Non il solito attacco speculativo
Da Soros e dagli autorevoli economisti del giro viene un appello (montiano) alla condivisione di debiti e responsabilità tra Bce e stati
Pubblichiamo ampi stralci di “Uscire dallo stallo, un sentiero fuori dalla crisi”, il manifesto pubblicato dall’Institute for New Economic Thinking (INET) sull’attuale situazione europea.
E’ ancora possibile – dal punto di vista economico e politico – trovare una via d’uscita per la crisi dell’Eurozona se i politici gestiscono separatamente due questioni: affrontare i costi ereditati dalla concezione originaria dell’Eurozona, e raddrizzare questa stessa concezione. Il primo punto richiede significative ripartizioni degli obiettivi nazionali e una strategia economica focalizzata sulla stabilizzazione dei paesi attualmente sofferenti per recessione e fuga di capitali. Il secondo punto richiede invece un’unione fiscale e bancaria con solide istituzioni all’interno dell’area euro e una forma minima di prestatore di ultima istanza.
1. Siamo convinti che in questo momento, nel luglio 2012, l’Europa stia camminando come un sonnambulo nella direzione di un disastro di proporzioni incalcolabili. Nelle ultime settimane, la situazione nei paesi debitori si è deteriorata drammaticamente. Il senso di una crisi senza via d’uscita, con un effetto domino da un paese all’altro, dev’essere ribaltato. L’ultima tessera del domino, la Spagna, ha i giorni contati prima di una crisi di liquidità, secondo il suo stesso ministro delle Finanze. Questa situazione drammatica è il risultato del sistema dell’euro, com’è attualmente costruito, e decisamente non più funzionante. La causa è un fallimento sistemico che ha esacerbato prima un boom di flussi di capitale e credito, e poi ha complicato le conseguenze dello stesso boom, trasformatosi nello scoppio della bolla. E’ responsabilità di tutti i paesi europei che hanno contribuito a questo meccanismo fallace quella di contribuire adesso alla sua soluzione; questo non vuol dire che i costi della crisi debbano essere suddivisi tra i cittadini dell’Eurozona; il fallimento sistemico non assolve dalle proprie responsabilità i decisori, le banche, gli organi di controllo che presero o consentirono scelte di credito e indebitamento imprudenti. Significa però che il modo con cui i mercati stanno adesso mettendo in atto punizioni contro nazioni specifiche è una misera risposta, e che invece una reazione efficace alla crisi dovrebbe essere collettiva e prevedere una condivisione di responsabilità tra paesi. In mancanza di ciò, l’euro si disintegrerà.
2. I leader europei riconoscono il bisogno di una risposta collettiva. Fino a oggi l’Eurozona è scivolata verso il break-up per diversi mesi nonostante le incalcolabili perdite e le sofferenze umane che ciò ha comportato. Causa di ciò è stato il mancato accordo tra paesi in attivo e paesi in deficit su un piano d’azione che rassicurasse sia i mercati finanziari sia tenesse in considerazione i bisogni dei cittadini in entrambi i tipi di paesi. Recessioni sempre più pesanti e alta disoccupazione stanno incidendo sullo stato sociale nei paesi in deficit e causando enormi ed evitabili sofferenze umane. Alleviare queste dovrebbe essere la priorità per i politici dell’Eurozona. Inoltre, la sensazione che non ci sia una luce alla fine del tunnel sta deteriorando il livello di sostegno dei cittadini a misure di controllo della spesa e di riforme strutturali, oltre a incentivare fughe di capitali. Allo stesso tempo, l’idea che nei paesi a rischio le riforme possano avvenire solo sotto pressione mette a rischio, nei paesi invece virtuosi, il consenso attorno a misure anticrisi più efficaci. Mentre negli stati periferici diventa più difficile raddrizzare i conti, al nord diventa più arduo ottenere consenso su questi sforzi. Risolvere la crisi attuale non è un gioco a somma zero. Al contrario, è una scelta in cui si vince entrambi, creditori e debitori. Le perdite economiche e politiche che la fine dell’euro comporterebbe sono probabilmente di un ordine di grandezza maggiore dei potenziali trasferimenti resi necessari per risolvere i problemi ereditati dalla struttura dell’euro. (…)
