domenica 9 giugno 2013

Passa per l'euro un'agenda non minimalista per il governo Letta, di Giuliano Ferrara

Berlusconi, colloquio su processi e governo. O Letta raddrizza le storture dell’euro o perde tutto

Che cosa avrà veramente in animo di fare Berlusconi, ora che ha vinto il dopo elezioni? Un modo per saperlo è domandarlo a lui. Mi ha invitato a pranzo, e questa è la conversazione che abbiamo avuto. La parte mia conta poco. La sua è molto interessante. Ne riferisco tra virgolette i contenuti che mi sembrano più forti, e cerco di dare conto del contesto.
Berlusconi ha dei sospetti, tutti appesi al prossimo 19 giugno. La Corte costituzionale deve decidere la sorte di un processo in cui il pm ha chiesto cinque anni di carcere e l’interdizione dai pubblici uffici, cioè la ghigliottina per prassi fiscali e aziendali che solo a viva forza possono essere penalmente ascritte a lui. Berlusconi considera quel processo un tentato omicidio politico, ma si esprime con cautela, evita questa dizione come la peste, anche con un amico personale e un critico feroce dell’attività dei pm più accaniti come io sono. E’ cauto anche sulla Corte costituzionale, che dovrebbe giustificare con una praticamente impossibile capacità argomentativa la negazione del diritto al “legittimo impedimento” a un presidente del Consiglio il quale, “quel giorno” del 2010, doveva presiedere un Consiglio dei ministri. Ma il sospetto di un atto che si vorrebbe definitivo e finale galleggia nell’aria, nel suo sguardo freddo e diffidente, nel linguaggio del corpo e nel timbro della voce. “E’ veramente così difficile avere ragione di procedure manifestamente ingiuste?”, si domanda.
Concesso un sorriso di commiserazione all’unica sentenza per violazione di segreto investigativo, che riguarda lo scoop del Giornale sull’avidità di banche della sinistra, anche per l’altro dibattimento arrivato alla fase finale del primo grado, il processo istruito dal pm Ilda Boccassini sulla sua vita privata, il fastidio, e in parte anche lo sdegno per come è stato trattato da inquisitori che usano un potere molto discrezionale in modo arbitrario e persecutorio, sono temperati dalla situazione politica e generale in cui il Berlusconi di oggi si sente pienamente inserito.
“Ho sostenuto Monti nella fase critica, ho accettato che per un periodo limitato una soluzione tecnocratica riaprisse spazi che sembravano chiusi per la nostra economia e per la nostra immagine in Europa, ho avvertito che c’era un limite alla cooperazione istituzionale, varcato quel limite con l’ingresso in una brutta recessione sono ridisceso in campo e ho fatto la mia parte: il risultato si conosce, e non parlo solo della difficile rimonta elettorale. Quel che più è importante, credo di avere dato un contributo decisivo a una sana stabilizzazione, al rientro pieno del paese entro criteri di democrazia politica, dunque alla saldezza delle istituzioni, confermata dalla assennata scelta di rieleggere un presidente di garanzia come Giorgio Napolitano e di fare il governo possibile con una persona rispettabile come Enrico Letta”.
Berlusconi è convinto che il responso elettorale dimostra come gli elementi più fatui e calunniosi della campagna sulla sua vita privata sono stati considerati un’onta per il diritto e per la privacy da molti milioni di italiani. E crede fermamente che una condanna smisurata e non credibile, come quella che è stata richiesta, non avrebbe effetti distorsivi decisivi sulla vita pubblica italiana, per quanto lo riguarda e per quanto riguarda il suo rapporto di fiducia e di rappresentanza con una larga parte di questo paese. “Queste storie di sesso e assaggiatori sono già considerate non più che una cattiva fiction pettegola e insincera da gran parte dei miei concittadini”. Per lui, quindi, non è lì il problema, anche se una condanna “per inviti a cena a casa propria” sarebbe nel suo giudizio la realizzazione perfetta dell’ingiustizia assoluta, un caso di scuola al quale guarderebbero con raccapriccio, al netto delle inimicizie politiche, l’Italia e il mondo.
