giovedì 16 maggio 2013

Altro che Imu, gli investitori guardano a debito e demografia, di Francesco Galietti


Per i mercati (e per Berlino) deficit, Imu e debiti della Pa sono marginali. Il problema è l’imbolsito welfare state italiano

I mercati osservano il governo Letta.Apprezzano la sintonia con l’eurocrazia di Bruxelles e il filo diretto con la Banca centrale europea, ma seguono l’iter legislativo dei primi provvedimenti governativi, vero banco di prova del nuovo esecutivo. A tenere alta l’attenzione è soprattutto il nodo dei debiti pregressi della Pubblica amministrazione su cui il precedente governo non è riuscito a far quadrare il cerchio. La partita è complessa, vengono al pettine le peculiarità dell’architettura politico-economica italiana: spicca la dialettica centro-periferia, con larga parte del debito generato localmente, e le stesse regole ideate per arginare la spesa fuori controllo della periferia, come il Patto di stabilità, rappresentano strozzature per chi deve restituire ossigeno ai suoi creditori.
In seconda battuta, fa bella mostra di sé per il suo peso la spesa socio-sanitaria,inevitabile tratto distintivo di un welfare state forse non bismarckiano ma certo in linea con le esigenze di una popolazione numerosa e senescente e perciò bisognosa di cure e assistenza. Gli investitori istituzionali tendono a mettere a fuoco quest’ultimo aspetto più del primo: ritengono che la partita sul finanziamento del welfare state sia molto più ampia di un semplice accordo sblocca-debito a Bruxelles e a Francoforte. Sul debito della Pa, insomma, i grandi investitori internazionali usano lenti diverse da quelle italiane. In Italia si attribuisce grande rilievo agli umori politici tedeschi e dunque si adotta un calendario a 6-9 mesi le cui tappe sono le elezioni tedesche (fine settembre) e la pronuncia della Corte costituzionale tedesca (giugno), chiamata dalla Bundesbank a esprimersi sulla legittimità dell’Omt di Mario Draghi.
I mercati invece guardano al lungo periodo, si concentrano sul progressivo smantellamento del welfare state. La considerazione da cui muovono è che stiamo rapidamente avvicinandoci al punto in cui le coorti produttive si troveranno gravate di colpo dei costi dei baby boomer, più numerosi e meglio pagati. In occidente, specie in Europa, questo fenomeno demografico comporterebbe un formidabile boom nei conti pubblici e un contestuale rigonfiamento nei debiti sovrani. Alcuni paesi sono stati più lungimiranti nel riconoscere l’inevitabilità del progressivo ritiro dello stato preparando le condizioni ottimali per l’intervento privato. Per predisporre l’opinione pubblica a questa “mutazione genetica”, il maggiore intervento privato è stato presentato come una forma di neofilantropia su vasta scala (social impact finance). Su questo fronte si muovono iniziative come la Big Society britannica o i programmi della Rockefeller Foundation. Il messaggio di questi pensatoi è che i privati dovranno svolgere sempre di più funzioni pubblicistiche e subentrare allo stato nello sviluppo di infrastrutture.
Non viene esplicitato, ma la mancanza di questa surroga incrinerebbe pericolosamente l’ordine e “slavinerebbe” in fenomeni di malessere sociale: i Paperoni intervengono non (solo) per generosità, ma per difendere l’ordine in cui si sono arricchiti. Le dimensioni del debito italiano e l’esiguità dell’indebitamento privato dicono quanto l’Italia sia legata al proprio welfare. E’ prevedibile che la politica sia restìa a rinunciarvi: ci sono difficoltà enormi e interessi crescenti nel mondo delle cooperative bianche e rosse. La resistenza si spiega anche con una ragione esistenziale: la sanità è una delle principali “contropartite” che lo stato offre ai cittadini che si vedono imporre tasse elevatissime. Se viene meno questo “patto”, su che basi lo stato potrà fondare la propria autorità?

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