Una soluzione raggiungibile di lungo periodo
Controlli fiscali. Un rilevante passo avanti per scoraggiare il “free riding” fiscale è il Fiscal compact del marzo 2012, che cerca di inglobare le regole europee nelle legislazioni nazionali, pur mantenendo un po’ di spazio di manovra per politiche anticicliche. Tuttavia, nel contesto delle democrazie nazionali, le regole fiscali non possono essere credibili al 100 per cento poiché le leggi possono essere sempre cambiate tramite una decisione del Parlamento, questa è l’essenza della democrazia. Il Fiscal compact ha fatto tutto il possibile per assicurare che le sue regole siano osservate e rispettate sia pur nel contesto democratico di ogni stato sovrano. Queste tensioni diminuirebbero, o cesserebbero del tutto, in presenza di un’unione politica federale. Alcuni membri del Consiglio (dell’Inet, ndr) vedono in una mossa verso l’unione federale il necessario sviluppo dell’area euro. Nel breve periodo, le esternalità associate a deviazioni dalle norme fiscali approvate a livello nazionale devono essere contenute tramite livelli di aggiustamento automatici. Per esempio, alcune aliquote Iva potrebbero cambiare, o alcuni limiti alla spesa pubblica potrebbero venire imposti. Il Consiglio ritiene che il Fiscal compact debba permettere spazio maggiore per politiche fiscali anticicliche: dato che aggiustamenti automatici a livello di Eurozona sono già in atto, non dovrebbero esserci molte obiezioni a permettere a paesi in profonda recessione di mettere in atto politiche di stimolo più forti di quelle permesse attualmente dal compact. Per consentire un controllo democratico, l’istituzione incaricata della sorveglianza fiscale dovrebbe essere controllabile a sua volta dal Parlamento europeo.
Un prestatore di ultima istanza per i governi che rispettino il Fiscal compact. Idealmente, dovrebbe essere la Banca centrale europea (Bce). Il nuovo Fondo salva stati (Esm) sarà pure in grado di svolgere questo ruolo, nonostante le sue limitazioni allo stato attuale, una volta che il livello di debiti sovrani sarà ridotto significativamente da quello attuale, e quando le fughe di capitali tra stati saranno mitigate (…). Consentire all’Esm di avere sufficiente potenza di fuoco per centrare i suoi obiettivi richiede che gli venga data una licenza bancaria in modo che possa approvvigionarsi a tassi favorevoli dalla Bce. (…)
Misure urgenti di breve periodo
Le riforme istituzionali di cui si è scritto sarebbero sufficienti a mettere l’Eurozona su un terreno solido solo se accompagnate da un efficace processo di aggiustamento che neutralizzi gli alti livelli di debito e le perdite di competitività accumulate durante la crisi e anche nei periodi precedenti in un numero di paesi. Il dilemma è come fare ciò nel mezzo di una recessione che sta iniziando a portare molte società verso il punto di rottura, anche alla luce del potere e della dimensione (e finora dello scetticismo) dei mercati finanziari. La risposta deve coinvolgere una combinazione di misure straordinarie che includano riforme fiscali strutturali mirate a minimizzare i costi immediati sul pil dei tassi reali di cambio e degli aggiustamenti fiscali, il sostegno dai Fondi esistenti (l’Efsf e l’Esm), un sostegno ulteriore da parte dei paesi in attivo, ristrutturazioni volontarie del debito, un ruolo eccezionale della Bce ed eccezionali misure d’emergenza di politica economica e monetaria.
