lunedì 30 aprile 2012

Avviso Lezione di Politica Economica del 30/04/2012

La lezione di Politica Economica (M-Z) di lunedì 30 aprile 2012 del dott. Cosimo MAGAZZINO non avrà luogo.

domenica 29 aprile 2012

I contribuenti da rispettare, di Ferruccio de Bortoli


SPESA PUBBLICA, SPRECHI E IPOCRISIE


Maggio sarà un mese decisivo per il governo. L'esecutivo Monti ha fatto in gran parte bene, ma si è indebolito: ha bisogno di nuovo slancio. Se la crescita è l'obiettivo primario, è necessario che già dalla prossima settimana il governo dia segnali concreti. Non generici impegni a ridurre la spesa o discorsi cattedratici sulle virtù della spending review , che tradotto vuol dire: cerchiamo di capire almeno dove finiscono i soldi pubblici.


Come prima cosa, andrebbe detto che la pressione fiscale, oggi vicina al 45 per cento, non aumenterà più. Anzi, diminuirà appena possibile, specie sul lavoro, scrivendolo a chiare lettere nel prossimo disegno di legge delega sulla riforma fiscale. Poi: che la clausola di salvaguardia, introdotta già dal precedente governo (si alza l'Iva a ottobre se la spesa non si è ridotta), sarà semplicemente rovesciata. Il pareggio di bilancio d'ora in poi si raggiungerà solo con la compressione delle uscite. Impossibile? No. La spesa pubblica è stata pari nel 2011 a quasi 800 miliardi (50,5 per cento del Pil). Tolti stipendi, pensioni e interessi passivi, restano circa 200 miliardi in acquisti di beni e servizi e varie.


Ognuno applichi la propria percentuale di risparmio pensando a una famiglia o a un'impresa. Il gettito atteso dal prossimo ritocco dell'Iva per il 2012 è di 4 miliardi, l'intera Imu ne vale 21. Come hanno spiegato su queste colonne Alesina e Giavazzi, le tasse hanno un effetto recessivo, i tagli mirati alla spesa pubblica no. Certo, hanno costi politici e personali più elevati. I destinatari dei tagli hanno nomi, facce e corporazioni. I contribuenti sono tanti e senza volto. Gli italiani sopportano sacrifici rilevanti e non capiscono perché l'azienda Stato, che spesso non paga gli arretrati, non riesca a risparmiare come l'impresa nella quale lavorano, avvertendone peraltro tutti i dolorosi segni, o come il loro stesso nucleo familiare.


Il ministro Giarda si sta dando da fare, ma siamo sicuri che tutti nel governo e nell'alta dirigenza si comportino allo stesso modo? La Ragioneria, che forse detiene i libri e conosce i conti, è convinta e coinvolta? E negli enti locali, responsabili di metà della spesa, vi è un uguale senso dell'urgenza o molti si difendono guardando in casa dell'altro e intanto adeguano le addizionali?


A volte si ha la sensazione che la spesa pubblica sia un immenso fiume carsico del quale si intuisce a malapena la portata, ma, peggio, che sia considerata una sorta di res nullius , della quale disporre a piacimento. Qualcosa di cui alla fine non si deve rendere conto a nessuno. Tanto è sempre andata così, ci si poteva indebitare e scaricare l'onere dell'inefficienza, attraverso le tasse, sulle famiglie e le imprese. Metà delle pratiche pubbliche sono inutili se non dannose. Con quelle non si fa crescita. Intere regioni, come hanno dimostrato le inchieste del Corriere , non sanno nemmeno quanto spendono per la sanità. Lo scandalo è tutto drammaticamente qui: nell'incapacità ipocrita e nella volontà apparente con cui ci si misura con quell'immensa discarica abusiva dei nostri difetti nazionali che è la spesa pubblica.

http://www.corriere.it/editoriali/12_aprile_29/contribuenti-da-rispettare-editoriale-de-bortoli_60b4adde-91c1-11e1-af61-83f104d3d381.shtml

lunedì 23 aprile 2012

Esperto di Thatcher sulle differenze Monti-Thatcher, di Alberto Brambilla





Non è solo il pugno duro di Margaret Thatcher che manca a Mario Monti per passare dalle parole ai fatti. E’ soprattutto l’assenza di una legittimazione politica propria che imbriglia le scelte di un premier che “potenzialmente” ha i connotati per essere l’uomo di ferro in grado di riformare l’Italia. “Monti è un liberale di destra, e in questo la premessa è identica, e come la Thatcher ha ereditato una realtà economica e politica negativa e in pesante dissesto, ma che allo stesso modo probabilmente lascerà un paese migliore di quello ricevuto”, spiega al Foglio l’economista Cosimo Magazzino, autore del libro “La politica economica di Margaret Thatcher” (Franco Angeli) al centro di un dibattito ieri sera a Milano organizzato da Tea Party Italia.


