L’austerity in Germania non è messa in dubbio, ora si dice che il problema è l’impegno dei governi

Da un lato, Merkel ha quindi dato il suo benestare alla recente decisione della Commissione europea di concedere più tempo a Francia e Spagna per riordinare i propri conti pubblici; dall’altro, vuole far capire ai propri partner europei di essere disponibile a politiche mirate non più esclusivamente al risanamento delle finanze pubbliche. Tale doppio messaggio è filtrato anche a margine del vertice dei ministri delle Finanze del G7, tenutosi a Londra il 10 e 11 maggio scorsi. In tale occasione, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble (Cdu), ha sostenuto che l’Europa avrebbe ormai ampi margini di manovra per valutare le politiche economiche degli stati membri. In altre parole, la Commissione europea non sarebbe vincolata ad alcun rigido parametro nel valutare le performance economiche dei singoli stati membri in una situazione di recessione. Schäuble ha poi smentito di aver mai suggerito misure di sola austerity ai paesi in crisi.
La distinzione è sottile, forse impercettibile. Ma in Germania anche autorevoli istituti tedeschi di ricerca economica un tempo alfieri del rigore stanno ora assumendo una posizione più temperata, favorevole alla nuova linea della “flessibilità mascherata da ortodossia”. In un editoriale pubblicato sul quotidiano economico Handelsblatt la scorsa settimana, l’economista Jürgen Matthes, dell’Institut der deutschen Wirtschaft di Colonia, ha sostenuto che le riforme approvate nei Piigs sembrano in realtà destinate a dare i loro frutti. Ragion per cui gli “sconti” accordati ad alcuni di loro in termini di risanamento sarebbero in parte giustificati. Similmente, in una lettera indirizzata al Financial Times per difendere le virtù del modello tedesco dagli attacchi di Martin Wolf, ieri i capo economisti di Unicredit, Erik Nielsen e Andreas Rees, hanno messo in luce i progressi fatti in alcuni stati membri, tanto che gli squilibri commerciali tra centro e periferia si sarebbero notevolmente ridotti.
Altri osservatori, come Jörg Krämer, capo economista di Commerzbank, sono invece convinti che gli stati membri in crisi abbiano attuato un’austerità sbagliata, sensibile soltanto al raggiungimento di un determinato saldo di bilancio e non al miglioramento della competitività del sistema produttivo. Viceversa, vi sarebbe un’austerity virtuosa, fatta di riforme strutturali e ancora largamente inesplorata dagli stati della periferia. Tale leitmotiv è alla base anche di un dossier riservato della Cancelleria, di cui ha dato notizia il sito online del settimanale Spiegel. In esso, i tecnici della Merkel avrebbero messo in luce alcuni successi nelle riforme approvate dagli stati membri, ma avrebbero anche sottolineato i fallimenti di una politica di austerità orientata solo a fare cassa e non alla proverbiale cultura della stabilità (Stabilitätskultur). In Francia, ad esempio, sarebbe stato dato troppo spazio all’aumento della pressione fiscale, mentre in Italia troppo poco sarebbe stato fatto sul fronte della liberalizzazione del mercato del lavoro. Quanto a Roma, spicca invece il giudizio positivo sulla liberalizzazione degli orari del commercio. Insomma, lungi dal rinunciare a prescrivere al resto d’Europa la ricetta adeguata per uscire dalla crisi, la Germania sta tentando di soddisfare le richieste di chi, come ancora in questi giorni gli Stati Uniti, invoca una politica per la crescita nell’Eurozona.
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