La terza e ultima puntata del saggio del professor Guarino
Ristabilire la legalità dei Trattati e rivitalizzare la democrazia. La strategia in un saggio di diritto
Il 1° gennaio 1999 è stata immessa sui mercati la moneta disciplinata dal regolamento 1466/97. Se si accerterà che la disciplina del regolamento è diversa, anzi opposta rispetto a quella del Tue, bisognerà concludere che l’euro circolante dal 1° gennaio 1999 è un’altra moneta rispetto a quella del Trattato. Questa nuova moneta usa il nome e i simboli di quella voluta dal Trattato. La moneta disciplinata dal Trattato è l’unica “autentica”. Non essendo avvenuto il suo lancio né alla data stabilita, né in qualsiasi altra successiva, l’“euro autentico” è una moneta mai nata. Quella che usurpa il suo nome, e che è stata presentata come se fosse quella del Trattato e in quanto tale accettata nei mercati, è una moneta falsa che, nascoste le proprie natura e identità, si appropria di quelle dell’euro autentico.
Cosa fare, dunque?
Non è facile a dirsi. Vi è un ostacolo che potrebbe considerarsi dirimente. Si aggiungono ostacoli connessi. L’ostacolo dirimente è conseguenza diretta della inesistenza di un vertice politico. L’Ue e l’Eurozona costituiscono un organismo “robotizzato” complesso. I titolari degli organi, a tutti i livelli, compresi quelli più elevati, sono tenuti a osservare e a far osservare le norme in vigore. L’avrebbero dovuto fare i titolari degli organi negli anni 1996-1999. Non lo fecero. Purtroppo lo fanno oggi. Vi sono costretti!
Per derobotizzare il sistema occorrerebbe un colpo di stato, diretto alla creazione di un nuovo regime (democratico) o quanto meno per reintrodurre, sia pur tardivamente, quello soppresso nel 1999. Appare difficile che avvenga.
Cosa fare, dunque?
Non è facile a dirsi. Vi è un ostacolo che potrebbe considerarsi dirimente. Si aggiungono ostacoli connessi. L’ostacolo dirimente è conseguenza diretta della inesistenza di un vertice politico. L’Ue e l’Eurozona costituiscono un organismo “robotizzato” complesso. I titolari degli organi, a tutti i livelli, compresi quelli più elevati, sono tenuti a osservare e a far osservare le norme in vigore. L’avrebbero dovuto fare i titolari degli organi negli anni 1996-1999. Non lo fecero. Purtroppo lo fanno oggi. Vi sono costretti!
Per derobotizzare il sistema occorrerebbe un colpo di stato, diretto alla creazione di un nuovo regime (democratico) o quanto meno per reintrodurre, sia pur tardivamente, quello soppresso nel 1999. Appare difficile che avvenga.
Un ostacolo, se ne è fatto già cenno, potrebbe essere rappresentato dal coinvolgimento di attuali detentori della titolarità degli organi costituzionali dell’Unione e in particolare degli stati membri, nella adozione degli atti con i quali fu attuato il golpe del 1999 (ipotesi, dato il tempo trascorso, che potrebbe riguardare oggi un numero limitato di soggetti) ovvero nell’adozione e nella emanazione di atti applicativi o comunque derivati dal regolamento 1466/97 e da quelli a esso successivi, e/o che a tali abbiano dato seguito, mentre sarebbe stato loro dovere istituzionale impedirne l’adozione o rimuoverne gli effetti. E’ un gruppo probabilmente folto. La questione va considerata avendo riguardo non alla sola Unione, ma anche e forse soprattutto, ai singoli paesi membri senza deroga (per “stati con deroga” s’intende invece quelli che hanno potuto conservare la propria moneta, ndr).
Il passato coinvolgimento nell’adozione degli atti illegali e/o nella loro esecuzione di titolari attuali di organi costituzionali degli stati membri che nella ipotesi già esaminata appariva un ostacolo, potrebbe alternativamente trasformarsi in fattore favorevole. Molti, specie qualcuno degli anni più recenti, sono stati influenzati dai precedenti, cui in buona fede potrebbero avere ritenuto di doversi attenere. Scoperta “la verità”, stimolati dalle loro attuali posizioni di autorità, potrebbero proporsi essi stessi come attori e protagonisti del processo di restaurazione innovativa.
