giovedì 28 febbraio 2013

Il principe boemo diventato l’allievo prediletto del prof. Ratzinger, di Matteo Matzuzzi


“Se la chiesa oggi manca di offensiva è perché si sta purificando”, diceva nel giugno del 2011 al Foglio il cardinale Christoph von Schönborn, arcivescovo di Vienna dal 1995. E’ giusto e legittimo, aggiungeva il porporato, che la chiesa voglia essere guida per la società, ma per fare ciò è indispensabile che si confronti con i suoi peccati. “Non si può richiamare il mondo alla verità se la verità non si ha il coraggio di farla propria”, spiegava.
Sessantotto anni, membro di un’antichissima famiglia della nobiltà boema che alla chiesa ha già dato due cardinali e diciannove tra arcivescovi, vescovi, preti e suore, nel 1963 entrò nell’ordine domenicano, “in maniera impercettibile, dopo un incontro casuale con un padre domenicano avvenuto quando avevo quattordici anni”, racconterà in età matura. Poliglotta, Schönborn è uomo di profonda cultura: ha studiato filosofia in Germania, psicologia a Vienna, Cristianesimo slavo e bizantino alla Sorbona e teologia all’istituto domenicano francese di Le Saulchoir, dai cui balconi, durante la contestazione degli anni Sessanta, si vedevano sventolare bandiere rosse. “Io ho vissuto lì gli ultimi anni prima della chiusura. Eravamo rimasti un piccolo gruppetto di frati che vivevano nella foresteria di quest’enorme casa ormai vuota. Il biennio 1968-’69 rovinò tutto, in pochi mesi distrusse la vita religiosa”, disse in un’intervista alla rivista 30Giorni nel 1999.
Risale ai primi anni Settanta, mentre stava preparando la tesi di laurea a Ratisbona, l’incontro che segnerà la sua vita, quello con il mite professore bavarese Joseph Ratzinger. Il futuro arcivescovo di Vienna frequentò i corsi del teologo che più di trent’anni dopo sarebbe diventato Papa. Da quegli incontri nacquero una stima e un’amicizia che sarebbero durate nel tempo e che nel 1992 gli sarebbero valse la nomina a coordinatore del comitato preparatorio del Catechismo universale della chiesa cattolica, l’organismo di cui l’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede era il supervisore.
Di Ratzinger, Schönborn è sempre stato ritenuto l’allievo prediletto, l’intellettuale tormentato dalla consapevolezza che incarnare la fede cristiana nel mondo secolarizzato di oggi è un’impresa difficile. Da qui, la necessità di procedere a quella grande e nuova evangelizzazione dell’Europa per riscoprire – come sosteneva conversando con il Foglio un anno e mezzo fa – “le virtù conosciute dalla grande tradizione ebraico-cristiana”, senza le quali “il mondo altro non è che una truppa di briganti”.
La chiesa deve sapere pentirsi e procedere lungo la strada tracciata da Benedetto XVI, senza tentennamenti. Ecco perché, nel maggio del 2010, conversando con alcuni giornalisti del suo paese, accusò l’ex segretario di stato Angelo Sodano di aver ostacolato l’indagine voluta nel 1995 da Ratzinger nei confronti dell’allora arcivescovo di Vienna, Hans Hermann Groër, coinvolto in casi di abusi sessuali su minori. Il Papa lo convocò immediatamente a Roma, costringendolo a fare pubblica ammenda per i suoi “giudizi equivoci” – così recitò la nota ufficiale della Santa Sede – davanti a Sodano. “Quando si tratta di accuse a un cardinale, la competenza spetta unicamente al Papa”, chiarì in quella occasione il suo maestro Joseph Ratzinger.

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