Sedici e 19 aprile sono due date importanti nella vita di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. La prima è quella della nascita, a Marktl am Inn in Baviera, ottantacinque anni fa. La seconda è la data dell'elezione al pontificato, nel 2005. Entrambe le ricorrenze hanno suscitato un'ondata di attenzione, di auguri da parte dei grandi della Terra, di innumerevoli messaggi di affetto, di segnali di tenerezza e di fiducia dai piccoli e dagli umili di ogni parte del mondo. Le due date sono anche un'occasione di riflessione e di bilancio per l'impatto di questo pontificato, che già segna di sè la storia. È il filone che vorrei seguire, chiedendomi quali caratteri fondamentali presenti l'opera di questo Papa e che cosa essa vada soprattutto dicendo alla Chiesa e al mondo. Non esiterei a definire la vita e il pontificato di Benedetto XVI con due aggettivi, che li caratterizzano come un cammino inseparabilmente drammatico e luminoso.
L'aspetto drammatico dell'esistenza di Joseph Ratzinger e della Sua azione quale Successore di Pietro risulta evidente se solo si pensa al contesto storico dei Suoi giorni: nato ai tempi della Repubblica di Weimar, l'attuale Papa ha vissuto molto presto gli anni sconvolgenti della dittatura nazionalsocialista e della guerra. Educato da genitori saldamente credenti, ha appreso con naturalezza la diffidenza verso le menzogne del potere, che lo ha portato da giovanissimo studente a dichiarare apertamente a chi con la forza del potere avrebbe voluto arruolarlo nelle file del regime che i suoi progetti erano totalmente diversi, perché nel suo cuore sentiva di essere chiamato al ministero di perdono e di carità del sacerdozio.
La reazione violenta che seguì a quella dichiarazione non smosse minimamente la fermezza del giovane Ratzinger, tanto che egli venne destinato a ruoli secondari e "insignificanti" nella difesa contraerea. Al dramma del totalitarismo seguì l'esperienza non meno difficile del dopoguerra, della Germania divisa fra i due blocchi, di un Occidente attraversato dalle contrapposizioni ideologiche e dal vento della contestazione del '68.
Il giovane sacerdote, professore di teologia, non cedette alle mode, e - come aveva lucidamente rifiutato da ragazzo la barbarie ideologica - così continuò a opporsi alle semplificazioni di letture ispirate ai "grandi racconti" delle ideologie, matrici di violenza e di strumentalizzazioni della dignità umana. Accanto a Giovanni Paolo II il Card. Ratzinger fu l'amico, il consigliere lucido e discreto, il compagno di viaggio messo al fianco del Mosé che Dio aveva scelto per attraversare il guado fra i due millenni. Gli scenari dello "scontro di civiltà" dell'inizio del nuovo Millennio hanno ulteriormente accentuato il senso drammatico dei processi in atto, di cui Papa Benedetto ha mostrato di avere precisa consapevolezza pronunciando sin dall'inizio il suo "no" deciso a ogni uso della violenza in nome di Dio, sia in forza della ragione rettamente adoperata, sia in forza della fede nell'unico Padre e Signore di tutti.
Ma il dramma ha attraversato anche dal di dentro la Chiesa: è la crisi della fede su cui questo Papa si è espresso con singolare chiarezza e determinazione. «Quando annunciai di voler istituire un Dicastero per la promozione della nuova evangelizzazione - affermava Benedetto XVI il 30 maggio del 2011 -, davo uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana». La crisi non è quella di superficie che possa toccare l'una o l'altra struttura della Chiesa, ma quella che va alla radice dell'intera esistenza credente. Si tratta di quella «perdita del senso del sacro, che giunge a porre in questione i fondamenti che apparivano indiscutibili, come la fede in un Dio creatore e provvidente, la rivelazione di Gesù Cristo unico salvatore, e la comune comprensione delle esperienze fondamentali dell'uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento a una legge morale naturale».
Davanti agli scenari del dramma in atto, Benedetto XVI non cede alla rinuncia o al pessimismo: egli non esita ad annunciare il grande "sì" di Dio risuonato in Gesù Cristo, e a proporre ragioni di vita e di speranza che rendano sensata la vita e bello l'impegno per il bene di tutti. Si tratta di un messaggio luminoso, che mira a promuovere e sostenere uno straordinario sforzo di rinnovamento della vita cristiana ed ecclesiale: come aveva affermato da giovane professore di teologia, la riforma «non consiste in una quantità di esercizi e istituzioni esteriori, ma nell'appartenere unicamente e interamente alla fraternità di Gesù Cristo...Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di un decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici, del rivolgersi a quella vera semplicità...che in fondo è un'eco della semplicità del Dio uno. Diventare semplici in questo senso - questo è il vero rinnovamento per noi cristiani, per ciascuno di noi e per la Chiesa intera» (Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, 301. 303).
L'autentica riforma voluta da questo Papa è, insomma, quella della conversione evangelica, la sola capace di riportare la Chiesa alla bellezza originaria e di farla risplendere come segno levato fra i popoli. Sarà da questo ritrovato riconoscimento del primato di Dio confessato e amato - cui precisamente punta l'anno della fede indetto per il 2012-2013 - che verrà la nuova primavera della Chiesa e del mondo, di cui gli uomini hanno immensa necessità e urgenza: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia - aveva detto qualche settimana prima di diventare Papa - sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto la porta dell'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità.
Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Subiaco, 1 Aprile 2005).