Le condizioni disastrate della economia si sono riflesse sulla classe politica e nelle condotte comuni. La classe politica attuale risente della assenza di prospettive, effetto della robotizzazione. Ci sarà qualcuno pronto ad alzare la bandiera della “rivoluzione”, cioè di quanto si dovrebbe fare per spalancare le porte che si aprono sul futuro (la rinascita)? Sì, è possibile. Nel 1945 il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Unione sovietica, continuavano a essere governate dagli artefici della vittoria. Germania, Italia e anche la Francia in qualche misura ebbero governanti nuovi. Alcuni di questi erano all’inizio sconosciuti. Avrebbero retto le responsabilità collettive con prestigio e successo. Sono le grandi emergenze storiche a creare i grandi personaggi, non l’inverso. Emerse le prospettive, un politico di antica esperienza, o giovane già affermato, o anche uno del tutto nuovo, potrebbe assumere il ruolo di protagonista.
Le condizioni disastrate della economia si sono riflesse sulla classe politica e nelle condotte comuni. La classe politica attuale risente della assenza di prospettive, effetto della robotizzazione. Ci sarà qualcuno pronto ad alzare la bandiera della “rivoluzione”, cioè di quanto si dovrebbe fare per spalancare le porte che si aprono sul futuro (la rinascita)? Sì, è possibile. Nel 1945 il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Unione sovietica, continuavano a essere governate dagli artefici della vittoria. Germania, Italia e anche la Francia in qualche misura ebbero governanti nuovi. Alcuni di questi erano all’inizio sconosciuti. Avrebbero retto le responsabilità collettive con prestigio e successo. Sono le grandi emergenze storiche a creare i grandi personaggi, non l’inverso. Emerse le prospettive, un politico di antica esperienza, o giovane già affermato, o anche uno del tutto nuovo, potrebbe assumere il ruolo di protagonista.
E’ possibile derobotizzare legalmente il sistema? La robotizzazione si lega alla peculiarità del singolo sistema. Per dipanare le componenti, bisogna individuare innanzitutto il principio primo ante robotizzazione e confrontarlo con quello del sistema robotizzato. Il principio primo va desunto dalla disciplina. Quale è la disciplina “legale” oggi in vigore? E’ quella del Trattato di Lisbona, stipulato il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. E’ una fonte di rango massimo. Abroga, se anteriori, tutti gli atti con essa incompatibili, di rango pari o inferiore. Preclude l’osservanza, con effetto immediato, degli atti inferiori successivi, se incompatibili. Prevale su quelli successivi affetti da “inesistenza”. Nel Trattato di Lisbona gli artt. 102 A, 103, 104 c) del Trattato dell’Unione europea sono riportati testualmente negli artt. 120, 121 e 126. Non basta tuttavia che si individui con esattezza il diritto vigente. Occorre che sul punto si formi un fermo e diffuso convincimento generale.
Ne consegue che, tanto per cominciare, ogni operatore giuridico pubblico di qualsiasi livello non deve farsi suggestionare da falsi idoli o da non dovuti rispetti.Le imposizioni, i suggerimenti o anche le semplici manifestazioni di opinioni che siano espressione di princìpi, o applicazione di norme e di atti che non siano riconducibili al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue, Lisbona), devono essere respinte con fermezza. Bisogna essere implacabili nell’esigere che qualsiasi atto o anche semplice manifestazione di opinione di titolari di funzioni nell’Unione o in singoli stati membri che prenda iniziativa o faccia dichiarazioni sui paesi diversi dal suo, specifichi in modo formale e preciso la norma del Tfue sulla quale ritiene di poter basare la sua condotta. Se la indicazione non risulta esatta va richiesto con fermezza il riconoscimento dell’errore, riservandosi di farne valere le responsabilità.
Dopo quindici anni di diffusa e dominante illegalità il primo passo, assolutamente necessario, deve essere diretto a ricondurre la generalità delle condotte al rispetto della legalità.
Come fare?
Ristabilire la democrazia e diffondere il convincimento della necessità del ritorno alla legalità sono passi necessari. Ma non può essere trascurato il fattore tempo. Servono decisioni, che se arrivano tardi, potrebbero non essere più sufficienti, forse nemmeno più idonee.