Al momento, però, è la “forte discrasia tra potenza e atto” a fare la differenza: “Sul piano pratico lo scarto è importante – nota Magazzino – La Thatcher vinse in maniera formidabile tre elezioni, due con un consenso schiacciante, mentre Monti non ha una sua maggioranza, e deve ricercarla di volta in volta in Parlamento, condizionato dalle scelte dei leader di partito”. Il docente alla Terza università di Roma ha un giudizio “positivissimo” sull’operato della Thatcher (in carica per undici anni: 1979-90) e “positivo” su quello di Monti (in carica da sei mesi), per l’impegno sulla riduzione dell’evasione. Eppure il premier ha insistito in maniera eccessiva sul versante delle entrate, aumentando e reintroducendo imposte, senza incidere ancora sulla spesa, ed è “auspicabile che lo faccia in una seconda manovra”, dice Magazzino, “così come è auspicabile che a un governo Monti succeda un governo Monti, e non un governo di un qualche leader di partito, per portare avanti quanto iniziato e avere la chance di avvicinarsi alla Lady inglese”. Il banco di prova per dimostrare di “saper fare” come la Thatcher, come aveva ipotizzato il Wall Street Journal, è la riforma del mercato del lavoro. La Lady conservatrice aveva fatto piazza pulita dei sindacati, negando qualsiasi confronto, perché “la Signora non torna indietro” (una delle frasi celebri della Thatcher che ha respinto così le critiche dell’opinione pubblica). Il paragone sarà completo se “Monti concluderà una riforma del mercato del lavoro andando incontro ai desiderata delle imprese e non dei sindacati”. In questo senso l’errore thatcheriano da non ripetere è quello di cominciare con le privatizzazioni delle imprese pubbliche, per poi procedere con le liberalizzazioni, creando situazioni di monopolio privato. “Sulle liberalizzazioni Monti di fatto non si è ancora visto, ma volendo essere costruttivi è sulla strada giusta. Ed è ridicolo – aggiunge Magazzino – che da commissario europeo sia riuscito a contenere Bill Gates (multando Microsoft per abuso di posizione dominante, ndr) e non sia riuscito a farlo con i tassisti”.


Ma è in politica estera che si registra la differenza più vistosa: “Probabilmente la Thatcher non se la ricorderebbe nessuno senza la questione delle Falkland, ed è lì che la sua popolarità è cresciuta”, segnala Magazzino, “vista la decisione unilaterale di un intervento armato. Incisività che è del tutto mancata al governo italiano in occasione del blitz britannico in Nigeria e nella cattiva gestione diplomatica della vicenda dei marò in India”. Quello che manca a Monti per completare la parabola carismatica e politica è un’idea di fondo, una filosofia. “La visione della vita e del mondo della Thatcher era chiara, quella di un conservatorismo liberale con un’impostazione metodista, la cultura del lavoro e dell’arricchitevi, mentre quella di Monti non è ancora chiara”.

