giovedì 1 settembre 2011

Quegli errori da non ripetere, di J. Bradford De Long

Spesso si ha l'impressione che i leader mondiali sottovalutino la crisi e la necessità della crescita. Il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, per esempio, non è considerato un oracolo come lo era il suo predecessore, Alan Greenspan, prima della grande crisi finanziaria. Ma i mercati sono stati con il fiato sospeso durante il suo discorso della settimana scorsa a Jackson Hole.

Quello che hanno sentito è stato un po' confuso.
In primo luogo, Bernanke non ha proposto nessun altro allentamento della politica monetaria a supporto della ripresa in stallo, o piuttosto della non-ripresa. Secondo, ha assicurato che «ci si aspetta che una ripresa moderata continui e che anzi si rafforzi».
Ciò è dovuto al fatto che «le famiglie hanno fatto progressi nel riequilibrare i loro bilanci, risparmiando di più, prendendo meno a prestito e riducendo il peso degli interessi da pagare e dei debiti». Inoltre anche la caduta dei prezzi dei beni di consumo «aiuterà ad aumentare il potere di acquisto delle famiglie».

In ultimo, Bernanke ha affermato che «i fondamentali della crescita degli Stati Uniti non sembrano essere stati alterati permanentemente dagli shock degli ultimi quattro anni». In particolare questa affermazione di Bernanke lascia perplessi. Se si prevede una ripresa economica rapida, prima che questa depressione si concluda, gli Stati Uniti avranno subito una diminuzione di investimenti pari a 4mila miliardi di dollari. Fino a quando questa diminuzione di investimenti non verrà compensata, la mancanza di capitale servirà a deprimere il livello del Pil reale statunitense di due punti percentuale pieni.

La traiettoria di crescita americana sarà del 2% inferiore a quanto sarebbe stata se la crisi finanziaria fosse stata gestita con successo e la leggera depressione evitata. E c'è di più: i tagli statali e delle amministrazioni locali hanno rallentato il ritmo degli investimenti in capitale umano e infrastrutture, aggiungendo un terzo punto percentuale al ribasso nella traiettoria di crescita di lungo periodo del Paese.
Dopo la Grande depressione degli anni 30, la grossa ondata di investimenti in capacità industriale durante la Seconda guerra mondiale negli Usa e nel mondo compensarono il buco del decennio perduto. Di conseguenza, la depressione non gettò ombra sulla crescita futura - o, piuttosto, l'ombra fu sopraffatta dagli accecanti riflettori di cinque anni di mobilitazione per la guerra totale contro la Germania nazista e l'impero nipponico.

Non c'è un analogo set di riflettori, in tutto il mondo occidentale, dispiegato per sconfiggere l'ombra che questa depressione di portata minore sta provocando. Al contrario, l'ombra si sta allungando ogni giorno che passa, a causa dell'assenza di politiche efficaci per riportare il flusso della spesa dell'economia intera sulla sua vecchia traiettoria.
Inoltre, c'è una fonte addizionale di difficoltà. Un fattore potente che diminuì la percezione del rischio e incoraggiò investimenti e imprese nel secondo dopoguerra fu il cosiddetto "contributo Roosevelt". I governi dei Paesi industrializzati in tutto il mondo iniziarono subito a considerare la sconfitta della depressione come la loro prima e più importante priorità in materia economica, cosicché i risparmiatori e gli investitori non ebbero alcuna ragione di preoccuparsi che i periodi neri che seguirono le crisi del 1873, 1884 o 1929 sarebbero ritornati.

Tutto ciò non vale più. Il mondo nel futuro sarà un posto più rischioso di quanto pensavamo fosse - non perché i governi non offriranno più garanzie che non avrebbero mai dovuto offrire, ma piuttosto perché il rischio reale che i mercati cadano in una depressione prolungata è di nuovo reale.
Non sono in grado di sapere di quanto questo rischio in più ostacolerà la crescita degli Stati Uniti e dell'economia globale. Un calcolo approssimativo suggerisce che una depressione della durata di circa cinque anni ogni 50 anni che spinge l'economia un 10% extra al di sotto del suo potenziale ridurrebbe i rendimenti dei capitali investiti e ritarderebbe gli investimenti privati tanto da tagliare i due decimi di un punto percentuale di crescita economica ogni anno. Come risultato, l'America non soltanto terminerebbe questo periodo di un 3% più povera di come avrebbe potuto essere; il gap arriverebbe a 7% nel 2035 e a 11% dal 2055.

Così staranno le cose se non si fanno oggi i passi necessari per risalire rapidamente da questa depressione, e se poi non si mettono in atto politiche in grado di riportare ai precedenti trend gli investimenti privati, in infrastrutture e nel settore educativo. Magari ciò sarebbe sufficiente a rassicurare tutti che l'attuale condiscendenza dei politici nei confronti di una crisi prolungata sia stata un terribile errore che non verrà ripetuto.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-01/quegli-errori-ripetere-073749.shtml?uuid=AaMoeb0D

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