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uando hanno letto il testo definitivo del decreto legge di agosto, in Banca d’Italia sono corsi in mensa. A seconda del rango potevano trovare un brut metodo classico della Banfi spumante o un prosecco di Valdobbiadene. Ce ne è sempre qualcuno in ghiaccio nelle foresterie di via Nazionale da quando il gruppo britannico Compass ha vinto il principesco appalto per le mense della banca centrale italiane. Ma i aprimi di agosto sono volati i tappi di quegli spumanti. Perché nel decreto per gran parte dei dirigenti e dei funzionari di via Nazionale c’era una buona notizia: quella del contributo di solidarietà sui redditi sopra i 90 e i 150 mila euro. Per tutti gli altri italiani è stata una mazzata. Per i guardiani del rigore dei conti pubblici nazionali, no.A loro quel prelievo del 5% (sopra i 90 mila euro) e del 10% (sopra i 150 mila euro) era già scattato fra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 sulla base di un decreto legge del 31 maggio 2010 che tagliava gli stipendi più alti dei dipendenti pubblici. Banca d’Italia ha la sua autonomia, e non è che il taglio sia scattato in automatico in via Nazionale. Ma di fronte al pressing dell’opinione pubblica e anche per essere coerente con le proprie prediche, il governatore Mario Draghi decise di estendere in quel territorio riservato la legge che nel resto d’Italia valeva per tutti i dipendenti pubblici. Con il nuovo decreto però le norme a cui Draghi e i il direttorio facevano riferimento, sono state abrogate. Per questo si è stappato lo spumante in banca: i tagli dei loro stipendi sono salvi. E anche quel che finora è avvenuto dovrà essere restituito. Certo, anche lì come accadrà a tutti gli altri italiani, si dovrà pagare il contributo di solidarietà. Ma anche nella peggiore delle ipotesi sarà più leggero: è deducibile (i tagli precedenti non lo erano) e quindi verrà dimezzato. Può essere che venga ulteriormente alleggerito durante il passaggio parlamentare, magari verrà calibrato secondo il quoziente familiare, può anche essere che salti tutto o in parte. La notizia quindi è certa: le buste paga in Bankitalia verranno rimpinguate, e non di poco.
Funziona tutto a rovescio lì fra le mura di via Nazionale. Si passa il giorno a tuonare contro il resto del Paese che vive al di sopra delle sue possibilità, e in Banca di Italia la possibilità crescono, si allargano a dismisura, sembrano più vicine a quelle di una corte reale che ai già generosi palazzi contigui della Repubblica. Il bando sui servizi di ristorazione che regola la pagnotta quotidiana sia nelle foresterie dei piani nobili che nelle più ordinarie mense sembra essere nato da Buckingham Palace e non da quel severo custode del rigore e del risparmio pubblico che la Banca d’Italia è, almeno nell’immaginario collettivo. Potrebbe trattarsi solo di uno sfizio, o di una particolare estrema attenzione alla buona alimentazione. Ma non è un caso isolato: il mondo capovolto sembra davvero essere la regola in via Nazionale.
Basta prendere i contratti del personale. Anche lì i sindacati come ovunque si lamentano ogni tre per due. Eppure l’ultimo ha regalato scatti trasversali che si sognano altri dipendenti del settore pubblico e di quello privato, facendo lievitare oltremodo la spesa per il personale. Nel 2009 la media degli stipendi pro capite in Banca di Italia era di 93.800 euro. L’anno scorso è salita a 95.900 euro. Con gli oneri accessori il dato medio delle retribuzioni è stato addirittura di 114.900 euro. Non ci sono molti altri posti dove si possano vantare buste paga medie così elevate. Le prediche del Governatore dunque sono assai efficaci fuori, un po’ meno dentro le mura.
Non molto diverso il doppio concetto che in Banca di Italia si ha del welfare. Quello italiano dovrebbe tirare la cinghia, ridurre la spesa sanitaria e quella pensionistica, alzando l’età del meritato riposo. All’interno della Banca il concetto è capovolto. Nel 2010 sono state mandate via 511 persone, e buona parte di queste (uno su tre) grazie agli scivoli (53 milioni di euro) pagati dalla banca verso il pensionamento anticipato di anzianità. In bilancio sono stati subito accantonati ulteriori 23 milioni e nel primo bimestre 2011 altri 119 se ne sono andati via dalla banca centrale, e la metà (56) si sono presi lo scivolo verso la pensione di anzianità. Quindi lì si fa quel che si vorrebbe (giustamente) vietare al resto di Italia.
Non male a proposito di welfare anche l’ultimo accordo sottoscritto dai dipendenti sulla assistenza sanitaria. La polizza assicurativa attuale costava 1.180 euro all’anno: 830 li metteva la banca centrale, e 350 ciascun dipendente. La nuova formula sottoscritta a luglio allarga il campo delle prestazioni, prevede una polizza base di 1.250 euro, di cui 1.180 saranno a carico della banca e solo 70 pagate dai dipendenti. E’ come se nella sistema sanitario nazionale invece di mettere i ticket ai cittadini si fossero allargate invece le prestazioni a carico dello Stato.
Nel mondo che vive alla rovescia, mentre l’Italia tira la cinghia e vive preoccupata dalla crisi, in Banca d’Italia i dipendenti hanno una sola preoccupazione: le promozioni a condirettore e gli avanzamenti di carriera per cui da settembre saranno sottoposti a prove di valutazione che ritengono troppo stringenti. Ma di promozioni dicono che cv’è gran bisogno: fin qui nel 2011 hanno avuto lo scatto di grado solo 95 dipendenti e da un po’ di tempo non si stava largheggiando. 69 promozioni nel 2010, 79 nel 2009, 92 nel 2008, 78 nel 2007. Certo, uno lavora tutto il giorno senza mai protestare e si immagina di potere fare carriera un po’ più velocemente. Se Draghi era di manica corta, magari il suo successore largheggerà un po’…