lunedì 23 aprile 2012

Esperto di Thatcher sulle differenze Monti-Thatcher, di Alberto Brambilla





Non è solo il pugno duro di Margaret Thatcher che manca a Mario Monti per passare dalle parole ai fatti. E’ soprattutto l’assenza di una legittimazione politica propria che imbriglia le scelte di un premier che “potenzialmente” ha i connotati per essere l’uomo di ferro in grado di riformare l’Italia. “Monti è un liberale di destra, e in questo la premessa è identica, e come la Thatcher ha ereditato una realtà economica e politica negativa e in pesante dissesto, ma che allo stesso modo probabilmente lascerà un paese migliore di quello ricevuto”, spiega al Foglio l’economista Cosimo Magazzino, autore del libro “La politica economica di Margaret Thatcher” (Franco Angeli) al centro di un dibattito ieri sera a Milano organizzato da Tea Party Italia.


Al momento, però, è la “forte discrasia tra potenza e atto” a fare la differenza: “Sul piano pratico lo scarto è importante – nota Magazzino – La Thatcher vinse in maniera formidabile tre elezioni, due con un consenso schiacciante, mentre Monti non ha una sua maggioranza, e deve ricercarla di volta in volta in Parlamento, condizionato dalle scelte dei leader di partito”. Il docente alla Terza università di Roma ha un giudizio “positivissimo” sull’operato della Thatcher (in carica per undici anni: 1979-90) e “positivo” su quello di Monti (in carica da sei mesi), per l’impegno sulla riduzione dell’evasione. Eppure il premier ha insistito in maniera eccessiva sul versante delle entrate, aumentando e reintroducendo imposte, senza incidere ancora sulla spesa, ed è “auspicabile che lo faccia in una seconda manovra”, dice Magazzino, “così come è auspicabile che a un governo Monti succeda un governo Monti, e non un governo di un qualche leader di partito, per portare avanti quanto iniziato e avere la chance di avvicinarsi alla Lady inglese”. Il banco di prova per dimostrare di “saper fare” come la Thatcher, come aveva ipotizzato il Wall Street Journal, è la riforma del mercato del lavoro. La Lady conservatrice aveva fatto piazza pulita dei sindacati, negando qualsiasi confronto, perché “la Signora non torna indietro” (una delle frasi celebri della Thatcher che ha respinto così le critiche dell’opinione pubblica). Il paragone sarà completo se “Monti concluderà una riforma del mercato del lavoro andando incontro ai desiderata delle imprese e non dei sindacati”. In questo senso l’errore thatcheriano da non ripetere è quello di cominciare con le privatizzazioni delle imprese pubbliche, per poi procedere con le liberalizzazioni, creando situazioni di monopolio privato. “Sulle liberalizzazioni Monti di fatto non si è ancora visto, ma volendo essere costruttivi è sulla strada giusta. Ed è ridicolo – aggiunge Magazzino – che da commissario europeo sia riuscito a contenere Bill Gates (multando Microsoft per abuso di posizione dominante, ndr) e non sia riuscito a farlo con i tassisti”.


Ma è in politica estera che si registra la differenza più vistosa: “Probabilmente la Thatcher non se la ricorderebbe nessuno senza la questione delle Falkland, ed è lì che la sua popolarità è cresciuta”, segnala Magazzino, “vista la decisione unilaterale di un intervento armato. Incisività che è del tutto mancata al governo italiano in occasione del blitz britannico in Nigeria e nella cattiva gestione diplomatica della vicenda dei marò in India”. Quello che manca a Monti per completare la parabola carismatica e politica è un’idea di fondo, una filosofia. “La visione della vita e del mondo della Thatcher era chiara, quella di un conservatorismo liberale con un’impostazione metodista, la cultura del lavoro e dell’arricchitevi, mentre quella di Monti non è ancora chiara”.

http://www.ilfoglio.it/contrarian/104

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