Tale è in prima persona questo Papa: e il riconoscimento sempre più ampio che gli viene tributato sta a dire che la forza della verità, da lui amata e servita, si irradia di per sé, attraverso la mitezza del gesto e la semplicità della vita, la forza dei ragionamenti e l'ascolto dell'altro, la testimonianza coraggiosa e la speranza vissuta. Che tutto questo raggiunga e illumini tante menti e tanti cuori è l'augurio più vero, certo il più gradito, che possiamo fare all'ottantacinquenne Papa, giovane di appena sette anni di pontificato...
L'aspetto drammatico dell'esistenza di Joseph Ratzinger e della Sua azione quale Successore di Pietro risulta evidente se solo si pensa al contesto storico dei Suoi giorni: nato ai tempi della Repubblica di Weimar, l'attuale Papa ha vissuto molto presto gli anni sconvolgenti della dittatura nazionalsocialista e della guerra. Educato da genitori saldamente credenti, ha appreso con naturalezza la diffidenza verso le menzogne del potere, che lo ha portato da giovanissimo studente a dichiarare apertamente a chi con la forza del potere avrebbe voluto arruolarlo nelle file del regime che i suoi progetti erano totalmente diversi, perché nel suo cuore sentiva di essere chiamato al ministero di perdono e di carità del sacerdozio.
La reazione violenta che seguì a quella dichiarazione non smosse minimamente la fermezza del giovane Ratzinger, tanto che egli venne destinato a ruoli secondari e "insignificanti" nella difesa contraerea. Al dramma del totalitarismo seguì l'esperienza non meno difficile del dopoguerra, della Germania divisa fra i due blocchi, di un Occidente attraversato dalle contrapposizioni ideologiche e dal vento della contestazione del '68.
Il giovane sacerdote, professore di teologia, non cedette alle mode, e - come aveva lucidamente rifiutato da ragazzo la barbarie ideologica - così continuò a opporsi alle semplificazioni di letture ispirate ai "grandi racconti" delle ideologie, matrici di violenza e di strumentalizzazioni della dignità umana. Accanto a Giovanni Paolo II il Card. Ratzinger fu l'amico, il consigliere lucido e discreto, il compagno di viaggio messo al fianco del Mosé che Dio aveva scelto per attraversare il guado fra i due millenni. Gli scenari dello "scontro di civiltà" dell'inizio del nuovo Millennio hanno ulteriormente accentuato il senso drammatico dei processi in atto, di cui Papa Benedetto ha mostrato di avere precisa consapevolezza pronunciando sin dall'inizio il suo "no" deciso a ogni uso della violenza in nome di Dio, sia in forza della ragione rettamente adoperata, sia in forza della fede nell'unico Padre e Signore di tutti.
Ma il dramma ha attraversato anche dal di dentro la Chiesa: è la crisi della fede su cui questo Papa si è espresso con singolare chiarezza e determinazione. «Quando annunciai di voler istituire un Dicastero per la promozione della nuova evangelizzazione - affermava Benedetto XVI il 30 maggio del 2011 -, davo uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana». La crisi non è quella di superficie che possa toccare l'una o l'altra struttura della Chiesa, ma quella che va alla radice dell'intera esistenza credente. Si tratta di quella «perdita del senso del sacro, che giunge a porre in questione i fondamenti che apparivano indiscutibili, come la fede in un Dio creatore e provvidente, la rivelazione di Gesù Cristo unico salvatore, e la comune comprensione delle esperienze fondamentali dell'uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento a una legge morale naturale».
Davanti agli scenari del dramma in atto, Benedetto XVI non cede alla rinuncia o al pessimismo: egli non esita ad annunciare il grande "sì" di Dio risuonato in Gesù Cristo, e a proporre ragioni di vita e di speranza che rendano sensata la vita e bello l'impegno per il bene di tutti. Si tratta di un messaggio luminoso, che mira a promuovere e sostenere uno straordinario sforzo di rinnovamento della vita cristiana ed ecclesiale: come aveva affermato da giovane professore di teologia, la riforma «non consiste in una quantità di esercizi e istituzioni esteriori, ma nell'appartenere unicamente e interamente alla fraternità di Gesù Cristo...Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di un decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici, del rivolgersi a quella vera semplicità...che in fondo è un'eco della semplicità del Dio uno. Diventare semplici in questo senso - questo è il vero rinnovamento per noi cristiani, per ciascuno di noi e per la Chiesa intera» (Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, 301. 303).
L'autentica riforma voluta da questo Papa è, insomma, quella della conversione evangelica, la sola capace di riportare la Chiesa alla bellezza originaria e di farla risplendere come segno levato fra i popoli. Sarà da questo ritrovato riconoscimento del primato di Dio confessato e amato - cui precisamente punta l'anno della fede indetto per il 2012-2013 - che verrà la nuova primavera della Chiesa e del mondo, di cui gli uomini hanno immensa necessità e urgenza: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia - aveva detto qualche settimana prima di diventare Papa - sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto la porta dell'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità.
Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Subiaco, 1 Aprile 2005).
Tale è in prima persona questo Papa: e il riconoscimento sempre più ampio che gli viene tributato sta a dire che la forza della verità, da lui amata e servita, si irradia di per sé, attraverso la mitezza del gesto e la semplicità della vita, la forza dei ragionamenti e l'ascolto dell'altro, la testimonianza coraggiosa e la speranza vissuta. Che tutto questo raggiunga e illumini tante menti e tanti cuori è l'augurio più vero, certo il più gradito, che possiamo fare all'ottantacinquenne Papa, giovane di appena sette anni di pontificato...
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