Delle mooncup non sapevo nemmeno l’esistenza, anche se la loro invenzione e messa in commercio è coeva a quella degli assorbenti (http://www.mum.org). Non credo di essere l’unica a non conoscerle, considerando che non è proprio semplice trovarle nelle parafarmacie o nei supermercati. Questo vuol dire che forse non sono un prodotto straordinariamente utile, una di quelle cose che se non ci fossero bisognerebbe inventarle, come si è dimostrato invece per altri, più comuni strumenti di igiene femminile.
In Italia, sono diventate un argomento di discussione da quando il Movimento 5 stelle ne ha fatto un’esempio di virtù ecologista. Non solo Grillo le ha sponsorizzate, a quanto si legge, nei suoi tour, ma gli e le aderenti al suo partito ne incentivano l’uso (così Federica Daga, capolista in Lazio; e Michele P, nel blog di Grillo).
Ci si chiederà cosa mai c’azzecchi un partito politico con l’intimità dell’igiene femminile, ma in fondo, se si guarda bene al Movimento 5 stelle, si può leggere un disegno coerente e razionale che, dalla produzione casalinga di detersivi al limone fino alle coppe della luna, prefigura il ritorno a uno stile di vita preindustriale.
Ho il sospetto che la maggior parte degli elettori del Movimento 5 stelle non abbia nemmeno letto il programma politico del partito. Bastava fermarsi al livello della protesta, agli sbotti di Grillo, alle sue minacce per essere convinti che il cambiamento fosse lì.
Gli stessi ammiccamenti di alcuni industriali come Del Vecchio o Biasion possono motivarsi come un appoggio di superficie verso quei no grillini alla vessazione burocratica e fiscale verso la quale chi avrebbe dovuto rappresentare in politica la cultura d’impresa non ha saputo dare una risposta.
Ma quei no rappresentano solo una parte del programma di Grillo. Come ogni partito che si presentano alle elezioni, anche M5S ha però un programma che non è fatto solo di rifiuti e ricuse, ma pure di proposte.
Il filo rosso di queste proposte è appunto una regressione a una sorta di economia ecologista di sussistenza, fatta di rimedi naturali, autoproduzione e autoconsumo dei beni di prima necessità, fanatiche decrescite in armonia con il Creato, rinnegamenti di una società del benessere che viene posta in contrapposizione netta con la preservazione del pianeta.
Tutti in bici, perché le bici non inquinano, e pazienza se le distanze che oggi percorriamo per raggiungere le nostre famiglie piuttosto che i luoghi di lavoro non sono proprio quelle dei contadi medioevali e se quindi non sarà l’incentivo all’uso delle bici comunali che risolverà il problema dell’inquinamento automobilistico.
Energia solare e eolica a iosa, perché sono fonti pulite e rinnovabili, e pazienza se non bastano a garantire l’energia necessaria agli stabilimenti industriali o l’illuminazione pubblica di notte, che dovranno quindi essere pur sempre fornite dalle fonti energetiche tradizionali.
Per le donne, sensibilizzazione (ci si augura solo quella!) all’uso delle coppe della luna, altro che assorbenti di cotone, che saranno pure riutilizzabili ma vanno lavati col detersivo. E poco importa la praticità, l’igiene, o anche solo quel minimo senso del pudore che vuole che le donne siano libere di scegliere come meglio sentirsi “in ordine”, senza avere il fiato della politica sul collo anche per cose così delicate e riservate.
Ma, soprattutto, poco importa che i prodotti usa e getta entrati in commercio su larga scala dopo il secondo dopoguerra hanno fatto la felicità di miliardi di donne, liberandole – insieme ad altri prodotti tipici dell’economia del benessere come gli elettrodomestici – dal giogo di una vita faticosa e scomoda.
Snobbando le possibilità stesse che il progresso ci sta offrendo in tema di smaltimento, riciclo e riuso dei rifiuti (compresi quelli per l’igiene femminile), la via breve di un ecologismo poco fantasioso è quella di offrire il passato come alternativa a un futuro da inventare e migliorare, di tendere a uno stato preindustriale da cui i nostri avi sono fuggiti migliorando le loro condizioni di vita a vantaggio di se stessi e delle generazioni future, di aspirare a bucoliche e inverosimili armonie con l’ambiente.
