Avrete notato che con il caso di Guido Barilla è emerso il lato autoritario, prescrittivo, del politicamente corretto
Avrete notato che con il caso di Guido Barilla è emerso il lato autoritario, prescrittivo, del politicamente corretto. Tu industriale della pasta non puoi dire alla radio che per te, con rispetto per tutti, quel che conta, quel che importa ai fini dello sviluppo, dell'investimento, dell'immagine, del marketing, è la famiglia tradizionale biparentale, maschio e femmina e bambini al seguito. Il Mulino bianco, lo spaghetto, i biscottini entrano nello spettro delle cose scorrette e discriminatorie se non si combinano con uno spot gay o «favorevole all'integrazione», secondo il linguaggio edulcorato o eufemistico scelto da Dario Fo, già testimonial della pubblicità Barilla. Guido Barilla viene aggredito, non solo in Italia, non solo dai militanti della cultura gay, non solo dai progressisti cosiddetti: ormai il linguaggio della correttezza ideologica è unificato, lo condividono le grandi maggioranze conformiste, è una seconda pelle della nostra cultura. L'aggressione punta a risultati umilianti e li ottiene, Barilla è costretto a scusarsi, anche con i suoi dipendenti, perché certe opinioni sono o stanno per diventare crimine di legge, alla faccia del diritto di pensiero e di parola, alla faccia delle libertà liberali. È un caso Buttiglione undici anni dopo. Ci fu almeno un principio di controversia, si sentirono voci discordanti, quando fu fatto fuori da commissario il politico cattolico che al tribunale della coscienza laica di Bruxelles, fattosi organo della caccia alle streghe sul tema dei diritti gay, rispose di conoscere la differenza tra diritto e morale, ma che in termini di morale la sua cultura cattolica gli suggeriva un giudizio negativo sul comportamento omosessuale. Ora non c'è più nemmeno la controversia, Barilla se lo sono cucinato in pochi istanti, il tempo di cottura di mezzo chilo di fusilli.
Intanto in Francia sono tornati i giacobini. Il ministro dell'Istruzione vuole scristianizzare la società e la scuola, formula decaloghi per l'indottrinamento anticattolico, si cancellano le feste religiose, si tolgono di mezzo i santi, si predica apertamente la religione dello Stato laico come l'unica religione ammessa, con i suoi dogmi, le sue certezze, il suo autocontraddittorio farsi dottrina valida per tutti. I politici cattolici e democristiani in giro per l'Europa se ne impipano, i vescovi parlano d'altro, magari interpretano le frequenti interviste e gli interventi di Papa Francesco come un via libera: non giudicare è evangelico, credere è evangelico, avere fede è meglio di niente, ma il diritto all'espressione razionale, la libertà di dire e di pensare quel che sembra giusto non è disponibile, o non dovrebbe esserlo. Eppure un certo grado di autoritarismo repressivo si affaccia come una necessità se si intenda riformare e riaggiustare dalle radici la società e il set più o meno tradizionale di opinioni che la riguardano.
La tecnica è quella dei totalitarismi democratici moderni, che sono cosa diversa dai fascismi e dal nazismo. Si procede negando la realtà, il fatto, e dando tutto il potere alle formule verbali che edulcorano o deformano in modo anche grottesco ciò che è. Il caso Berlusconi non è così diverso. Il politicamente corretto, che costituisce un regime culturale, non può sopportare lo sguardo del reale, del senso comune. È stranoto che c'è un conflitto tra politica e giustizia, che questo conflitto dura dall'epoca in cui furono liquidati i partiti politici, che il partito dei pm e dei giudici ha surrogato gli altri poteri abrogando la divisione dei poteri, che lobby mediatiche e finanziarie e civili importanti hanno costruito sulle avventure della giustizia politicizzata le loro fortune. È tutto lì squadernato davanti agli occhi del pubblico, solo che si voglia guardare: magistrati che fondano partiti o si buttano con risultati mediocri in politica, pm che fanno secco una volta un governo Berlusconi e la volta dopo un governo Prodi in un circuito senza controllo di prepotere e di uso politico della giurisdizione, l'alleanza con i media manettari all'insegna della violazione sistematica del segreto investigativo, e si potrebbe continuare a lungo.
