sabato 1 dicembre 2012

Dio strabenedica gli inglesi, di Riccardo Perissich


Nel Regno Unito torna in voga il “paradigma Churchill”, l’appello ad accelerare l’integrazione europea a patto che Londra ne rimanga fuori. Ma al continente conviene rinviare il divorzio

La costruzione europea nelle sue diverse denominazioni ha ormai sessant’anni di vita. Nel frattempo è passata da sei a ventisette, presto ventotto, membri e altri ancora bussano alla porta. Tutti hanno incontrato problemi seri nella loro partecipazione e crescenti difficoltà a spiegare il senso e le finalità del progetto alla loro opinione pubblica. I sondaggi mostrano ovunque una disaffezione dell’opinione verso l’Unione europea, ma il principio stesso dell’adesione continua a raccogliere la maggioranza dei consensi. Il Regno Unito rappresenta l’eccezione. In nessun altro paese il rapporto con le istituzioni e le politiche comuni è stato così travagliato. Nel momento in cui l’Europa affronta la sfida delle trasformazioni necessarie alla sopravvivenza dell’euro, il rapporto con la Gran Bretagna entra in una nuova fase critica che probabilmente potrà essere risolta solo con un chiarimento definitivo. (…)
E’ ormai convinzione diffusa che la Gran Bretagna e il continente europeo siano avviati verso un divorzio consensuale che tutti sperano non sia traumatico. Come si è arrivati a questo punto? Da quel tempestoso giorno del luglio 1970, la Gran Bretagna ha avuto otto primi ministri e quattro alternanze al potere dei due principali partiti; contrariamente a ciò che speravano i numerosissimi anglofili nel continente, l’atteggiamento del paese verso la costruzione europea non si è modificato ed è forse diventato ancora più ostile. La ragione va ricercata nella natura del dibattito interno sull’Europa. Da un lato vi sono gli euroscettici che considerano il progetto europeo, incarnato nelle sue istituzioni, profondamente estraneo alla cultura, alla storia e agli interessi del popolo britannico. Quando si tratta di Europa, in tutti i media europei dilagano gli stereotipi e le false rappresentazioni; tuttavia in nessun altro paese il fenomeno, con qualche eccezione, è così virulento e generalizzato. La Francia, la Germania e gli altri vi sono dipinti come attori irresponsabili colpiti da periodiche esplosioni di follia utopistica che solo la saggezza di Albione può tentare di contrastare, ma da cui è meglio tenersi alla larga. Le istituzioni europee sono ovunque piuttosto impopolari, ma in generale a causa di ciò che fanno (o più spesso non fanno); in Gran Bretagna sono detestate per quello che sono. Dall’altro lato vi sono i cosiddetti “europeisti” che non hanno mai pensato di poter spiegare all’opinione pubblica il progetto politico e hanno quindi ripiegato su un’interpretazione puramente mercantile presentandola come conforme agli interessi commerciali del paese. A prima vista questa scelta pragmatica non era priva di fondamento; l’integrazione commerciale procedeva con successo, ma il progetto politico sembrava appannato e sommerso dai dissensi fra gli altri paesi membri. Inoltre, la Gran Bretagna è un paese serio. Anche se può sembrare un paradosso e malgrado la scarsa simpatia per le istituzioni e per il concetto stesso di regole europee vincolanti, il Regno Unito ha spesso inviato alla Commissione esponenti di grande qualità (Christopher Soames, Roy Jenkins, Lord Cockfield, Leon Brittan) ed è sempre stato in prima linea nella corretta applicazione delle direttive europee. I responsabili britannici hanno però costantemente sottovalutato che dietro le reticenze francesi, gli egoismi tedeschi e quelli di tutti gli altri il progetto politico originario restava forte, come pure lo era il legame che univa Francia e Germania. Incapace di proporre un proprio paradigma dell’integrazione che tenesse conto del disegno dei padri fondatori, la Gran Bretagna si è vista costretta ad agire di rimessa e a opporsi o almeno tentare di rallentare ogni progresso nell’integrazione; salvo poi aderire, invocando a fini interni lo stato di necessità, quando il treno era già partito.
E’ possibile che ciò si ripeta a proposito dell’euro? E’ molto improbabile. Anche se la riforma dell’Eurozona dovesse avere successo, il processo sarà lungo, incerto e conflittuale e sarà teoricamente possibile sostenere l’opportunità di aderirvi solo quando si sarà pienamente stabilizzato e avrà dimostrato di funzionare. Nel frattempo la deriva è in senso opposto. Negli ultimi decenni gli europeisti pragmatici hanno dominato il governo (anche con la signora Thatcher che era comunque la più vicina alla pancia del proprio elettorato), ma gli euroscettici hanno dominato l’opinione pubblica e ora l’onda sta diventando irresistibile; quando dicono, “ci avevate spiegato che dovevamo aderire a un mercato comune e ora ci troviamo di fronte a un progetto politico su cui non siamo mai stati consultati”, hanno fondamentalmente ragione. Lo stesso Partito laburista che dopo gli sbandamenti degli anni 70 tentò di riprendere la bandiera europea, sta ora ripiegando su posizioni anti europee “da sinistra”, come dimostrato dalla posizione cinicamente restrittiva sul bilancio dell’Unione e dalle velleità di rimpatriare poteri