Davanti al gran gesto di Benedetto XVI / 2
Il filosofo Massimo Cacciari guarda “con ammirazione” al gesto del Papa. In attesa che la chiesa torni (anche) profetica
“L’abbandono del pontificato da parte di Papa Benedetto XVI è un gesto di grande portata innovativa, senza riscontri nella storia millenaria della chiesa. Questo è sotto gli occhi di tutti – dice al Foglio il filosofo Massimo Cacciari – ma ora dobbiamo chiederci che cosa cambierà con quel gesto, anche se è difficile capire, fin da ora, a che cosa porterà”.
Nel giorno successivo all’annuncio inaudito di Papa Ratzinger, più voci hanno voluto sottolineare la carica “desacralizzante” di quelle sue dimissioni. “Da un punto di vista strettamente secolare – commenta Cacciari – è indubbio che l’addio di Ratzinger possa anche essere valutato così. Il Pontefice diventa uno come noi e come tutti, qualcuno che può abbandonare la propria carica, andarsene, rinunciare. Nello stesso tempo, però, quella sua decisione può essere letta come un riattingere al significato autentico del termine ‘sacro’. In un senso più fedele al messaggio delle origini del cristianesimo, in cui non c’è divisione e nemmeno una burocratizzazione che si raccoglie in sé. Il sacro evangelico tutto si dona, non ha tempi e luoghi separati. E, in questo senso, il gesto di Ratzinger potrebbe avere in realtà un significato organico al senso profondo di quella tradizione, e dunque essere esattamente il contrario di una desacralizzazione del suo ruolo. E’ comunque un gesto paradossale, che ‘fa scandalo’ in senso buono. Per questo – aggiunge Cacciari – lo guardo con ammirazione. Personalmente, sono più propenso a leggerlo come frutto di ‘humilitas’ cristiana, e del riconoscere la propria finitezza, il dolore, l’impotenza. Ma è un modo di ‘tramontare bene’ che sarebbe piaciuto a Nietzsche, il quale diceva di amare ‘coloro che sanno tramontare’. Ma non si può far finta che questo gesto dalla immensa carica innovativa non apra un varco, una breccia in cui potrebbero farsi largo altre innovazioni. Dopo le dimissioni, come non pensare a innovazioni anche più radicali?”.
Gli ambiti nei quali quella carica innovativa potrebbe irradiarsi, preceduta e sollecitata dal gesto senza precedenti del Papa, “potrebbero essere quello della crisi delle vocazioni e quello dei modi di trasmissione, di comunicazione della fede. Una fede che non necessariamente deve essere consolante, rassicurante, e che non ha paura di testimoniare la debolezza, la necessità di affidarsi a un altro”.
Nel giorno successivo all’annuncio inaudito di Papa Ratzinger, più voci hanno voluto sottolineare la carica “desacralizzante” di quelle sue dimissioni. “Da un punto di vista strettamente secolare – commenta Cacciari – è indubbio che l’addio di Ratzinger possa anche essere valutato così. Il Pontefice diventa uno come noi e come tutti, qualcuno che può abbandonare la propria carica, andarsene, rinunciare. Nello stesso tempo, però, quella sua decisione può essere letta come un riattingere al significato autentico del termine ‘sacro’. In un senso più fedele al messaggio delle origini del cristianesimo, in cui non c’è divisione e nemmeno una burocratizzazione che si raccoglie in sé. Il sacro evangelico tutto si dona, non ha tempi e luoghi separati. E, in questo senso, il gesto di Ratzinger potrebbe avere in realtà un significato organico al senso profondo di quella tradizione, e dunque essere esattamente il contrario di una desacralizzazione del suo ruolo. E’ comunque un gesto paradossale, che ‘fa scandalo’ in senso buono. Per questo – aggiunge Cacciari – lo guardo con ammirazione. Personalmente, sono più propenso a leggerlo come frutto di ‘humilitas’ cristiana, e del riconoscere la propria finitezza, il dolore, l’impotenza. Ma è un modo di ‘tramontare bene’ che sarebbe piaciuto a Nietzsche, il quale diceva di amare ‘coloro che sanno tramontare’. Ma non si può far finta che questo gesto dalla immensa carica innovativa non apra un varco, una breccia in cui potrebbero farsi largo altre innovazioni. Dopo le dimissioni, come non pensare a innovazioni anche più radicali?”.