Tutti gli stati a partire da quelli con deroga potrebbero essere interessati alla questione che si va a esaminare. Lo sono principalmente i paesi membri senza deroga, in numero di 17. Potrebbero decidere di mettere in comune la loro sovranità creando una nuova entità politica, cui affidare la gestione di una moneta comune a sua volta di nuova creazione. Nessuna norma del Tfue lo vieta. Gli stati conservano la piena titolarità della loro sovranità. Ne possono far uso in piena libertà, sempre che non vi ostino disposizioni di diritto europeo. La moneta comune creata dai 17 stati avrebbe titolo a circolare con valore legale all’interno dell’Unione alla stregua delle monete nazionali di singoli paesi dell’Unione, quali ad esempio la sterlina inglese e la corona svedese. L’originario Tue e i Trattati successivi non fanno distinzione tra l’una e l’altra moneta degli stati senza deroga in base alle dimensioni e alle peculiarità delle economie.
Dopo quindici anni di diffusa e dominante illegalità il primo passo, assolutamente necessario, deve essere diretto a ricondurre la generalità delle condotte al rispetto della legalità.
Come fare?
Ristabilire la democrazia e diffondere il convincimento della necessità del ritorno alla legalità sono passi necessari. Ma non può essere trascurato il fattore tempo. Servono decisioni, che se arrivano tardi, potrebbero non essere più sufficienti, forse nemmeno più idonee.
Tutti gli stati a partire da quelli con deroga potrebbero essere interessati alla questione che si va a esaminare. Lo sono principalmente i paesi membri senza deroga, in numero di 17. Potrebbero decidere di mettere in comune la loro sovranità creando una nuova entità politica, cui affidare la gestione di una moneta comune a sua volta di nuova creazione. Nessuna norma del Tfue lo vieta. Gli stati conservano la piena titolarità della loro sovranità. Ne possono far uso in piena libertà, sempre che non vi ostino disposizioni di diritto europeo. La moneta comune creata dai 17 stati avrebbe titolo a circolare con valore legale all’interno dell’Unione alla stregua delle monete nazionali di singoli paesi dell’Unione, quali ad esempio la sterlina inglese e la corona svedese. L’originario Tue e i Trattati successivi non fanno distinzione tra l’una e l’altra moneta degli stati senza deroga in base alle dimensioni e alle peculiarità delle economie.
Vi sono però due difficoltà. L’una è rappresentata dalla urgenza. Se non si raggiunge un accordo in tempi brevi, si rischia di arrivare in ritardo. L’area dei paesi che si avvicinano in modo preoccupante al punto di rottura si va allargando. Una implosione, singola o plurima, accrescerebbe le divisioni.
La seconda consiste nel mancato conseguimento della “coesione”. La Germania, il paese con maggiore popolazione, con la più forte economia, non ha dovuto soggiacere a modifiche rilevanti della propria conformazione. E’ stata una delle tre economie chiamate a costituire il modello al quale, nella fase della omogeneizzazione, le altre economie dovevano conformarsi. Ha subìto danni consistenti della specie del “lucro cessante”. Gli altri paesi danneggiati in misure generalmente minime per lucro cessante, hanno subìto danni emergenti, in misura rilevante. La diversità dei risultati ha in qualche misura deteriorato i rapporti. Alla soluzione ottimale si perverrà. Ma richiederà tempo.
La seconda consiste nel mancato conseguimento della “coesione”. La Germania, il paese con maggiore popolazione, con la più forte economia, non ha dovuto soggiacere a modifiche rilevanti della propria conformazione. E’ stata una delle tre economie chiamate a costituire il modello al quale, nella fase della omogeneizzazione, le altre economie dovevano conformarsi. Ha subìto danni consistenti della specie del “lucro cessante”. Gli altri paesi danneggiati in misure generalmente minime per lucro cessante, hanno subìto danni emergenti, in misura rilevante. La diversità dei risultati ha in qualche misura deteriorato i rapporti. Alla soluzione ottimale si perverrà. Ma richiederà tempo.
Il risultato, se conseguibile in astratto dai 17, potrebbe essere raggiunto in minor tempo e minore difficoltà da un piccolo gruppo.
Difficoltà ve ne sarebbero egualmente, ma di tipo diverso. I singoli paesi euro, se decidessero di agire da soli, sarebbero esposti alle pressioni dei mercati, e anche di qualche paese estraneo all’Unione che aspirasse ad acquisirne il controllo economico e/o politico. La soglia minima, presupposta la creazione di un vertice politico comune, è rappresentata dal raggiungimento di un livello di pil sufficiente per reagire in modo adeguato alle pressioni esterne. Lo si potrebbe ipoteticamente indicare in un livello da collocarsi tra il sesto e il settimo posto nel mondo.