“Il metro di misura per calibrare con senso della realtà e senso dello stato e della comunità un giudizio sull’avvenire di questo paese non è quello dei miei processi, fatto salvo il rischio di un premio all’accanimento che risulterebbe una turbativa di notevole impatto. Il metro è l’economia”, dice Berlusconi. “Parlo praticamente ogni giorno con imprenditori, sindacalisti, artigiani, commercianti e altri soggetti sociali di un paese oggi in grave crisi. Certe cose vanno fatte e subito: alleviare le tasse sul lavoro, risolvere il guaio grosso dell’Imu, fare attenzione anche all’Iva, non tanto per l’inflazione, che non è un rischio attuale, quanto per la depressione dei consumi. Bisogna trovare risorse, destinarle a impieghi produttivi, mettere le imprese in condizione di riprendersi e non solo nel settore votato all’esportazione, tagliando il molto grasso che c’è ancora da tagliare nella spesa pubblica. In due, tre anni, va spazzata via la struttura punitiva di una tassa come l’Irap, e le assunzioni devono poter avvenire a costi fiscali incoraggianti, nettamente al ribasso se non azzerati, a partire da subito. Prima è meglio è. Così, per l’edilizia, bisogna radicalmente riformare i regimi autorizzativi e mettere tutti in grado di dare una mano, creando lavoro e profitto d’impresa, in un contesto di formidabile liberalizzazione. Ma non basta, non basta, non basta ancora”.
Confindustria, non sempre in coerenza con le sue strategie degli ultimi anni, denuncia come esiziale la crisi del manifatturiero, e in quel settore siamo i secondi in Europa. Abbiamo perso la chimica, l’automobile, ora sembra essere la volta dell’acciaio.
“Ecco. Qui si misura la vitalità di un governo o la sua complicità più o meno consapevole con le forze negative e paralizzanti che premono contro una soluzione effettiva della crisi da recessione. Bisogna che il governo sappia con autorevolezza ingaggiare un braccio di ferro, senza strepiti ma con grande risoluzione, allo scopo di convincere i paesi trainanti dell’Europa, e in particolare la Germania di Angela Merkel, che siamo di fronte a una alternativa secca: o si rimette in moto in forma decisamente espansiva il motore dell’economia, compreso quello finanziario legato alla moneta unica, uscendo dalla paralizzante enfatizzazione della crisi da debito pubblico, oppure le ragioni strategiche della solidarietà nella costruzione europea, dall’unione bancaria a tutto il resto, si esauriscono e si illanguidiscono fino alla rottura dell’equilibrio attuale”.
Che vuol dire in termini più semplici? “Vuol dire che paesi del peso e della consistenza del nostro non possono accettare una situazione in cui fare impresa non è più conveniente, in cui bisogna delocalizzare o ristrutturare fino alla distruzione di ricchezza e lavoro in quantità inimmaginabili per l’immenso squilibrio creatosi nel mondo dei mercati aperti, a partire dai costi di produzione e dalla incredibile situazione del credito e della circolazione della moneta e degli impieghi. Un’Italia che perde ancora peso e ricchezza oltre quello che ha già perso, pronta ad essere messa all’incanto con metodi egemonici da chi è in posizione di forza, non è per noi uomini del nord, per noi imprenditori e politici di un paese che in parte è ancora da risanare e da unificare, una prospettiva accettabile. Questo è il contenuto vero di quello che chiamo il braccio di ferro. O è così o ciascuno deve trovare le proprie soluzioni nazionali o regionali, scomponendo i meccanismi dell’area dell’euro”.
Sembra una prospettiva molto ardua, in una condizione critica generale per l’occidente industriale e il suo cuore europeo. Poi uno magari pensa all’America, al Giappone, alla Gran Bretagna, e si dice: ma qui le strategie della ripresa sono in marcia, anche con qualche cospicuo risultato. “Sì, ma lì si stampa moneta in quantità inimmaginabili, e la sfida alla recessione si fa con le armi della libera e sovrana determinazione del livello di liquidità in circolazione. La differenza è tutta qui. Se la paura dell’inflazione e un criterio rigorista astratto diventano una prigione o cappio monetario, allora bisogna cambiare. E il governo italiano a questa questione deve fare attenzione, perché è lì che si vede o non si vede uno spiraglio serio per tutelare e irrorare una vera democrazia della rappresentanza popolare e della prosperità. O la nostra voce alta e forte si farà sentire oppure il governo perderà la legittimazione popolare che l’unità nazionale, in sostegno di una larga coalizione, gli garantisce. Altro che i processi. Queste scemenze lasciamo che le dicano i maniaci dell’antiberlusconismo”. 
La conversazione finisce qui. Avviata tra commenti sospettosi, termina con un duro criterio di realismo politico che riguarda non le persone e le beghe di lobby e di partito, ma un paese che deve battersi per sopravvivere e rilanciarsi sul serio dopo decenni di bassa produttività, di bassa competitività, e dopo una fase dell’euro che si è rivelata tortuosa. “Ecco”, aggiunge Berlusconi, “tortuosa è la parola purtroppo giusta. Di una tortuosità tale per cui ora un governo si giustifica se è in grado di raddrizzarla. Punto e basta”.
Giuliano Ferrara

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