http://www.ilfoglio.it/contrarian/104

giovedì 19 aprile 2012

THATCHER VS MONTI: UN DIBATTITO A MILANO, da Movimento Libertario


monti thatcher 245x300 TATCHER VS MONTI: UN DIBATTITO A MILANO
Domani, in via Marina 1 a Milano, a partire dalle 18:30, si terrà un dibattito organizzato da Tea Party Italia sulle differenze tra Mario Monti e Margaret Thatcher. Parteciperanno il prof. Cosimo Magazzino (autore del libro “La politica economica di Margaret Thatcher”) il prof. Francesco Forte (ex Ministro delle Finanze ed editorialista di molti giornali) e il prof. Marco Bassani (allievo di Gianfranco Miglio e docente di Storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano). Moderatore dell’incontro sarà Luciano Capone.
Quando è apparsa la prima bozza della riforma del lavoro il "Wall Street Journal" ha tentato un azzardato paragone tra il nostro primo ministro e la Lady di Ferro. Dopo la resa alle condizioni imposte dal PD e dalla Cgil, il quotidiano si è rimangiato il paragone e ha accostato Monti, più che alla Thatcher, a Ted Heath (uno dei premier più sfigati della storia d’Inghilterra, noto per aver calato le braghe ai ricatti dei sindacati).
Non si sa come il WSJ sia riuscito a vedere somiglianze tra la Thatcher e Monti: la prima ha abbassato le tasse, tagliato la spesa pubblica, privatizzato, liberalizzato, abbandonato ogni tipo di concertazione, sconfitto i sindacati di Scargill (altro che la Camusso!); il nostro è il premier che ha messo più tasse di tutti in Europa, non ha toccato la spesa pubblica, non ha liberalizzato nulla, non ha intenzione di privatizzare e vede nel Big Government la soluzione alla crisi italiana e non la causa.
Monti inoltre ha annaccquato ogni tentativo di riforma arrendendosi di fronte alle pressioni delle lobby. Margaret Thatcher, a chi le chiedeva di invertire la sua politica (uno “U-turn”), rispose: “You turn if you want to. The Lady’s not for turning”! Questa è la differenza tra un leader e un amministratore di condominio messo dai partiti per fare il lavoro sporco al loro posto.
Monti somiglia alla Thatcher? L’Italia è nelle stesse condizioni dell’Inghilterra degli anni ’70? E' il “grande malato d’Europa”? Quale è stata la politica economica della Thatcher per uscire dalla crisi? Quelle scelte economiche servirebbero all’italia di oggi? Quale è la politica economica di Monti? Questo ed altro domani a Milano alle 18:30 in via Marina 1.

venerdì 13 aprile 2012

LASCIAMI!, di Elizabeth Barrett Browning




Lasciami! Eppur resistere è ormai vano. 
Vivrò nell'ombra tua. Sul limitare 
dell'intima mia vita non piú stare 
sola potrò, né il cuor di sé sovrano


sarà, né, come prima, al sol la mano 
potrò serenamente sollevare,
senza sentir quel che schivai, le care 
tue mani sulle palme. Per lontano


spazio che tra noi metta il destino,
batte il tuo cuor nel mio, sempre. Tu sei 
in ciò ch'io sogno, e fo, come presente


la fragranza dell'uva è dentro il vino.
Se imploro Iddio per me, il tuo nome Ei sente, 
vede i pianti di due negli occhi miei.


Ora date un taglio alle troppe spese, di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

BASSA CRESCITA E ALTA TASSAZIONE


Il quarto trimestre del 2011 è stato molto negativo per l'economia italiana: il reddito si è contratto dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. In un anno la spesa delle famiglie è scesa di oltre un punto, gli investimenti delle aziende di oltre 3. È assai probabile che il primo trimestre del 2012 sia andato ancor peggio. Lo sapremo fra circa un mese, ma non è il caso di farsi illusioni. E bisogna agire d'anticipo anche perché, dopo qualche mese di calma, il costo del debito ha ricominciato a salire: dal 4,8 di un mese fa al 5,6 di ieri per i Btp decennali.


Se la crescita continuasse a essere in rosso è quasi certo che mancheremo l'obiettivo di ridurre il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo (Pil), dato che il denominatore, il Pil appunto, scenderà. Come è successo con la Spagna, l'Unione Europea ci chiederà di fare qualcosa per riavvicinarci agli obiettivi di bilancio per il 2012 e 2013.


A quel punto, come reagirà il governo Monti? La risposta più semplice è anche quella sbagliata: non far nulla. Dal primo ottobre aumenteranno le due aliquote principali dell'Iva, rispettivamente dal 10 al 12 per cento e dal 21 al 23. Gli aumenti avverranno in modo automatico, per effetto di un provvedimento varato a suo tempo dal ministro Tremonti, che questo governo non ha cancellato.


Questa soluzione colpirebbe ulteriormente famiglie e imprese che già soffrono, non solo per il peso fiscale, ma anche per l'incertezza sul futuro delle aliquote. Quanto dovremo pagare per l'Imu? Ancora non si sa, e anche questo non aiuta a pianificare consumi e investimenti, sia italiani sia esteri.