Sono almeno tre i paesi senza deroga per i quali la distanza dal punto di non ritorno si è accorciata in modo preoccupante. Ovviamente non si fanno nomi. Dell’Italia si può parlare. Il raggiungimento del punto di non ritorno richiederebbe ancora un buon tratto di cammino, almeno così si spera. Aggiungendo l’Italia ad altre tre ipotetiche economie dell’area euro si raggiungerebbero dimensioni che in una classifica mondiale collocherebbero le nuove entità intorno al decimo posto per popolazione e probabilmente intorno al quarto nel pil. Se vi si aggiungesse la Francia, per popolazione potrebbe ipotizzarsi un posto tra il quinto e il sesto, mentre per il pil sarebbe quasi sicuro il secondo posto, inferiore solo agli Stati Uniti.
Perché l’Italia e perché la Francia?
L’Italia è stata faro di civiltà per millenni. Dopo la stupefacente unificazione dell’Europa, realizzata dall’impero romano, prolungatasi per secoli, nel ’400 e nel ’500 del primo millennio, pur divisa e soggetta in parte a poteri esterni, ha acquistato una posizione di preminenza con l’Umanesimo e il Rinascimento, cui si aggiungeva un eccezionale livello di fioritura economica e anche di potenze militare e politica in singole entità politiche regionali. In Europa, salvo episodi marginali dovuti alla fase autoritaria, l’Italia non ha mai preteso di prevalere con le armi su parti di paesi confinanti.
La Francia è da più di un millennio il paese europeo più noto nel mondo. Re Luigi era già conosciuto in Mongolia quando un francescano olandese, Rubruck, chiese di presentarsi a suo nome a Mangu Khan, erede di Gengis Khan, recandosi da lui nel lontano Caracorum nel 1253, qualche decennio prima del viaggio di Marco Polo. Era un semplice caso che il gioielliere di corte fosse un francese? E che il figlio del gioielliere facesse da interprete in un dibattito tra Rubruck, il locale capo religioso musulmano, e il rappresentante delle fedi locali? La Francia fu tra i primi paesi a ricevere informazioni sull’avvicinarsi del pericoloso Tamerlano. In un primo tempo alleato di fatto per aver vinto e fatto prigioniero il tremendo nemico dei crociati, l’ottomano Bayezid, ma poi? Al re di Francia Tamerlano inviò una sua ambascia.
Difficoltà ve ne sarebbero egualmente, ma di tipo diverso. I singoli paesi euro, se decidessero di agire da soli, sarebbero esposti alle pressioni dei mercati, e anche di qualche paese estraneo all’Unione che aspirasse ad acquisirne il controllo economico e/o politico. La soglia minima, presupposta la creazione di un vertice politico comune, è rappresentata dal raggiungimento di un livello di pil sufficiente per reagire in modo adeguato alle pressioni esterne. Lo si potrebbe ipoteticamente indicare in un livello da collocarsi tra il sesto e il settimo posto nel mondo.
Sono almeno tre i paesi senza deroga per i quali la distanza dal punto di non ritorno si è accorciata in modo preoccupante. Ovviamente non si fanno nomi. Dell’Italia si può parlare. Il raggiungimento del punto di non ritorno richiederebbe ancora un buon tratto di cammino, almeno così si spera. Aggiungendo l’Italia ad altre tre ipotetiche economie dell’area euro si raggiungerebbero dimensioni che in una classifica mondiale collocherebbero le nuove entità intorno al decimo posto per popolazione e probabilmente intorno al quarto nel pil. Se vi si aggiungesse la Francia, per popolazione potrebbe ipotizzarsi un posto tra il quinto e il sesto, mentre per il pil sarebbe quasi sicuro il secondo posto, inferiore solo agli Stati Uniti.
Perché l’Italia e perché la Francia?
