Parla Scruton: “I terroristi islamici vengono dal nostro vuoto che fa sbadigliare”. Lo Stato islamico ha scelto un inglese per l’esecuzione di Foley per “testimoniare l’assoluto rigetto dell’identità occidentale”
“L’assassino di James Foley è il prodotto del multiculturalismo inglese”. Era coperto il volto del decapitatore dello Stato islamico di Iraq e Siria che ha tagliato la testa al reporter americano. I servizi britannici ritengono che sia un rapper inglese, “John il jihadista”, come era stato inizialmente identificato il terrorista islamico. Si tratterebbe di Abdel Majed Abdel Bary, un membro del gruppo britannico conosciuto come “The Beatles” che ha lasciato la casa di famiglia in un elegante quartiere della capitale inglese un anno fa per combattere al fianco dei jihadisti.
Secondo il filosofo e commentatore Roger Scruton, fra le voci più note e ascoltate d’Inghilterra, dietro a quella lama c’è “una politica che ha portato alla frammentazione sociale. E’ questo il multiculturalismo. L’islam non accetta il dominio laico della legge e per questo germoglia nell’Europa ultra secolarista. I killer di Iraq e Siria sono musulmani che credono che Dio li abbia autorizzati a uccidere e la loro religione non dà a nessuno l’autorità di fermarli. Tutto quello che il multiculturalismo ha ottenuto è distruggere una cultura pubblica condivisa, e al suo posto ci ha messo un vuoto che fa sbadigliare. Il più grande bisogno umano non è la libertà, come pensano i liberal, ma l’obbedienza, come hanno capito i musulmani. Giovani delle minoranze islamiche, come quelli che nell’estate del 2005 uccisero cinquanta persone innocenti a Londra, sono i prodotti della follia multiculturale. E’ come se il Vecchio continente non avesse nulla da offrire loro”. Mesi fa venne fatto circolare dallo Stato islamico un video della propaganda dalla Siria: “Non mi sono mai sentito tanto musulmano quanto adesso”, ripete un cittadino belga nel filmato.
D’accordo con Roger Scruton l’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, il quale ieri ha denunciato “un multiculturalismo che ci ha portato soltanto sharia, delitti d’onore e mutilazioni”. Sarebbero inglesi cinquecento degli oltre duemila musulmani con passaporto europeo andati a fare il jihad in Siria e Iraq. Secondo Charlie Cooper, un ricercatore della Quilliam Foundation, lo Stato islamico ha scelto un inglese per l’esecuzione di Foley per testimoniare al mondo “il completo rifiuto della nazionalità britannica”. Come se la decapitazione fosse la celebrazione di uno scisma. I terroristi inglesi sono “i più efferati” in Siria e Iraq, secondo Shiraz Maher, analista del King’s College di Londra. E per rimarcare il fenomeno, il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond ha detto che questi sudditi di Sua Maestà sono anche coloro che “commissionano le atrocità”. Altro che manovalanza europea. Sono europee le menti dei bagni di sangue di cristiani, yazidi, sciiti e cittadini americani.
“Esportavamo libertà, oggi terroristi”
Abdul Waheed Majeed, un padre di tre bambini di Crawley, nel Sussex, si è appena fatto esplodere ad Aleppo. Uno dei tanti inglesi morti sul suolo siriano e iracheno negli ultimi mesi. Ieri il quotidiano Daily Mail pubblicava le fotografie di una comitiva di musulmani inglesi all’aeroporto di Gatwick. Sorridono e hanno un biglietto di sola andata per Antalya, Turchia, una delle porte d’accesso per la guerra santa. Vengono tutti dalla cittadina inglese di Portsmouth. Trenta inglesi ogni mese lasciano Londra per il “Jihad Express”. La loro vita media sui campi di battaglia è di tre giorni. Un paradosso ben sintetizzato da Douglas Murray sullo Spectator: “Il paese che ha esportato la libertà in tutto il mondo adesso esporta terrorismo”. Un nichilismo che ha il volto di un teenager islamico con passaporto francese, la maglietta di Dolce & Gabbana, il Corano e un fucile nell’altra mano. Europei che dicono di andare a “espiare i peccati”. La morte è la loro ricompensa. I peccati sono quelli dell’Europa. La voce che li ha declamati a James Foley, nella sabbia di Raqqa, aveva un accento da “multicultural London English”.
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