Messa in comune parziale e temporanea del debito pregresso. Il debito “ereditato” è in parte il risultato del cattivo progetto dell’euro, così come di pessime politiche degli stati membri insieme alle forti pressioni esercitate dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Il nostro gruppo ha negato il bisogno di una vasta e permanente mutualizzazione dei debiti sovrani come necessaria caratteristica dell’Eurozona. Tuttavia, affrontare problemi ereditati richiede un sostegno ufficiale per i paesi che cercano di mettere in sicurezza i loro conti. Il nostro Consiglio appoggia le proposte del Consiglio degli esperti economici tedeschi, di concedere progressivamente una garanzia sul debito pregresso per i paesi che perseguono un’adeguata messa in sicurezza dei conti sotto la procedura di deficit eccessivo prevista dalla Ue. Come giusto incentivo, si potrebbe dare forma a una garanzia sulle nuove emissioni di debito fino a una certa soglia prefissata. L’agenzia inizialmente preposta a questi acquisti potrebbe essere l’Efsf/Esm, supportata da un impegno Ue a un più vasto “redemption fund” garantito o da ulteriore capitale o dal potere di stampare moneta sotto una garanzia congiunta, se ciò fosse necessario. L’Esm potrebbe anche ricevere una licenza bancaria per dimostrare che ha adeguata potenza di fuoco, o se la sua capacità di farsi imprestare denaro direttamente dalla Bce fosse considerata in violazione del Trattato, il suo debito potrebbe essere strumento primario negli acquisti sul mercato secondario della Bce. Ristrutturazioni volontarie del debito potrebbero consistere in uno swap tra titoli vecchi e nuovi con lo stesso valore nominale ma con scadenze allungate (per esempio, di 5 anni).
Riforme strutturali su cui concentrarsi: 1) riforme finalizzate a ripristinare la solvibilità senza pesare sulla produzione (per esempio, aumentare l’età pensionabile); 2) riforme che possano comportare costi sul pil o costi fiscali nel breve ma che creino miglioramenti sui conti e sulla competitività nel lungo periodo (per esempio, riduzione del personale della Pubblica amministrazione, riforme nel mercato del lavoro); e 3) “svalutazioni fiscali” che abbassino i costi fiscali sul lavoro in maniera neutrale (essenzialmente, sostituendo tasse sul lavoro con imposte indirette). Il secondo gruppo di misure potrebbe essere finanziato (e il suo impatto controbilanciato) da una combinazione di trasferimenti diretti dal bilancio Ue e prestiti a basso costo dall’Efsf/Esm.
Una soluzione raggiungibile di lungo periodo
Controlli fiscali. Un rilevante passo avanti per scoraggiare il “free riding” fiscale è il Fiscal compact del marzo 2012, che cerca di inglobare le regole europee nelle legislazioni nazionali, pur mantenendo un po’ di spazio di manovra per politiche anticicliche. Tuttavia, nel contesto delle democrazie nazionali, le regole fiscali non possono essere credibili al 100 per cento poiché le leggi possono essere sempre cambiate tramite una decisione del Parlamento, questa è l’essenza della democrazia. Il Fiscal compact ha fatto tutto il possibile per assicurare che le sue regole siano osservate e rispettate sia pur nel contesto democratico di ogni stato sovrano. Queste tensioni diminuirebbero, o cesserebbero del tutto, in presenza di un’unione politica federale. Alcuni membri del Consiglio (dell’Inet, ndr) vedono in una mossa verso l’unione federale il necessario sviluppo dell’area euro. Nel breve periodo, le esternalità associate a deviazioni dalle norme fiscali approvate a livello nazionale devono essere contenute tramite livelli di aggiustamento automatici. Per esempio, alcune aliquote Iva potrebbero cambiare, o alcuni limiti alla spesa pubblica potrebbero venire imposti. Il Consiglio ritiene che il Fiscal compact debba permettere spazio maggiore per politiche fiscali anticicliche: dato che aggiustamenti automatici a livello di Eurozona sono già in atto, non dovrebbero esserci molte obiezioni a permettere a paesi in profonda recessione di mettere in atto politiche di stimolo più forti di quelle permesse attualmente dal compact. Per consentire un controllo democratico, l’istituzione incaricata della sorveglianza fiscale dovrebbe essere controllabile a sua volta dal Parlamento europeo.