L’Italia è stata faro di civiltà per millenni. Dopo la stupefacente unificazione dell’Europa, realizzata dall’impero romano, prolungatasi per secoli, nel ’400 e nel ’500 del primo millennio, pur divisa e soggetta in parte a poteri esterni, ha acquistato una posizione di preminenza con l’Umanesimo e il Rinascimento, cui si aggiungeva un eccezionale livello di fioritura economica e anche di potenze militare e politica in singole entità politiche regionali. In Europa, salvo episodi marginali dovuti alla fase autoritaria, l’Italia non ha mai preteso di prevalere con le armi su parti di paesi confinanti.
La Francia è da più di un millennio il paese europeo più noto nel mondo. Re Luigi era già conosciuto in Mongolia quando un francescano olandese, Rubruck, chiese di presentarsi a suo nome a Mangu Khan, erede di Gengis Khan, recandosi da lui nel lontano Caracorum nel 1253, qualche decennio prima del viaggio di Marco Polo. Era un semplice caso che il gioielliere di corte fosse un francese? E che il figlio del gioielliere facesse da interprete in un dibattito tra Rubruck, il locale capo religioso musulmano, e il rappresentante delle fedi locali? La Francia fu tra i primi paesi a ricevere informazioni sull’avvicinarsi del pericoloso Tamerlano. In un primo tempo alleato di fatto per aver vinto e fatto prigioniero il tremendo nemico dei crociati, l’ottomano Bayezid, ma poi? Al re di Francia Tamerlano inviò una sua ambascia.
Anche Tamerlano aveva avvertito la necessità di conoscere un suo forte e probabile prossimo avversario prima di avventurarsi in Europa. Optò poi per la Cina. Prima di raggiungerla, morì. Pietro il Grande si recò in Francia di persona, per studiarne l’organizzazione amministrativa. Di lì nacque la burocrazia zarista, sfociata secoli dopo nel collettivismo. A sua volta, Maria Teresa d’Austria, ebbe cura di far studiare le grandi istituzioni del Regno di Francia, accademie, teatri, musei e l’organizzazione amministrativa. Il modello sarebbe stato recepito dalla Amministrazione asburgica la cui efficienza sarebbe rimasta proverbiale anche nei paesi occupati non germanici. La Francia, fino a Napoleone (un còrso!) non ha occupato e detenuto con la violenza territori di stati vicini. Fa eccezione il regno angioino nell’Italia meridionale. Ma che dire allora di Federico Barbarossa e del secolare dominio spagnolo nell’Italia meridionale e della presenza asburgica nell’Italia settentrionale? Il sogno europeistico di Napoleone fallì. Ma Napoleone fu presente alle più importanti discussioni per la formazione del Code Civil che, recepito dalla maggior parte dei paesi europei, nella regolazione dei rapporti tra privati si sarebbe sostituito al “diritto comune”, erede di quello giustineo, erede a sua volta di quello romano e che aveva dominato per secoli in tutta l’Europa. La Francia è stata governata per parecchi decenni da stranieri. L’italiano Mazarino, ma anche due importanti regine, entrambe di casa Medici, Caterina e Maria! A tre grandi personaggi che ressero la Francia per lunghi periodi quali di fatto potenti primi ministri fu concessa la berretta cardinalizia, privilegio che nessun altro stato europeo avrebbe potuto vantare. Furono Richelieu, Mazarino e un terzo, De Fleury, inizialmente precettore, poi di fatto primo ministro di Luigi XV, ma che potrebbe essere stato non meno importante degli altri due, per il lungo periodo di pace che riuscì a garantire al paese. Sconfitta nel 1870 la Francia, nella esposizione universale che seguì a breve, già primeggiava quale potenza civile, culturale, politica. Fino all’ultimo conflitto mondiale Parigi occupava nel mondo la posizione di prestigio che sarebbe stata poi di New York. Sono segni minimi, quelli elencati, ma sufficienti a testimoniare l’idoneità della Francia a rappresentare l’Europa. E come dimenticare l’apporto di Schuman, Monnet, Barre e Delors alla costruzione europea?
Passo dopo passo ci stiamo avvicinando al traguardo. Se si riuscisse partendo da un piccolo gruppo a creare un potere politico unico che gestisca una moneta comune, si aprirebbe un sentiero. Presto si aggiungerebbero altri, sino ad aggregare tutti. L’aggregazione iniziale in un piccolo gruppo renderebbe più facile la sperimentazione di forme organizzative, anticipatrici di quelle definitive.
