lunedì 19 maggio 2014

Il mondo sta meglio di 30 anni fa, di Kenneth Rogoff

A leggere il nuovo autorevole libro di Thomas Piketty Capital in the Twenty-First Century si conclude che il mondo non era così iniquo dai tempi di re e baroni ladri. Strano perché stando a un altro libro eccellente, The Great Escape di Angus Deaton (che ho recensito di recente), il mondo non sarebbe mai stato così equo. Allora chi ha ragione? La risposta cambia che si guardi ai singoli Paesi o al mondo nella sua totalità.

L'argomento portante del libro di Deaton è che negli ultimi decenni diversi miliardi di persone nel mondo in via di sviluppo, in Asia in particolare, sono uscite da condizioni di povertà estrema. La stessa macchina che ha fatto aumentare la disuguaglianza nei Paesi ricchi ha portato uguaglianza a miliardi di persone in tutto il mondo. A posteriori e attribuendo a un indiano lo stesso peso di un americano o di un francese, sul fronte della povertà gli ultimi trent'anni sono stati i più importanti nella Storia di tutta l'Umanità.

L'arguto libro di Piketty documenta la disuguaglianza all'interno dei Paesi concentrandosi soprattutto sul mondo ricco. L'humus culturale a cui attinge viene perlopiù da quella che si considera la classe media all'interno del proprio Paese, ma che in realtà è una classe medio-alta per non dire ricca secondo i parametri globali. Quanto documentato da Piketty nel corso degli ultimi quindici anni insieme al coautore Emmanuel Saez, ha sollevato svariati dibattiti tecnici e astrusi. Io, invece, trovo convincenti i loro risultati soprattutto considerando che altri autori, pur seguendo metodi completamente diversi, sono giunti a conclusioni simili.

Brent Neiman e Loukas Karabarbounis della University of Chicago per esempio, sostengono che la percentuale di forza lavoro del Pil sia andata calando in tutto il mondo dagli anni 70 in avanti. Eppure Piketty e Saez non offrono un vero e proprio modello né lo offre questo nuovo libro. E la mancanza di un modello combinata a un campo d'analisi ristretto alla classe medio-alta dei Paesi, conta e parecchio quando si tratta di dare ricette politiche. I proseliti di Piketty sarebbero altrettanto entusiasti della sua proposta di un'imposta patrimoniale globale progressiva se questa fosse mirata a correggere le enormi disparità fra i Paesi più ricchi e quelli più poveri anziché fra chi sta bene stando ai parametri globali e chi è straricco? Secondo Piketty il capitalismo è iniquo. Ma non lo era anche il colonialismo? In entrambi i casi, l'idea di una patrimoniale globale è un vero ginepraio quanto ad applicazione e credibilità, oltre a essere politicamente impossibile.

Pur avendo ragione nell'affermare che negli ultimi decenni sono aumentati i rendimenti da capitale, Piketty sorvola sul dibattito che sta dilagando fra gli economisti a proposito delle possibili cause. Per esempio, se il fattore determinante è il forte afflusso di manodopera asiatica sui mercati globalizzati, il modello di crescita proposto dall'economista e premio Nobel Robert Solow prevede che l'accumulo di capitale finirà per regolarsi e i salari per aumentare. Il pensionamento di una forza lavoro che sta invecchiando finirà per far aumentare anche gli stipendi. Se, d'altro canto, la quota di reddito della forza lavoro è in calo per l'inesorabile aumento dell'automazione, le pressioni verso il basso perdureranno come ho già detto qualche anno fa a proposito dell'intelligenza artificiale.

Fortunatamente ci sono modi migliori per affrontare la disuguaglianza dei Paesi ricchi continuando a stimolare la crescita a lungo termine della domanda di prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo. Per esempio, passare a una tassa sui consumi relativamente fissa (con una grande deducibilità per garantire la progressività) sarebbe un modo molto più semplice ed efficace di tassare l'accumulo di ricchezza, soprattutto se il Paese di residenza fiscale è collegato al luogo in cui il reddito è stato guadagnato.

Un'imposta progressiva sui consumi è relativamente efficace e non distorce le scelte di risparmio come stanno facendo le imposte sul reddito. Perché cercare di passare a un'improbabile imposta patrimoniale quando vi sono alternative per favorire la crescita e l'aumento di reddito e con un'esenzione molto elevata potrebbe essere resa progressiva? Oltre a una patrimoniale globale, Piketty caldeggia per gli Stati Uniti un'imposta marginale sul reddito dell'80 per cento. Pur essendo convinto che negli Usa sia necessaria una tassazione più progressiva, in particolare per la fascia più alta che corrisponde allo 0,1 per cento, non capisco come Piketty possa credere che un'imposta dell'80 per cento non provocherebbe distorsioni significative, soprattutto se quell'ipotesi contraddice il grande lavoro dei premi Nobel Thomas Sargent ed Edward Prescott.

Ci sono diverse politiche praticabili che possono essere adottate per ridurre la disuguaglianza, oltre a un'imposta progressiva sui consumi. Per gli Stati Uniti in particolare, Jeffrey Frankel della Harvard University ha proposto l'eliminazione dell'imposta sui salari per i lavoratori a basso reddito, un taglio delle detrazioni dei lavoratori ad alto reddito e tasse di successione più alte. Un'istruzione prescolastica globale stimolerebbe la crescita a lungo termine così come una maggiore attenzione alla formazione continua dell'adulto (mia precisazione) attraverso corsi online per esempio. La carbon tax contribuirebbe a ridurre il riscaldamento globale portando al tempo stesso a un aumento dei redditi elevati.

Dando per buona la premessa di Piketty secondo la quale la lotta alla disuguaglianza sarebbe ancora più prioritaria della crescita, è bene rammentare che molti cittadini dei Paesi in via di sviluppo dipendono dalla crescita dei Paesi ricchi per uscire dalla povertà. Il problema più grande del XXI secolo continua a essere la povertà estrema in Africa come altrove. L'élite straricca, ovvero l'0,1 per cento, dovrebbe pagare tasse molto più alte, ma non dimentichiamo che nella lotta alla disuguaglianza nel mondo il sistema capitalista ha segnato trent'anni straordinari.

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