Un prestatore di ultima istanza per i governi che rispettino il Fiscal compact. Idealmente, dovrebbe essere la Banca centrale europea (Bce). Il nuovo Fondo salva stati (Esm) sarà pure in grado di svolgere questo ruolo, nonostante le sue limitazioni allo stato attuale, una volta che il livello di debiti sovrani sarà ridotto significativamente da quello attuale, e quando le fughe di capitali tra stati saranno mitigate (…). Consentire all’Esm di avere sufficiente potenza di fuoco per centrare i suoi obiettivi richiede che gli venga data una licenza bancaria in modo che possa approvvigionarsi a tassi favorevoli dalla Bce. (…)
Misure urgenti di breve periodo
Le riforme istituzionali di cui si è scritto sarebbero sufficienti a mettere l’Eurozona su un terreno solido solo se accompagnate da un efficace processo di aggiustamento che neutralizzi gli alti livelli di debito e le perdite di competitività accumulate durante la crisi e anche nei periodi precedenti in un numero di paesi. Il dilemma è come fare ciò nel mezzo di una recessione che sta iniziando a portare molte società verso il punto di rottura, anche alla luce del potere e della dimensione (e finora dello scetticismo) dei mercati finanziari. La risposta deve coinvolgere una combinazione di misure straordinarie che includano riforme fiscali strutturali mirate a minimizzare i costi immediati sul pil dei tassi reali di cambio e degli aggiustamenti fiscali, il sostegno dai Fondi esistenti (l’Efsf e l’Esm), un sostegno ulteriore da parte dei paesi in attivo, ristrutturazioni volontarie del debito, un ruolo eccezionale della Bce ed eccezionali misure d’emergenza di politica economica e monetaria.
Messa in comune parziale e temporanea del debito pregresso. Il debito “ereditato” è in parte il risultato del cattivo progetto dell’euro, così come di pessime politiche degli stati membri insieme alle forti pressioni esercitate dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Il nostro gruppo ha negato il bisogno di una vasta e permanente mutualizzazione dei debiti sovrani come necessaria caratteristica dell’Eurozona. Tuttavia, affrontare problemi ereditati richiede un sostegno ufficiale per i paesi che cercano di mettere in sicurezza i loro conti. Il nostro Consiglio appoggia le proposte del Consiglio degli esperti economici tedeschi, di concedere progressivamente una garanzia sul debito pregresso per i paesi che perseguono un’adeguata messa in sicurezza dei conti sotto la procedura di deficit eccessivo prevista dalla Ue. Come giusto incentivo, si potrebbe dare forma a una garanzia sulle nuove emissioni di debito fino a una certa soglia prefissata. L’agenzia inizialmente preposta a questi acquisti potrebbe essere l’Efsf/Esm, supportata da un impegno Ue a un più vasto “redemption fund” garantito o da ulteriore capitale o dal potere di stampare moneta sotto una garanzia congiunta, se ciò fosse necessario. L’Esm potrebbe anche ricevere una licenza bancaria per dimostrare che ha adeguata potenza di fuoco, o se la sua capacità di farsi imprestare denaro direttamente dalla Bce fosse considerata in violazione del Trattato, il suo debito potrebbe essere strumento primario negli acquisti sul mercato secondario della Bce. Ristrutturazioni volontarie del debito potrebbero consistere in uno swap tra titoli vecchi e nuovi con lo stesso valore nominale ma con scadenze allungate (per esempio, di 5 anni).