Il passo successivo richiede il superamento di altre difficoltà. Abbiamo affermato, ma non ancora spiegato, se il Tue e ora il Tfue (Lisbona) consentano che uno stato senza deroga, che abbia superato a suo tempo lo scrutinio per l’ammissione all’euro, accertatane la maggiore convenienza nelle condizioni attuali, abbia il diritto di chiedere individualmente in qualsiasi momento e di ottenere il passaggio dalla disciplina di paese senza deroga a quella di paese con deroga.
La risposta è affermativa. L’ammissione all’euro si basa su una decisione volontaria. Si è acquisito un diritto al quale si può rinunciare. Non è prevista alcuna durata per la permanenza nel rango dei paesi con deroga. Sono ammessi anche paesi che non hanno i requisiti per accedere all’euro o che, avendoli, non ne hanno il desiderio. Non si vedrebbe come si potrebbe impedire a che del regime con deroga si giovino paesi, che avendo partecipato con entusiasmo all’Eurozona, abbiano dovuto constatare di non avere tratto il beneficio che l’Unione aveva garantito, una crescita dalle caratteristiche di cui all’art. 2 Tue.
Il passo successivo richiede il superamento di altre difficoltà. Abbiamo affermato, ma non ancora spiegato, se il Tue e ora il Tfue (Lisbona) consentano che uno stato senza deroga, che abbia superato a suo tempo lo scrutinio per l’ammissione all’euro, accertatane la maggiore convenienza nelle condizioni attuali, abbia il diritto di chiedere individualmente in qualsiasi momento e di ottenere il passaggio dalla disciplina di paese senza deroga a quella di paese con deroga.
La risposta è affermativa. L’ammissione all’euro si basa su una decisione volontaria. Si è acquisito un diritto al quale si può rinunciare. Non è prevista alcuna durata per la permanenza nel rango dei paesi con deroga. Sono ammessi anche paesi che non hanno i requisiti per accedere all’euro o che, avendoli, non ne hanno il desiderio. Non si vedrebbe come si potrebbe impedire a che del regime con deroga si giovino paesi, che avendo partecipato con entusiasmo all’Eurozona, abbiano dovuto constatare di non avere tratto il beneficio che l’Unione aveva garantito, una crescita dalle caratteristiche di cui all’art. 2 Tue.
Il passaggio al regime con deroga comporta che si risolvano problemi applicativi.Principale quello della determinazione del cambio tra la nuova moneta comune e l’euro. Sono problemi noti, che si pongono all’atto della ammissione di qualsiasi nuovo stato nell’Unione europea. La determinazione del valore di cambio di una moneta comune di più stati esentati dall’euro, costituirebbe in più una appropriata sede per comporre amichevolmente la questione del risarcimento dei danni provocati dall’Unione a ciascuno dei paesi esentati a seguito dell’imposizione illegale di una disciplina dell’euro diversa da quella pattuita all’atto della stipulazione del Trattato Ue.
Un’altra difficoltà sembra più difficile da superare. La “Democrazia” richiede condizioni di parità tra tutti indistintamente i partecipi nell’influenza esercitabile sul potere politico, responsabile della moneta e della economia comuni. Nel momento del voto, paritario in tutti gli aspetti, tutti diventano partecipi di una entità, che è la stessa per tutti. In quel momento, anche negli orientamenti che ne proverranno e di cui si sarà destinatari, tutti implicitamente e necessariamente avranno abbandonato la specifica entità di cui facevano parte per entrare in quella comune, che è di tutti. Nell’esprimersi con un voto, che corrisponda in modo esatto e completo al principio democratico, non si è più partecipi della nazione originaria. Tutti concorrono al consolidamento della nuova nazione, quella europea. Alcune delle identità nazionali in Europa sono relativamente recenti. Sono frutto di lotte e sacrifici. Non è semplice dismetterle, sia pur per realizzare uno storico avanzamento. Altre identità presenti in Europa, egualmente frutto di lotte e di sacrificio, sono più apparenti che reali. L’esempio lasciatoci da Roma nella costruzione del suo impero è emblematico. Alcuni dei suoi più importanti imperatori non erano né romani, né italici. Il nuovo livello di identità non eliminava quello antecedente. Lo integrava.
* Nei due grafici sopra riportati, è possibile osservare come solo la Germania sia cresciuta come prima della crisi (a sinistra, fonte Morgan Stanley) e come il livello delle esportazioni sia salito ancora di più (a destra, fonte Commissione europea)
Nessun commento:
Posta un commento