Avanti, quindi, come dice Grillo, a “tagliare l’erba sotto i piedi al sistema economico, escludendo il mercato ogniqualvolta sia possibile soddisfare i propri bisogni autonomamente, tramite l’autoproduzione, o instaurando rapporti con gli altri, attraverso scambi non mercantili basati sul dono e sulla reciprocità”. Le donne potranno non solo usare la stessa coppa negli anni, ma anche - perché no – scambiarsela tra loro, nell’ottica della reciprocità e della parsimonia nell’uso delle risorse, confidando nei turni (e non solo nei cicli) mestruali e limitando così il consumo del silicone necessario alla produzione.
A voler prendere sul serio il M5S, come il risultato elettorale impone di fare, ci aspetta un futuro che sa di ritorno al passato, perché la “decrescita – ha detto Grillo – è l’economia del futuro”, perché le marmellate della nonna sono più buone di quelle del supermercato, perché i fazzoletti di cotone profumano di lavanda, ma soprattutto perché non siamo in grado di comprendere che c’è un modo di avere cura del pianeta senza rinunciare alle conquiste di igiene e benessere che le generazioni precedenti ci hanno lasciato.
Tra un Rousseau che scriveva “Finché gli uomini si sono accontentati delle loro rustiche capanne, finché si sono limitati a cucire i loro abiti fatti di pelli con spine o lische …. essi sono vissuti liberi, sani, buoni e felici, nella misura in cui potevano esserlo secondo la loro natura” (J.-J. Rousseau, “Discorso sull’origine della disuguaglianza”, II Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XV, pagg. 879-883), e un Leopardi che guardava con disincanto la natura matrigna, chi ci ha preceduto sembra aver dato maggior credito al secondo, cercando di perfezionare e migliorare la propria esistenza e applicando l’intelligenza e la creatività al servizio delle mille scoperte che hanno reso più gradevole la vita. A noi spetta ora non regredire verso un’economia di sussistenza, ma rendere compatibili gli standard di vita a cui ci siamo abituati con i problemi dovuti alla scarsità delle risorse e all’impegno a consegnare a chi verrà dopo un pianeta vivibile.
Ricordo bene l’espressione sollevata sul volto delle mie nonne al pensiero che la loro nipote godesse di molte più comodità di quante non fossero a loro disposizione. Se vivessero ancora, sono certa che avrebbero un moto di pena per chi pensa che si stava meglio quando si stava peggio.
In Italia, sono diventate un argomento di discussione da quando il Movimento 5 stelle ne ha fatto un’esempio di virtù ecologista. Non solo Grillo le ha sponsorizzate, a quanto si legge, nei suoi tour, ma gli e le aderenti al suo partito ne incentivano l’uso (così Federica Daga, capolista in Lazio; e Michele P, nel blog di Grillo).
Ci si chiederà cosa mai c’azzecchi un partito politico con l’intimità dell’igiene femminile, ma in fondo, se si guarda bene al Movimento 5 stelle, si può leggere un disegno coerente e razionale che, dalla produzione casalinga di detersivi al limone fino alle coppe della luna, prefigura il ritorno a uno stile di vita preindustriale.
Ho il sospetto che la maggior parte degli elettori del Movimento 5 stelle non abbia nemmeno letto il programma politico del partito. Bastava fermarsi al livello della protesta, agli sbotti di Grillo, alle sue minacce per essere convinti che il cambiamento fosse lì.
Gli stessi ammiccamenti di alcuni industriali come Del Vecchio o Biasion possono motivarsi come un appoggio di superficie verso quei no grillini alla vessazione burocratica e fiscale verso la quale chi avrebbe dovuto rappresentare in politica la cultura d’impresa non ha saputo dare una risposta.
Ma quei no rappresentano solo una parte del programma di Grillo. Come ogni partito che si presentano alle elezioni, anche M5S ha però un programma che non è fatto solo di rifiuti e ricuse, ma pure di proposte.
Il filo rosso di queste proposte è appunto una regressione a una sorta di economia ecologista di sussistenza, fatta di rimedi naturali, autoproduzione e autoconsumo dei beni di prima necessità, fanatiche decrescite in armonia con il Creato, rinnegamenti di una società del benessere che viene posta in contrapposizione netta con la preservazione del pianeta.