Riforme strutturali su cui concentrarsi: 1) riforme finalizzate a ripristinare la solvibilità senza pesare sulla produzione (per esempio, aumentare l’età pensionabile); 2) riforme che possano comportare costi sul pil o costi fiscali nel breve ma che creino miglioramenti sui conti e sulla competitività nel lungo periodo (per esempio, riduzione del personale della Pubblica amministrazione, riforme nel mercato del lavoro); e 3) “svalutazioni fiscali” che abbassino i costi fiscali sul lavoro in maniera neutrale (essenzialmente, sostituendo tasse sul lavoro con imposte indirette). Il secondo gruppo di misure potrebbe essere finanziato (e il suo impatto controbilanciato) da una combinazione di trasferimenti diretti dal bilancio Ue e prestiti a basso costo dall’Efsf/Esm.
Ruolo provvisorio della Bce nella crisi. Mettere in atto tutti i succitati meccanismi necessiterà di tempo. Passi convincenti verso un’unione bancaria e un piano di medio termine di riduzione del debito supportato da garanzie temporanee darebbero alla Bce lo spazio per agire più efficacemente sul mercato del debito sovrano e anche nel comunicare ai mercati che questo strumento verrà attivamente utilizzato. In particolare, visto che il Fiscal compact ha fatto molto per assicurare l’impegno di una regola fiscale e di una credibilità all’interno del contesto democratico di ogni stato sovrano, e visto che nei casi di Spagna e Italia siamo in presenza di crisi che si autoalimentano, crediamo che la Bce potrebbe e dovrebbe impegnarsi in interventi molto più vasti sul mercato dei titoli di paesi che stanno rispettando i loro impegni. Crediamo che questo intervento sia una condizione per far funzionare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutti gli stati membri, e che questo sia in linea con il mandato della stessa Bce.
Misure macroeconomiche e monetarie d’emergenza. Ogni piano di miglioramento dei prezzi relativi di questa portata deve evitare la deflazione in ogni paese, che aggraverebbe lo stock di debito. Così la crescita dei prezzi nei paesi in attivo non può essere così lenta da arrivare alla deflazione, accanto a una larga schiera di paesi in deficit già all’apice della recessione. La Bce deve usare qualunque mezzo (convenzionale e non convenzionale) per assicurare una più omogenea trasmissione della politica monetaria. Come ha suggerito il Fondo monetario internazionale (Fmi), la politica monetaria dovrebbe essere accomodante in questo periodo emergenziale, utilizzando politiche convenzionali e non, per supportare il pil nominale e facilitare gli aggiustamenti dei tassi di cambio reale di cui c’è bisogno. I paesi in surplus con “spazio” fiscale dovrebbero utilizzare questo spazio per aiutare a sostenere la domanda aggregata nell’Eurozona presa nel suo totale. E gli stati membri dell’euro dovrebbero vedere urgentemente se c’è modo per le istituzioni europee di agire più efficacemente per la crescita economica di tutta l’area. L’orizzonte temporale previsto per queste misure straordinarie potrebbe essere di circa cinque anni. Dopo questa fase iniziale, la riduzione del debito pubblico in linea con le regole fiscali Ue avrebbe bisogno di continuare in alcuni dei paesi ad alto debito, come l’Italia. Tuttavia, presumiamo che coi benefici di una ripresa economica e di misure strutturali già intraprese, la continuativa riduzione del debito potrebbe avvenire senza supporto finanziario esterno. Dunque, per rassicurare i cittadini dei paesi creditori che il contributo finanziario – in particolar modo per supportare i prezzi delle nuove emissioni di debito nei paesi in deficit – non si trasformerà in un pozzo senza fondo, ci potrebbe essere un limite concordato a un periodo non superiore a cinque anni.