Ma bisogna resistere alla realtà, evitare di confrontarsi l'evidenza. E allora si ricorre al linguaggio, al conformismo del linguaggio interpretativo. Bisogna tenere separata la questione della condanna di Berlusconi dalla politica, oops, ma come si fa se da vent'anni il centrodestra denuncia una manovra mediatico-giudiziaria ai danni della politica e del suo capo politico? Eppure con questi espedienti ideologici fatti di formule si fomenta un'aggressione vasta e aspra all'Arcinemico, accusato di eversione perché protesta contro quella che considera un'ingiustizia capace di svuotare lo Stato di diritto e la democrazia del suo contenuto e della sua forma. Qui non è in questione un cambio di governo o di maggioranza, l'obiettivo dei politicamente corretti è l'instaurazione di un regime mentalmente carcerario, di una grande prigione culturale.
Intanto in Francia sono tornati i giacobini. Il ministro dell'Istruzione vuole scristianizzare la società e la scuola, formula decaloghi per l'indottrinamento anticattolico, si cancellano le feste religiose, si tolgono di mezzo i santi, si predica apertamente la religione dello Stato laico come l'unica religione ammessa, con i suoi dogmi, le sue certezze, il suo autocontraddittorio farsi dottrina valida per tutti. I politici cattolici e democristiani in giro per l'Europa se ne impipano, i vescovi parlano d'altro, magari interpretano le frequenti interviste e gli interventi di Papa Francesco come un via libera: non giudicare è evangelico, credere è evangelico, avere fede è meglio di niente, ma il diritto all'espressione razionale, la libertà di dire e di pensare quel che sembra giusto non è disponibile, o non dovrebbe esserlo. Eppure un certo grado di autoritarismo repressivo si affaccia come una necessità se si intenda riformare e riaggiustare dalle radici la società e il set più o meno tradizionale di opinioni che la riguardano.
La tecnica è quella dei totalitarismi democratici moderni, che sono cosa diversa dai fascismi e dal nazismo. Si procede negando la realtà, il fatto, e dando tutto il potere alle formule verbali che edulcorano o deformano in modo anche grottesco ciò che è. Il caso Berlusconi non è così diverso. Il politicamente corretto, che costituisce un regime culturale, non può sopportare lo sguardo del reale, del senso comune. È stranoto che c'è un conflitto tra politica e giustizia, che questo conflitto dura dall'epoca in cui furono liquidati i partiti politici, che il partito dei pm e dei giudici ha surrogato gli altri poteri abrogando la divisione dei poteri, che lobby mediatiche e finanziarie e civili importanti hanno costruito sulle avventure della giustizia politicizzata le loro fortune. È tutto lì squadernato davanti agli occhi del pubblico, solo che si voglia guardare: magistrati che fondano partiti o si buttano con risultati mediocri in politica, pm che fanno secco una volta un governo Berlusconi e la volta dopo un governo Prodi in un circuito senza controllo di prepotere e di uso politico della giurisdizione, l'alleanza con i media manettari all'insegna della violazione sistematica del segreto investigativo, e si potrebbe continuare a lungo.
Ma bisogna resistere alla realtà, evitare di confrontarsi l'evidenza. E allora si ricorre al linguaggio, al conformismo del linguaggio interpretativo. Bisogna tenere separata la questione della condanna di Berlusconi dalla politica, oops, ma come si fa se da vent'anni il centrodestra denuncia una manovra mediatico-giudiziaria ai danni della politica e del suo capo politico? Eppure con questi espedienti ideologici fatti di formule si fomenta un'aggressione vasta e aspra all'Arcinemico, accusato di eversione perché protesta contro quella che considera un'ingiustizia capace di svuotare lo Stato di diritto e la democrazia del suo contenuto e della sua forma. Qui non è in questione un cambio di governo o di maggioranza, l'obiettivo dei politicamente corretti è l'instaurazione di un regime mentalmente carcerario, di una grande prigione culturale.
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