Un'alternativa sarebbe stata dare un impulso alla crescita, cosa non facile, ce ne rendiamo conto, ma che purtroppo non è accaduta. La riforma del mercato del lavoro, così come concepita originariamente, andava nella direzione giusta. Ma ha perso efficacia prima ancora di approdare in Parlamento (ad esempio, non si applica ai lavoratori pubblici) e probabilmente ne uscirà (se uscirà) ulteriormente annacquata, come è accaduto ai provvedimenti sulle liberalizzazioni. Immaginatevi cosa sceglierà di fare un imprenditore estero che stesse valutando l'apertura di un'azienda in Italia sapendo che potrebbe essere non lui, ma un giudice a decidere in che modo gestire i suoi dipendenti.


L'unica carta che rimane da giocare è quella della « spending review », l'analisi, una per una, delle spese delle amministrazioni pubbliche per decidere dove si può tagliare. È un lavoro che il governo Monti ha giustamente iniziato dal primo giorno, ma del quale non si vede ancora il risultato. Non c'è dubbio che la spending review sia un'idea migliore dei tagli lineari tentati dall'ex ministro Tremonti. Tagli uguali per tutti evitano di dover concertare con questo o quel ministro, con questa o quella categoria, con questa o quella lobby. Ma è un modo inefficiente e ottuso di ridurre la spesa, perché non distingue fra uscite inutili e spese necessarie.


Il rischio, però, è che la spending review , addentrandosi nei meandri del bilancio, finisca per concludere che ogni spesa è necessaria perché c'è una lobby che la difende, come ad esempio i circa 30 miliardi di euro che ogni anno lo Stato paga a imprese pubbliche e private per i motivi più svariati. Se l'alternativa è non far nulla, meglio allora tagli lineari.


Il tempo stringe. L'essenziale è che nelle prossime (poche) settimane il governo spieghi che cosa e come intende ridurre il peso dello Stato sull'economia. Non ci sono scappatoie. Pensare che sia con la spesa pubblica (come suggeriva ieri il Financial Times ) che si riprende a crescere è un errore grave. Il governo deve fare l'esatto contrario. Dare a consumatori e imprenditori un messaggio chiaro: le tasse non aumenteranno perché le spese scendono. Senza queste certezze, consumi e investimenti continueranno a rallentare. E il mondo a guardarci con rinnovata preoccupazione.

http://www.corriere.it/editoriali/12_aprile_11/ora-date-un-taglio-alle-troppe-spese-alberto-alesina-e-francesco-giavazzi_72cc6014-8395-11e1-8bd9-25a08dbe0046.shtml

Le libertà contro la crisi, di Daniele Raineri


Sms, voli low cost, ebook. Il mercato ci aiuterebbe contro la crisi (se non lo ostacolassimo)


Il governo ritira l’idea di tassare fino a due centesimi in più anche gli sms scambiati con i telefonini. Sarebbe stata una botta niente male: a seconda del gestore e del piano tariffario, un aumento tra il 10 e il 15 per cento di prezzo su ogni singolo messaggino. Sarebbe stato, però, anche un caso modello di come il mercato e l’innovazione corrano davanti alla crisi, per sfuggirle, per renderla più sopportabile, per creare gli stessi servizi a costi inferiori. I messaggini non si portano più: se hai bisogno di comunicare puoi usare altre applicazioni a costo fisso che passano attraverso Internet, come Messenger, iMessage, WhatsApp, Viber, Touch. La nuova tassa avrebbe accelerato l’erosione di un business che s’avvia alla fine. Durante le ultime vacanze natalizie, in Finlandia, patria della Nokia, il calo degli sms è stato a due cifre: meno 22 per cento. A Hong Kong, meno 14 per cento. In Svizzera, meno 7,5 per cento. Tero Kuittinen, il ricercatore che ha raccolto questi dati per Forbes, dice che il fenomeno è già visibilissimo nei mercati di sms che fiorirono per primi e che ora sta per investire tutti gli altri. In Italia non ci sono dati ufficiali, ma la tendenza è quella, i ricavi da sms – che sono un terzo degli incassi degli operatori mobili – sono in diminuzione. Dipende da quanti passeranno a un telefonino collegato a Internet e da quanto in fretta avverrà il passaggio: sarà abbastanza veloce, considerato che il mercato delle sim collegate anche a Internet cresce del 10 per cento l’anno e che le tariffe web calano.