(traduzione di Michele Masneri)
***
I firmatari
Patrick Artus (Global Chief Economist, Natixis - Banque de Financement et d’Investissement), Erik Berglof (Chief Economist and Special Adviser to the President, European Bank for Reconstruction and Development), Peter Bofinger (professore dell’Università di Würzburg), Giancarlo Corsetti (professore dell’Università di Cambridge), Paul De Grauwe (professore London School of Economics e Political Science), Guillermo de la Dehesa (presidente del Centre for Economic Policy Research (Cepr), Lars Feld (professore di Politica economica all’Università di Friburgo), Jean-Paul Fitoussi (professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi), Luis Garicano (professore di Economia e strategia, London School of Economics), Daniel Gros (direttore del Centre for European Policy Studies (Ceps)), Kevin O’Rourke (professore di Storia economica, università di Oxford), Lucrezia Reichlin (professore di Economia, London Business School), Hélène Rey (professore di Economia, London Business School), André Sapir (Senior Fellow, Bruegel), Dennis Snower (presidente del Kiel Institute for the World Economy), Beatrice Weder di Mauro (professore di Economia, Johannes Gutenberg University of Mainz).
Misure macroeconomiche e monetarie d’emergenza. Ogni piano di miglioramento dei prezzi relativi di questa portata deve evitare la deflazione in ogni paese, che aggraverebbe lo stock di debito. Così la crescita dei prezzi nei paesi in attivo non può essere così lenta da arrivare alla deflazione, accanto a una larga schiera di paesi in deficit già all’apice della recessione. La Bce deve usare qualunque mezzo (convenzionale e non convenzionale) per assicurare una più omogenea trasmissione della politica monetaria. Come ha suggerito il Fondo monetario internazionale (Fmi), la politica monetaria dovrebbe essere accomodante in questo periodo emergenziale, utilizzando politiche convenzionali e non, per supportare il pil nominale e facilitare gli aggiustamenti dei tassi di cambio reale di cui c’è bisogno. I paesi in surplus con “spazio” fiscale dovrebbero utilizzare questo spazio per aiutare a sostenere la domanda aggregata nell’Eurozona presa nel suo totale. E gli stati membri dell’euro dovrebbero vedere urgentemente se c’è modo per le istituzioni europee di agire più efficacemente per la crescita economica di tutta l’area. L’orizzonte temporale previsto per queste misure straordinarie potrebbe essere di circa cinque anni. Dopo questa fase iniziale, la riduzione del debito pubblico in linea con le regole fiscali Ue avrebbe bisogno di continuare in alcuni dei paesi ad alto debito, come l’Italia. Tuttavia, presumiamo che coi benefici di una ripresa economica e di misure strutturali già intraprese, la continuativa riduzione del debito potrebbe avvenire senza supporto finanziario esterno. Dunque, per rassicurare i cittadini dei paesi creditori che il contributo finanziario – in particolar modo per supportare i prezzi delle nuove emissioni di debito nei paesi in deficit – non si trasformerà in un pozzo senza fondo, ci potrebbe essere un limite concordato a un periodo non superiore a cinque anni.
(traduzione di Michele Masneri)
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I firmatari
Patrick Artus (Global Chief Economist, Natixis - Banque de Financement et d’Investissement), Erik Berglof (Chief Economist and Special Adviser to the President, European Bank for Reconstruction and Development), Peter Bofinger (professore dell’Università di Würzburg), Giancarlo Corsetti (professore dell’Università di Cambridge), Paul De Grauwe (professore London School of Economics e Political Science), Guillermo de la Dehesa (presidente del Centre for Economic Policy Research (Cepr), Lars Feld (professore di Politica economica all’Università di Friburgo), Jean-Paul Fitoussi (professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi), Luis Garicano (professore di Economia e strategia, London School of Economics), Daniel Gros (direttore del Centre for European Policy Studies (Ceps)), Kevin O’Rourke (professore di Storia economica, università di Oxford), Lucrezia Reichlin (professore di Economia, London Business School), Hélène Rey (professore di Economia, London Business School), André Sapir (Senior Fellow, Bruegel), Dennis Snower (presidente del Kiel Institute for the World Economy), Beatrice Weder di Mauro (professore di Economia, Johannes Gutenberg University of Mainz).