utili a condurre una “politica industriale nazionale”. Dopo più di mezzo secolo, la Gran Bretagna ritorna al paradigma di Churchill: auspica un’integrazione del continente cui non può e non vuole partecipare. La Gran Bretagna ha speso gli ultimi cinque secoli della storia a impedire l’unità del continente per essere libera di guardare agli oceani; oggi l’impero non c’è più e il mondo intero auspica l’unione del continente. Il tagliente giudizio di Dean Acheson resta valido: un paese che ha perso un impero e non ha ancora trovato un ruolo. L’Europa è ai loro occhi allo stesso tempo troppo e troppo poco. Il problema è che nessuno sembra più interessato ad aiutarli a risolvere il dilemma. Nella loro concentrazione sulla tattica a discapito della strategia ed esclusivamente attenti alla propria opinione pubblica, i responsabili britannici non hanno saputo o voluto vedere l’evoluzione del continente nei loro confronti: lo straordinario patrimonio di fiducia, ammirazione e simpatia di cui il paese godeva ovunque e soprattutto in Germania si è ormai esaurito. Molti continuano a pensare che la partecipazione della Gran Bretagna all’Unione sia auspicabile e utile, ma nessuno è più pronto a fare grandi concessioni per conservarla. E’ un’evoluzione cui nessuno guarda con gioia; dopo tutto si tratta di un paese baluardo del mercato unico, che privò Hitler della vittoria totale e che in seguito ci ha dato i Beatles e gli Stones.
Restano da definire i tempi e le condizioni del divorzio; la complessità del processo e i pericoli che comporta non vanno presi alla leggera. Bisogna in primo luogo evitare ogni accelerazione. I britannici hanno interesse a ritardare il più possibile un dibattito lacerante e, se un referendum sembra ormai inevitabile, devono sapere su quale Europa chiederanno al paese di esprimersi. L’accelerazione non conviene ai continentali perché non sarebbe utile aprire un nuovo fronte oltre a quelli urgenti e tormentati che già esistono. Inoltre, è interesse di tutti preservare per quanto possibile l’integrità del mercato dell’Unione. Resta il fatto che ogni compromesso pragmatico discusso in futuro tenderà ad assumere la forma di un trattamento speciale concesso ai britannici e costituirà quindi un altro passo verso il divorzio e non verso la riconciliazione. Ci sono altri fattori che sconsigliano di accelerare il confronto. Gli americani continuano, anche se con minore insistenza, a considerare importante la partecipazione della Gran Bretagna all’Ue. Anche se l’euro è oggi il principale polo di aggregazione e il principale problema, l’Unione non è fatta di sola economia. Del settore della sicurezza interna si è già detto, ma c’è anche la politica estera e di difesa. Prima o poi, gli europei dovranno affrontare seriamente anche questa dimensione e, inevitabilmente, si porrà il problema di nuove cessioni di sovranità. Per il momento nulla di vincolante avviene in quel campo e Londra può ancora trovarvisi a suo agio. I paesi del continente, in questo caso paradossalmente soprattutto la Francia, continuano a ritenere importante il contributo britannico. E’ quindi questo, oltre al mercato unico, l’ultimo legame che tiene gli inglesi strutturalmente collegati all’Europa. Per quanto tempo?
Per quanto riguarda i modi, fondamentalmente vi sono due soluzioni possibili: uno statuto simile a quello della Norvegia e della Svizzera che darebbe al paese il massimo di libertà formale ma annullerebbe la sua capacità di influire sulle decisioni del resto dell’Europa, oppure una soluzione più strutturata che trasformerebbe l’Unione anche formalmente in un sistema a cerchi concentrici. Questa seconda soluzione presenterebbe problemi politici e istituzionali molto complessi ma è probabilmente maggiormente auspicabile, costituirebbe una formalizzazione di un processo già in atto e si potrebbe addirittura evitare di definirla un divorzio. La Gran Bretagna non è il solo paese che nutre dubbi politici fondamentali verso l’integrazione che si profila, anche se è certamente l’esempio più importante e virulento; la Svezia e la Repubblica Ceca sono altri due casi potenzialmente critici. Una soluzione strutturata eviterebbe defezioni disordinate e politicamente difficili da gestire; inoltre essa permetterebbe di affrontare anche altre questioni come quella della Turchia.
In tutti i casi, non è questo il momento della decisione. E’ per il momento nell’interesse di tutti che le istituzioni dell’Unione nella loro composizione attuale continuino a occuparsi anche di Eurolandia; il problema del ruolo dei rappresentanti britannici, per esempio nel Parlamento europeo, può essere gestito con pragmatismo. Non è però detto che gli eventi si sviluppino con pragmatismo e buon senso. Un corto circuito, causato da insipienza o calcolo sbagliato, può sempre intervenire. E’ improbabile che sia provocato dai continentali che hanno altre priorità e non hanno interesse ad avere in mano un cerino acceso. Può invece aver luogo a causa della dinamica interna della politica britannica, sempre più emotiva e imprevedibile; sarebbe un nuovo esempio di stupidità europea. Gli Dei accecano coloro che vogliono distruggere.

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