Il governo ha anche aumentato di due euro la tassa sul diritto d’imbarco sugli aerei: che è da tempo e ancor più un caso modello di prezzi che competono al ribasso e facilitano la vita, grazie alla concorrenza tra compagnie low cost.


Il mercato trova soluzioni, ma in alcuni casi è boicottato. Due giorni fa il governo americano ha accusato Apple di avere creato un cartello per mantenere artificiosamente alto il prezzo degli ebook, i libri in formato elettronico leggibili su computer e tablet. I delegati di cinque case editrici si incontravano con Steve Jobs nel privé per la degustazione di vini del ristorante Picholine di Manhattan per concordare prezzi da 3 a 5 dollari superiori rispetto ai 9,99 proposti da Amazon: chi voleva un iPad (e chi non lo vuole?) rispetto a un Kindle era costretto a pagare di più. E’ la vittoria di Amazon, e del prezzo inferiore. Non in Italia: una legge del 2011 sbarra la strada agli sconti sul prezzo dei libri, sia cartacei sia in formato elettronico. Questo il commento dell’editore Giovanni Laterza: “La legge mette al riparo dai siti di vendita on line come Amazon”.


Il mercato corre davanti alla crisi, ma è ancora una consolazione troppo magra. I messaggini sul telefonino, i voli low cost e forse un giorno gli ebook liberi non compensano le botte di tasse più dure prese sui beni essenziali.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/13034

domenica 8 aprile 2012

Il Papa alla Veglia di Pasqua: «Il buio su Dio e sui valori sono la vera minaccia», di Gian Guido Vecchi

VATICANO

Il Pontefice a S. Pietro torna a parlare della crisi della fede, che mette in pericolo «la nostra esistenza e il mondo»

La celebrazione della Veglia – «Oggi possiamo illuminare le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili». La metafora di Benedetto XVI va al cuore del suo pontificato, la Veglia di Pasqua è la notte più importante dei fedeli e il Papa torna a parlare della crisi di fede che colpisce soprattutto l’Occidente, quella «situazione spesso drammatica nella Chiesa di oggi» già denunciata nella messa del Giovedì Santo, contrappone la «luce» di Dio al «buio» della negazione e del male e sospira: «Il buio su Dio e il buio sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale».

IL BUIO - Ora è il momento in cui i fedeli attendono l’annuncio della Risurrezione, la “nuova creazione” della Pasqua dopo la Crocifissione di Gesù e “la notte del sepolcro”. Benedetto XVI, nella Basilica di San Pietro, amministra battesimo, cresima e comunione a otto “neofiti” e spiega il senso della liturgia, la benedizione del fuoco e la processione con il cero richiamano il “Sia la luce!” della Genesi: «Il buio veramente minaccioso per l’uomo è il fatto che egli, in verità, è capace di vedere ed indagare le cose tangibili, materiali, ma non vede dove vada il mondo e da dove venga. Dove vada la stessa nostra vita. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male». E’ il problema del nostro tempo, per il quale il Papa ha deciso di indire l’ "anno della fede" dall’11 ottobre, 50° anniversario del Concilio. Il Papa che l’altro giorno si era rivolto ai preti «disobbedienti» spiega pure che nel cero pasquale, frutto del «lavoro delle api», c’è un richiamo alla «comunione» e all’unità della Chiesa.

LA MINACCIA - Ma per tutti resta il pericolo essenziale, aggiunge: «Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, non sono solo progressi, ma al contempo sono anche minacce che mettono in pericolo noi e il mondo». Le città illuminate impediscono di vedere le stelle. «Nelle cose materiali sappiamo e possiamo incredibilmente tanto, ma ciò che va al di là di questo, Dio e il bene, non lo riusciamo più ad individuare».

RAGIONE E FEDE - Così il Papa riprende il tema della «ragionevolezza della fede» che fu al centro del discorso di Ratisbona, rileggendo il racconto della creazione mostra il rapporto tra fede e ragione: il male «si nasconde», mentre «la luce rende possibile la vita, l’incontro, la comunicazione, rende possibile la conoscenza, l’accesso alla realtà e alla verità. E rendendo possibile la conoscenza, rende possibile la libertà e il progresso». Ecco il punto: «La materia prima del mondo è buona, l’essere stesso è buono. E il male non proviene dall’essere che è creato da Dio, ma esiste in virtù della negazione. È il "no"».




sabato 7 aprile 2012

"Si T'o Sapesse Dicere", di Eduardo De Filippo


Ah… si putesse dicere 
Chell' c'o core dice 
Quant' sarria felice. 
Si t' o sapesse di' 
E si putesse sentere 
Chell' che 'o core sente 
Dicisse eternamente 
Voglio resta' cu te'. 


