma allora come ha fatto, tutte le volte che ottenuto un permesso premio (decine nel corso di trent’anni) a procurarsi armi? Si dice che Gagliano in carcere non avesse buoni rapporti con i detenuti, con i compagni di cella. Ma molti testimoni hanno rivelato che era diventato il paladino degli agenti. Gagliano era l’uomo che difendeva la polizia penitenziaria dalle presunte angherie o peggio aggressioni dei carcerati. Cosa che deve aver influito certo nel giudizio, ma solo nel giudizio di buona condotta?

L’APPELLO
Sia i parenti, che il procuratore, hanno chiesto a Gagliano di costituirsi. «Non faccio appelli a nessuno - ha detto Di Lecce - . Dico soltanto che sarebbe auspicabile che Gagliano si ripresentasse per costituirsi. Valuterà lui, poi, cosa fare». Mio zio ha sicuramente perso la testa dopo che gli è stato rifiutato un permesso per tornare a Savona a Natale - ha detto il nipote Andrea Gagliano.

TERRORE TRA LE PROSTITUTE
Paura, in particolare, nell’ambiente delle prostitute: da Genova a La Spezia è terrore puro tra le donne di vita dopo l’evasione del serial killer già responsabile di tre assassinii e di un tentato omicidio tra lucciole e transessuali. Presidi a «luci rosse» la notte scorsa sono rimasti a Chiavari, a Lavagna, e in alcuni quartieri di Genova, oltre a quelle che lavorano nei caruggi del capoluogo ligure.

Di Anna Tarquini

19 dicembre 2013





Cassazione: ridurre la pena a Parolisi

No all’aggravante di crudeltà. Confermata la responsabilità per aver ucciso la moglie

GRAZIA LONGO
ROMA

Assassino ma con pena ridotta. Il caporalmaggiore dell’esercito Salvatore Parolisi, accusato di aver ucciso la moglie Melania Rea, il 18 aprile 2011 nel bosco di Ripe Civitella, con 35 coltellate è ritenuto colpevole anche dalla Cassazione ma necessita di un nuovo processo per «la rideterminazione della pena». Lo hanno deciso i giudici della prima sezione penale della Suprema Corte, che hanno annullato con rinvio alla corte d’appello di Perugia. Ma solo per la questione degli anni da scontare in carcere, che vanno ridotti perché la Cassazione non riconosce l’aggravante della crudeltà.

Parolisi era stato condannato all’ergastolo in primo grado (processo celebrato con il rito abbreviato) il 26 ottobre 2012 e poi in secondo grado, il 30 settembre 2013, a 30 di carcere. Il sostituto procuratore generale della Cassazione Maria Giuseppina Fodaroni ha chiesto di confermare la condanna perché «Parolisi ha agito con una violenza inaudita, mentre la figlia di appena 18 mesi era poco distante in macchina, si era infilato in un imbuto senza uscita perchè stretto dalle pressioni della donna con la quale aveva una relazione extraconiugale».

Nel ricorso presentato agli Ermellini dai suoi legali Walter Biscotti e Nicodemo Gentile, insieme al noto penalista Titta Madia, chiedevano di annullare la sentenza di condanna. Titta Madia ha puntato molto sugli aspetti giuridici, tecnici, che a suo avviso invalidano le due precedenti condanne. «Le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado sono difformi e non tengono conto della testimonianza di Ranelli, il gestore del chiosco a Colle San Marco, il quale in una prima fase aveva dichiarato di aver visto Salvatore e Melania. In primo grado la sua testimonianza viene presa per buona, in appello no. Secondo la Corte europea di giustizia avrebbe dovuto essere interrogato dal giudice come teste decisivo ma così non è stato».

Presenti il fratello di Melania, Michele Rea e il padre, assistiti dall’avvocato Mauro Gionni. «Volevamo sapere chi è l’assassino di mia sorella e ora lo sappiamo in maniera definitiva - dice il fratello Michele -. Perché anche se è stato deciso un nuovo appello per ridefinire la condanna, Salvatore è giudicato colpevole».


http://www.lastampa.it/2015/02/10/italia/cronache/cassazione-ridurre-la-pena-a-parolisi-5NEJeBBhCc8AcAhucn4KtJ/pagina.html



De Falco, «ricorso inammissibile»:
non tornerà operativo in Capitaneria

Per il Tar, il capitano non ha citato nel procedimento il suo successore alla direzione della capitaneria di Livorno, quindi il ricorso non è valido. L’avvocato: «Perplessi»

di Valentina Marotta


Ricorso inammissibile. Con formula secca, il Tar della Toscana liquida il ricorso che il capitano Gregorio De Falco aveva proposto contro il suo trasferimento dal settore operativo della Capitaneria di porto di Livorno a un ufficio amministrativo. Il motivo? Di natura procedurale. Per i giudici amministrativi, il capitano, diventato famoso per la telefonata in cui intimò al comandante della Costa Concordia Francesco Schettino di tornare a bordo della nave Costa Concordia che stava affondando, non ha citato nel procedimento il suo successore alla direzione della capitaneria di Livorno, il capitano Massimo Tomei. Così il Tar non è nemmeno entrato nel merito del ricorso sul presunto demansionamento.

L’avvocato: «Valuteremo se fare ricorso»
«Siamo molto perplessi -commenta l’avvocato Simone Grisenti che insieme alla collega Isabella Martini assiste il capitano - Aspettiamo di leggere le motivazioni e valuteremo se proporre appello al consiglio di Stato».

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