giovedì 8 settembre 2011

Ci vorrebbe la crescita


Ci vorrebbe la crescita

La manovra Draghi-Napolitano-Berlusconi-Tremonti è stata approvata dal Senato. Il rigore c’è, più del previsto (54,2 miliardi). Privatizzazioni, liberalizzazioni e misure sviluppiste languono. Dubbi del Colle sull’art. 8

La manovra Draghi-Napolitano-Berlusconi-Tremonti ha avuto ieri sera il voto di fiducia del Senato. Alla quarta versione del decreto che ha anticipato il pareggio del bilancio al 2013 i numeri, oltre ai contenuti, sono cambiati a sorpresa: il saldo della manovra è salito dai 45,5 miliardi di euro a 54,2 miliardi. E’ l’effetto numerico, tra l’altro, della “efficacia” e della “credibilità” chiesta al governo dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che si è fatto interprete delle sollecitazioni giunte dalla Bce e dalla Banca d’Italia dopo le tensioni sui mercati di lunedì scorso. Il maxi emendamento presentato dall’esecutivo, comunque, ha contribuito a rassicurare le piazze finanziarie: lo spread fra Btp e Bund tedeschi ieri è sceso a 334 (anche grazie agli acquisti di titoli da parte dell’Istituto centrale di Francoforte) e con l’andamento positivo delle Borse europee anche Piazza Affari ha chiuso a più 4 per cento.
Restano comunque le perplessità del Quirinale sull’art. 8 della manovra sui contratti aziendali, come svelato ieri su Twitter dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli.
I saldi della manovra sono stati rafforzati – con il plauso ricevuto ieri da Bruxelles tramite il commissario per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn – grazie in particolare all’incremento dell’aliquota Iva dal 20 al 21 per cento: una misura che farà affluire nelle casse statali circa 4 miliardi di euro l’anno. La seconda novità del maxi emendamento è il cosiddetto contributo di solidarietà del 3 per cento sui redditi superiori ai 300 mila euro. La terza novità è l’adeguamento dal 2014 dell’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile delle donne anche nel settore privato. Quest’ultima è una delle poche riforme strutturali della manovra: il decreto infatti non comprende dismissioni del patrimonio pubblico, contiene tenui misure per favorire le privatizzazioni delle aziende municipalizzate e sono pressoché assenti robuste liberalizzazioni.
Dalla maggioranza si fa notare la norma che favorisce l’apertura dei mercati locali dove operano le municipalizzate dei trasporti, ad esempio, ma per il concorso del governo e del Parlamento ci sono stati chiari arretramenti corporativi sui taxi, sulle farmacie e sul commercio.
Anche per questo i timori sul futuro economico dell’Italia non si sono dissolti. Il Fmi, ad esempio, abbassando ieri le stime mondiali di crescita (4 per cento rispetto al 4,2) ha limato anche quelle del nostro paese nel 2012 (0,5 contro il precedente 0,7 per cento). A preoccupare gli osservatori è il combinato disposto di quattro fattori: l’affievolirsi del sostegno della Bce sul mercato secondario dei titoli di stato, il maggiore costo del servizio sul debito pubblico, il potenziale effetto depressivo della manovra, sottolineato in Parlamento anche dalla Banca d’Italia, e l’asfittica crescita.
Dal governo si nota che sono ai primi passi gli otto tavoli per la crescita annunciati all’inizio di agosto in una conferenza stampa della presidenza del Consiglio. Industriali e banchieri (ieri è stato il consigliere delegato di Intesa, Corrado Passera, a ribadirlo) lo ripetono: crescere o perire.

Nessun commento: