Van Rompuy taglia ricerca e politica estera dall’eurobilancio
Tutto rinviato al 2013. Il vertice di ieri sul bilancio 2014-2020 dell’Unione europea segna un balzo indietro di vent’anni, ma non per il mancato accordo. Il problema non è nemmeno la riduzione al tetto complessivo di spesa da un trilione di euro in sette anni chiesti dal Merkeron. Di inefficienze ce ne sono in tutte le amministrazioni pubbliche: Angela Merkel e David Cameron hanno ragione sulla spending review brussellese. Il problema sono le scelte politiche compiute sui tagli, in nome della necessità di un accordo. Davanti alle minacce di veto, il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha messo sul tavolo una proposta per preservare lo status quo. Qualche miliardo in più alla Politica agricola comune (Pac) e alla Politica di coesione, riducendo consistentemente le risorse per le rubriche “crescita e competitività” e “ruolo globale dell’Ue”: 8 miliardi tolti alla ricerca; 5 sottratti alle infrastrutture; altri 5 alla politica estera. Era il contentino per francesi e italiani che, dopo essersi dichiarati i leader del partito della crescita in Europa, hanno fatto dell’agricoltura e dei fondi regionali le loro linee rosse.
I tagli di Van Rompuy raccontano lo stato dell’Unione meglio di qualsiasi suo discorso: l’Ue è concentrata sul passato e, in un presente di crisi, riesce a guardare solo all’ombelico. Pac e Coesione sono le due rubriche storiche, che da vent’anni pesano di più sul bilancio comunitario, frenando le ambizioni europee. Sette anni fa, Tony Blair aveva cercato invano di riequilibrare le spese a favore di innovazione e competitività. L’apostolo francese del neokeynesismo ha fatto come Jacques Chirac nel 2005: François Hollande ha battagliato per mantenere i privilegi dei suoi ricchi agricoltori. La Commissione per mesi aveva predicato la crescita, ma durante il vertice si è adoperata soprattutto per difendere l’Eurocrazia: i portavoce di José Manuel Barroso circolavano in sala stampa con un grafico per dimostrare di avere meno privilegi dei funzionari britannici. Mario Monti, che voleva valorizzare gli investimenti pubblici, si è invece dedicato alla salvaguardia degli inefficienti fondi europei per Sicilia, Calabria, Puglia e Campania. Con l’aggravante che, in mancanza di risorse nazionali per co-finanziare i progetti, l’Italia non riesce a spendere i soldi, ritrovandosi così nella posizione di primo contributore netto dell’Ue. In queste condizioni, meglio andarsene a casa. Un paio di mesi di riflessione forse permetteranno ai leader di capire che l’Ue di ieri non riuscirà a sopravvivere al domani.
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