Gli ambiti nei quali quella carica innovativa potrebbe irradiarsi, preceduta e sollecitata dal gesto senza precedenti del Papa, “potrebbero essere quello della crisi delle vocazioni e quello dei modi di trasmissione, di comunicazione della fede. Una fede che non necessariamente deve essere consolante, rassicurante, e che non ha paura di testimoniare la debolezza, la necessità di affidarsi a un altro”.
Come assorbirà, la chiesa, il trauma dell’addio di Benedetto XVI al pontificato?Cacciari risponde che, “in tedesco, trauma e sogno sono quasi la stessa parola. Potrebbe anche essere un bel sogno, che porta a innovazioni più radicali, all’abbandono di certe trincee. Il compito della chiesa è quello di dire che cosa pensa della vita, della morte, della libertà, predicando il verbo sulle questioni ultime. Il trauma delle dimissioni del Pontefice, perché di trauma si tratta, potrebbe condurre con sé qualcosa di molto salutare, un ripensamento su come comunicare la fede oggi”. La giusta strada, dice ancora Massimo Cacciari, “l’ho vista nella prima enciclica, la ‘Deus caritas est’, ricca di prospettive nuove, mentre il pensiero successivo di Benedetto XVI si è attardato sulle questioni di ragione e fede, affrontate in termini di scolastica. Ma ora è proprio il gesto delle dimissioni, nella sua paradossalità, a imporsi come oggetto di riflessione. Chi è, nel mondo, che non vuole tenersi il potere? La decisione del Papa afferma il contrario: altro che fare bassi compromessi col mondo. E allude a una predicazione che non assecondando il mondo, tenga tuttavia la chiesa nel mondo. Perché la chiesa è una grande organizzazione politica”.
Tra trauma e sogno, in conclusione, Cacciari scommette sul secondo: “Le dimissioni del Papa mi sembrano una grande opportunità. Anche se, almeno all’inizio, può darsi che ci sia una reazione conservativa. Di fronte a questo gesto, nella chiesa ci saranno persone che correranno ai ripari mentre altre correranno all’aperto. Vorranno privilegiare l’essere comunità, non disfacendosi del centralismo ma dandogli un significato non burocratico. E magari si apriranno spazi al ruolo delle donne, si capirà che la grande rivoluzione culturale e antropologica degli ultimi due secoli le riguarda e che la chiesa non può ignorarlo. Ma per pensare che la breccia aperta dalle dimissioni di Ratzinger possa dare tutti i frutti, bisogna sperare che il prossimo pontificato sia, insieme, di grande energia, cultura, elevatezza e comprensione dei linguaggi della modernità, in unione con qualche spunto profetico. Nel Duecento, nel Cinquecento è andata così. C’è stato un Papa, Innocenzo III, e c’è stato un profeta, san Francesco”. Il nuovo successore di Pietro potrebbe arrivare dal sud del mondo: “Se questo avverrà, se cioè il prossimo Papa sarà antropologicamente estraneo all’Europa e all’occidente, sarebbe l’estremo segno della ‘finis Europae’. Non da intendersi come apocalisse, ma come estinzione dell’ultimo elemento di centralità dell’Europa. Dell’antico nucleo della sua potenza non è rimasto più nulla. C’erano le tre Rome. La seconda, Istanbul, è islamica. Nella terza, Mosca, la religione è in balia della politica e di Putin. Come unica memoria della sacra centralità europea non rimane quindi che la Roma del papato. Venuta meno questa, sarà la fine di un mondo. Un Papa italiano? Potrebbe essere una regressione. Mi piacerebbe che fosse un altro tedesco, come Schönborn, energico e consapevole”.
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