Tutti in bici, perché le bici non inquinano, e pazienza se le distanze che oggi percorriamo per raggiungere le nostre famiglie piuttosto che i luoghi di lavoro non sono proprio quelle dei contadi medioevali e se quindi non sarà l’incentivo all’uso delle bici comunali che risolverà il problema dell’inquinamento automobilistico.
Energia solare e eolica a iosa, perché sono fonti pulite e rinnovabili, e pazienza se non bastano a garantire l’energia necessaria agli stabilimenti industriali o l’illuminazione pubblica di notte, che dovranno quindi essere pur sempre fornite dalle fonti energetiche tradizionali.
Per le donne, sensibilizzazione (ci si augura solo quella!) all’uso delle coppe della luna, altro che assorbenti di cotone, che saranno pure riutilizzabili ma vanno lavati col detersivo. E poco importa la praticità, l’igiene, o anche solo quel minimo senso del pudore che vuole che le donne siano libere di scegliere come meglio sentirsi “in ordine”, senza avere il fiato della politica sul collo anche per cose così delicate e riservate.
Ma, soprattutto, poco importa che i prodotti usa e getta entrati in commercio su larga scala dopo il secondo dopoguerra hanno fatto la felicità di miliardi di donne, liberandole – insieme ad altri prodotti tipici dell’economia del benessere come gli elettrodomestici – dal giogo di una vita faticosa e scomoda.
Snobbando le possibilità stesse che il progresso ci sta offrendo in tema di smaltimento, riciclo e riuso dei rifiuti (compresi quelli per l’igiene femminile), la via breve di un ecologismo poco fantasioso è quella di offrire il passato come alternativa a un futuro da inventare e migliorare, di tendere a uno stato preindustriale da cui i nostri avi sono fuggiti migliorando le loro condizioni di vita a vantaggio di se stessi e delle generazioni future, di aspirare a bucoliche e inverosimili armonie con l’ambiente.
Avanti, quindi, come dice Grillo, a “tagliare l’erba sotto i piedi al sistema economico, escludendo il mercato ogniqualvolta sia possibile soddisfare i propri bisogni autonomamente, tramite l’autoproduzione, o instaurando rapporti con gli altri, attraverso scambi non mercantili basati sul dono e sulla reciprocità”. Le donne potranno non solo usare la stessa coppa negli anni, ma anche - perché no – scambiarsela tra loro, nell’ottica della reciprocità e della parsimonia nell’uso delle risorse, confidando nei turni (e non solo nei cicli) mestruali e limitando così il consumo del silicone necessario alla produzione.
A voler prendere sul serio il M5S, come il risultato elettorale impone di fare, ci aspetta un futuro che sa di ritorno al passato, perché la “decrescita – ha detto Grillo – è l’economia del futuro”, perché le marmellate della nonna sono più buone di quelle del supermercato, perché i fazzoletti di cotone profumano di lavanda, ma soprattutto perché non siamo in grado di comprendere che c’è un modo di avere cura del pianeta senza rinunciare alle conquiste di igiene e benessere che le generazioni precedenti ci hanno lasciato.
Tra un Rousseau che scriveva “Finché gli uomini si sono accontentati delle loro rustiche capanne, finché si sono limitati a cucire i loro abiti fatti di pelli con spine o lische …. essi sono vissuti liberi, sani, buoni e felici, nella misura in cui potevano esserlo secondo la loro natura” (J.-J. Rousseau, “Discorso sull’origine della disuguaglianza”, II Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XV, pagg. 879-883), e un Leopardi che guardava con disincanto la natura matrigna, chi ci ha preceduto sembra aver dato maggior credito al secondo, cercando di perfezionare e migliorare la propria esistenza e applicando l’intelligenza e la creatività al servizio delle mille scoperte che hanno reso più gradevole la vita. A noi spetta ora non regredire verso un’economia di sussistenza, ma rendere compatibili gli standard di vita a cui ci siamo abituati con i problemi dovuti alla scarsità delle risorse e all’impegno a consegnare a chi verrà dopo un pianeta vivibile.
Ricordo bene l’espressione sollevata sul volto delle mie nonne al pensiero che la loro nipote godesse di molte più comodità di quante non fossero a loro disposizione. Se vivessero ancora, sono certa che avrebbero un moto di pena per chi pensa che si stava meglio quando si stava peggio.
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