giovedì 6 giugno 2013

Cari europei, ecco perché Draghi non può imitare la Fed, di Marco Valerio Lo Prete

Il freno tutto politico (e non statutario) alla “flessibilità” monetaria spiegato da Kohn, ex vice di Bernanke

Oggi a Francoforte tocca di nuovo a Mario Draghi e al consiglio direttivo della Banca centrale europea. Le attese verso l’istituto, come al solito, sono enormi. Non solo per le misure allo studio per far riaffluire il credito alle imprese del continente. Ieri infatti il settimanale tedesco Zeit attribuiva alla Banca centrale anche un piano per “esaminare dall’autunno prossimo i bilanci dei più importanti istituti finanziari”, anticipando di fatto l’Unione bancaria. “E’ naturale che la gente guardi all’unica istituzione davvero federale dell’Europa unita, attendendosi che possa fare molto – dice al Foglio Donald Kohn, dal 2006 al 2010 numero due del governatore della Federal reserve, Ben Bernanke – Ma la Bce si muove pur sempre nei limiti imposti dalla cornice istituzionale comunitaria e da una democrazia che è ancora su base nazionale”. Kohn, che ci parla nel suo ufficio della Brookings Institution a Washington e che era al fianco di Bernanke all’apice della crisi finanziaria, oggi fa “il pendolare” con Londra, dove è membro della Financial Policy Committee della Bank of England. Utilizza toni diplomatici a chi gli chieda di valutare quale Banca centrale del mondo occidentale sia stata più rapida nel rispondere alla crisi e poi contrastarla, ma alla fine ammette che la Fed ha mostrato una “pronunciata flessibilità” sin da subito. Da quando, ricorda Kohn, Bernanke inviò una e-mail a lui e ai suoi colleghi, nel pieno della tempesta Lehman Brothers, chiedendogli di condividere le loro “wild ideas”, cioè le idee folli, per assicurare che il mercato finanziario continuasse a funzionare nonostante i colpi subiti. Il problema, però, non è tanto quello della qualità delle singole persone, visto che l’esperto della Brookings parla benissimo dell’italiano Draghi. “Tuttavia oggi Bce e Fed sono in posizioni molto differenti. L’economia americana sta crescendo. L’Eurozona è in recessione e all’orizzonte non si vede un’inversione di rotta”. Forse la diversa reazione dipende dal mandato più ampio della Fed che non deve perseguire solo la “stabilità dei prezzi”, come la Bce, ma pure la “piena occupazione”: “Anche questo aspetto non è decisivo – dice Kohn – Francoforte è stata un po’ più cauta all’inizio perché i prezzi non diminuivano, al punto che nel 2011 è tornata ad alzare temporaneamente il costo del denaro, ma oggi non è più così. L’inflazione nell’Eurozona è sotto il target del 2 per cento, non c’è contrasto tra i due obiettivi, occupazione e stabilità dei prezzi”.
Come dire che la Bce potrebbe in teoria seguire esattamente la strada della Fed. Ma il condizionale è d’obbligo. “Perché la Bce ha a che fare con 17 politiche fiscali diverse e 17 stati sovrani. Negli Stati Uniti non avremo una buona politica fiscale, ma almeno ne abbiamo una sola!”, esclama Kohn. Il banchiere fa l’esempio delle misure allo studio a Francoforte per fornire credito alle piccole e medie imprese, “visto che le attuali misure, per quanto coraggiose, non si trasmettono all’economia reale, soprattutto nella periferia dell’Eurozona”: “Negli Stati Uniti, innanzitutto, non abbiamo previsto un programma specifico per questo fine. Ma già nell’autunno 2008 abbiamo trovato il modo per raggiungere le imprese”. Kohn ricorda i provvedimenti principali della Banca centrale americana per offrire fondi a soggetti non bancari e ridurre il rischio in mercati specifici come quelli della commercial paper, delle asset backed securities e delle obbligazioni societarie; per non parlare del lancio, già nel novembre 2008, del programma Talf (Term Asset-Backed Securities Loan Facility) per incentivare il rilascio di titoli garantiti (Abs) da prestiti a studenti, prestiti per l’acquisto di auto o tramite carta di credito. Soprattutto, attraverso il sostegno ai mutui, “la Fed si è concentrata sul settore immobiliare dalla cui bolla era nata la crisi”. Nel marzo scorso, secondo gli ultimi dati, il prezzo delle case in America è aumentato del 10,9 per cento su base annua. Un incremento così rapido non si vedeva dal 2006.

Il metodo comunitario? “Stile Whac-A-Mole” 
Per tornare all’Europa e alla trasmissione degli effetti della politica monetaria espansiva all’economia reale, qui siamo indietro rispetto agli Stati Uniti. In Italia per esempio, secondo un rapporto di Standard & Poor’s pubblicato ieri, “il finanziamento alle imprese da parte delle banche si è contratto di 44 miliardi nel 2012”. Nel frattempo la quota di debito in obbligazioni corporate è cresciuta di 20 miliardi, ma complessivamente “il finanziamento netto delle imprese è sceso di circa 24 miliardi, in contrasto con la maggior parte dei paesi europei. Solo la Spagna ha fatto peggio”. Kohn riprende il suo ragionamento dalla questione per lui fondamentale, quella di una politica monetaria unica affiancata a una politica fiscale frastagliata: “Acquistando i titoli del debito sovrano, per esempio, la Bce assumerebbe su di sé il rischio sovrano di un paese, convertendolo di fatto in rischio comune. Fino a che punto si può spingere Draghi, per di più in assenza di una legittimazione democratica? Idem per le misure sulle Pmi: c’è sempre il problema di non far finanziare indirettamente le imprese italiane e spagnole al contribuente tedesco. Per la Bce, dunque, la situazione non è soltanto complicata da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista politico”. Per l’ex numero due di Bernanke non ci sono dubbi: senza passi verso “l’unione politica”, questa ridotta “flessibilità” di Francoforte non verrà mai meno. In Europa però sono forti le voci di quanti bollano ogni possibile intervento più espansivo della Bce come un sostegno indebito agli stati, un incentivo a rendere più rilassata anche la politica fiscale. Se Draghi compra i titoli dell’Italia o fornisce credito alle sue imprese, è il ragionamento, automaticamente incentiva Roma a frenare austerity e riforme: “Anche negli Stati Uniti il Congresso ha messo sotto esame la Fed”, ha accusato l’istituzione di “incentivare l’azzardo morale”, cioè di esentare il governo dalle eventuali conseguenze economiche negative di un rischio e quindi di premiare comportamenti rischiosi. Secondo Kohn, però, “la politica monetaria deve essere concepita per raggiungere i suoi specifici obiettivi, non per dare lezioni ai politici”. Il suo ex collega alla Bank of England, Adam Posen, dice infatti che la Bundesbank e i sostenitori di una politica monetaria più ortodossa sono mossi da una forma di “moralismo monetario”: “Sulle loro motivazioni – sorride Kohn – preferiscono non azzardare ipotesi”. Il dibattito dunque continua, ma in Europa per ora rimaniamo a un modello di integrazione stile “Whac-A-Mole”, come lo definisce Kohn: nel classico gioco statunitense, ogni persona ha un martello in mano e deve schiacciare vari animali di gomma che spuntano uno dopo l’altro da alcuni buchi che ha davanti. Vince chi si muove più freneticamente, ricacciando nel buco il singolo pupazzo che salta fuori all’improvviso, senza una strategia. “Come con i vari vertici dei capi di governo dell’Ue sull’Unione bancaria, per intenderci”, conclude Kohn.

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