Non bisogna soltanto far capire a Berlino che Roma è pronta a uscire dall’euro se l’architettura della moneta unica non cambierà. Bisogna poi farlo davvero.Perseguire questa linea “è l’idea più ragionevole”, dice al Foglio Roger Bootle, fondatore e direttore di Capital Economics, commentando l’intervista di ieri al Foglio dell’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Soltanto così si può contrastare il processo di “deindustrializzazione” in corso, visto che i dislivelli di competitività tra paesi dell’Eurozona sono ormai viziati anche da effetti monetari e di costo indipendenti dalle riforme che pure vanno portate a termine. Bootle è a capo di una società di ricerca economica britannica con sede tripartita tra Londra, Singapore e Toronto, dirige 40 economisti e rifornisce con i suoi report 1.500 tra banche d’investimento e operatori in tutto il mondo. Soprattutto, Bootle nel 2012 si è aggiudicato il premio più importante per le materie economiche dopo il Nobel, cioè il Wolfson Prize. L’anno scorso il premio ha avuto particolare risonanza sui media internazionali ed è stato apprezzato dal Financial Times perché finalmente sdoganava quello che fino a quel momento era stato un tabù nel dibattito pubblico: avrebbe vinto infatti chi avesse studiato la via migliore, per un paese qualsiasi, per uscire dall’euro. Bootle si è meritato le 250 mila sterline per il primo classificato e ora commenta così l’idea di Berlusconi: “E’ un’opzione reale, è fattibile, non è impossibile”. Anche per un paese grande come l’Italia, con un pil di 1.600 miliardi di euro e un debito pubblico ancora maggiore? “Per me è l’opzione più realistica”. Il piano di Bootle – al netto di dettagli pur importantissimi – prevede che un paese abbandoni la moneta unica tenendo i suoi piani “segreti” fino all’ultimo, poi introduca controlli di capitale, inizi a stampare moneta subito dopo l’uscita formale, faccia default sui suoi debiti, ricapitalizzi le banche e, anche attraverso la naturale svalutazione monetaria, punti tutto sull’export e sulla cooperazione con i paesi rimasti nell’euro. Non è una passeggiata, sia chiaro, ma per l’economista inglese gli effetti complessivi sarebbero migliori del “decennio di stagnazione” cui è condannato oggi il nostro paese.
Bootle, in passato consigliere economico dei governi conservatori, osserva che non tutto il processo di “distruzione” innescato dal ciclo economico è lì per nuocere. “E’ normale che i settori più inefficienti siano penalizzati, poi però è normale pure che si abbiano altre occasioni di reimpiegare capitale e forza lavoro”. E’ questa seconda fase che oggi, almeno in parte, viene a mancare per le rigidità dell’euro. C’entrano anche le mancate riforme strutturali, certo, e il fatto che allo stesso tempo sia venuta a mancare l’arma della svalutazione della lira per riguadagnare competitività. “Oggi quindi il tasso di cambio reale rispetto ad altri paesi dell’Eurozona, in Italia ma anche in Francia e Spagna, è cresciuto troppo. Ci sono tre opzioni per recuperare: facendo aumentare la produttività, si può arrivare a guadagnare un quarto di punto l’anno ma quanto ci si impiega per recuperare un gap del 30 per cento? Poi si possono tagliare i salari, come in Grecia e Irlanda, ma l’economia si deprime e il debito aumenta. Non è il massimo. Infine si può svalutare la moneta e riguadagnare subito competitività. Nel caso dell’Italia si dovrebbe uscire dall’euro”. Berlusconi però non si definisce un sostenitore della fine della moneta unica, piuttosto propone di trattare con Berlino tenendo questa ipotesi estrema sul tavolo. “Effettivamente almeno due cose si potrebbero cambiare nell’attuale governance economica. Primo, chiedendo che la Bce attivi una politica di Quantitative easing in stile Fed. Secondo, rilassando la politica fiscale nei paesi del nord virtuoso e sostenendo così la periferia”. Il fondatore di Capital Economics però avverte: “La Germania non si muoverà. I tedeschi hanno un blocco mentale rispetto all’uso della politica monetaria. Pensano che davvero gli indicatori di ‘competitività’ abbiano sempre un significato ‘reale’, cioè ci dicano se l’operaio italiano sa o non sa fare bene una certa cosa. Mentre nella realtà pesano fattori di costo e monetari che con l’abilità dei lavoratori c’entrano poco. Provino a fare Mercedes in Italia, per esempio, con l’accesso al credito che c’è da voi”. Per Bootle però Berlino considererà soltanto l’elemento di “ricatto” in quello che pure fosse un tentativo di “brinkmanship”, come l’ha definito ieri Michele Salvati sul Corriere della Sera, cioè una politica che consiste nel “manovrare una situazione rischiosa, ai limiti della sicurezza”: “Berlino andrà a vedere l’ipotetico bluff e non si muoverà. Se l’Italia a quel punto non desse seguito ai suoi intendimenti di abbandonare l’euro, perderebbe tutta la credibilità. Se invece si decidesse a farlo, dovrà avere un piano dettagliato, altrimenti anche l’aggiustamento improvviso avrà effetti dolorosi”.
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