venerdì 9 novembre 2012

Austerity ma senza esagerare, di Marco Valerio Lo Prete


La crisi farà convergere rigorismo europeo e pragmatismo americano

L’austerity è la panacea per le economie occidentali in crisi oppure è il virus letale che le porterà all’implosione?Risposte definitive è difficile trovarne. Certo è che ancora in questi giorni, perlomeno dal punto di vista teorico, Unione europea e Stati Uniti dimostrano di essere quasi agli antipodi quando si parla di politica fiscale: Bruxelles pro pareggio di bilancio a ogni costo, Washington più sviluppista e pragmatica. Eppure nelle scelte di politica economica dei prossimi mesi le due sponde dell’Atlantico potrebbero riavvicinarsi.
In Europa l’influenza dei rigoristi di Berlino è stata finora dominante. L’argomento principale è grossomodo il seguente: le strette fiscali, tra tagli alla spesa e aumenti delle tasse, rassicurano cittadini e investitori sulla sostenibilità futura del debito, calmando così le ondate speculative e rendendo meno costoso il credito per imprese e cittadini. E’ la tesi dell’“austerity espansiva” cara alla cancelliera Angela Merkel, e riaffermata in un lungo box (un po’ tecnico) di un rapporto appena pubblicato dalla Commissione europea. Ieri il Financial Times notava che proprio quest’ultimo rapporto è il tentativo esplicito e ufficiale dell’esecutivo europeo di controbattere al Fondo monetario internazionale (Fmi). Il Fmi, organizzazione internazionale con sede a Washington, ha da tempo abbandonato le posizioni più “ortodosse” sulla politica fiscale. Lo scorso mese il capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, ha destato scalpore certificando che l’impatto recessivo del risanamento dei conti è ben maggiore di quanto stimato finora. Ma tralasciando il serrato confronto ideale, nei prossimi mesi la logica delle cose potrebbe costringere Washington e Bruxelles a convergere più del previsto.
Negli Stati Uniti, per esempio, Obama dovrà adottare nel suo secondo mandato una politica fiscale più restrittiva di quanto fatto negli ultimi quattro anni. A gennaio il paese va infatti incontro al cosiddetto “precipizio fiscale” (“fiscal cliff”), una pericolosa congiuntura nella quale scadranno bonus fiscali e scatteranno tagli automatici alla spesa pubblica. Per questo ieri il senatore Chuck Schumer, figura di spicco del Partito democratico, ha fatto appello al mondo imprenditoriale statunitense: premete sui repubblicani, è il suo messaggio, affinché pure loro accettino un compromesso con le richieste di Obama e salvino il paese dalla recessione sicura. Nonostante la politica monetaria ultra accomodante della Fed, anche la Casa Bianca dovrà iniziare a preoccuparsi di ridurre il deficit e contenere il debito pubblico.
A patto di non cadere in certi eccessi europei. Mercoledì notte il Parlamento greco ha approvato l’ennesimo pacchetto di tagli al bilancio, e questo solo per poter richiedere altri prestiti internazionali a Ue, Bce e Fmi. Ma il costo politico è stato elevato: una decina di parlamentari sono stati espulsi dai partiti che sostengono il governo d’unità nazionale per non aver approvato la manovra correttiva, e adesso il premier Samaras ha una maggioranza sempre più risicata (153 seggi su 300, anche se l’astensione di Sinistra democratica era prevista). Ora però la Commissione ha certificato che neanche la Francia riuscirà a ridurre il rapporto deficit/pil al 3 per cento il prossimo anno, mentre Mario Draghi (Bce) ha annunciato che perfino la locomotiva tedesca sta frenando. Non a caso a Bruxelles aprono a qualche concessione per la Spagna. Austeri sì, ma fino a un certo punto.
http://www.ilfoglio.it/soloqui/15706

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