Ma 'o core sape scrivere, 
'O core e' analfabeta 
E' comm' a nu' pueta 
Ca nun sape canta' 
Se 'mbroglia, sposta e vvirgole 
Nu punto ammirativo 
Mette nu' cungiuntivo 
Addo' nun 'nce adda' sta'.
E tu che o staje a sentere 
Te 'mbruoglie appriesso a isso 
Comme succede spisso, e addio felicita'.




E. De Filippo

venerdì 6 aprile 2012

E il Wsj fa dietrofront: «Monti non è Thatcher», di Fabio Savelli

IL QUOTIDIANO ESPRIME COSÌ LA SUA DELUSIONE SULLE ULTIME MODIFICHE ALLA RIFORMA DEL LAVORO

«La migliore analogia con i britannici potrebbe essere con Ted Heath, lo sventurato predecessore Tory della Lady di Ferro»


Margaret Thatcher, la Lady di Ferro


«Un'opportunità rara per educare gli italiani sulle riforme economiche». Così aveva definito il Wall Street Journal la missione "pedagogica" di Monti alla cloche di comando del Paese. Per evitare di «sprofondare nell'abisso-Grecia» la riforma-principe è proprio quella del lavoro - secondo il prestigioso quotidiano finanziario - e l'abbandono della concertazione con le parti sociali che sembrava l'esito sorprendente della prima bozza del disegno di legge preparata dal governo aveva fatto presagire uno spartiacque fondamentale della storia repubblicana, in direzione di una presunta funzione taumaturgica del premier-tecnico: «Se a Roma sarà risparmiato il destino recentemente toccato ad Atene, segnatevi questa settimana come il momento della svolta», aveva scritto il quotidiano Usa.

IL TOTEM - Aveva argomentato il Wsj sottolineando come le leggi italiane sul lavoro fossero «fra le più restrittive nel mondo occidentale». Con «il totem dell'articolo 18 che vieta alle imprese con oltre 15 dipendenti di licenziare, indipendentemente dagli indennizzi offerti. Monti ha proposto di sostituire questo schema del posto fisso a vita con un generoso sistema di indennizzi garantiti quando i lavoratori sono licenziati per motivi economici», aveva proseguito il giornale Usa, aggiungendo che «nella gran parte del mondo libero questa sarebbe considerata una riforma utile anche se moderata».

IL CORAGGIO - «Sfidare i sindacati italiani richiede coraggio, e non solo di natura politica. Dieci anni fa questo mese l'economista Marco Biagi fu ucciso da terroristi di sinistra per il suo ruolo nella messa a punto di un'altra riforma del lavoro. L'azione di Monti ha spinto la Cgil, il più grande sindacato italiano, a proclamare uno sciopero generale», aveva poi segnalato il Wall Street Journal, accostando così il presidente del Consiglio alla Thatcher, la Lady di Ferro, che osò sfidare le trade unions ottenendo indiscutibili successi sul fronte della flessibilità sul lavoro, tanto da essere l'icona dei liberisti ultra-convinti e temuta e odiata dai laburisti oltranzisti.

LA DELUSIONE - Ma il dietro-front del governo sul lavoro, che ha rinunciato a eliminare tout court il reintegro nel caso di licenziamento economico illegittimo, sarebbe in realtà una «resa» a coloro che vorrebbero portare l'Italia vicina all' abisso della Grecia. Ecco che - scrive sarcasticamente il Wsj - «la migliore analogia con i britannici potrebbe allora essere con Ted Heath, lo sventurato predecessore Tory» della Lady di Ferro. Motivo del cambio di giudizio è l'aver ceduto alla sinistra della coalizione di governo sull'articolo 18. «Gli ottimisti in Italia - ebbene sì, ve ne sono ancora - dicono che una riforma limitata è meglio di niente. Forse».




http://www.corriere.it/economia/12_aprile_06/monti-dietrofront-wsj-thatcher_7bcb6984-7fcc-11e1-8090-7ef417050996.shtml