Al prossimo vertice di Bruxelles, il 9 luglio, non ci sarà molto da discutere sul pacchetto per la crescita da 120 miliardi di euro e sul progetto di unione bancaria, piuttosto si tratterà didefinire i dettagli dei meccanismi – fortemente voluti dall’Italia – per la stabilizzazione dei mercati a breve termine. Di percorso “assolutamente non finito” ha parlato ieri il presidente del Consiglio Mario Monti, intervenendo al Senato. Il premier ha ricostruito il ruvido negoziato che ha portato l’Italia a porre “una riserva d’attesa” (leggi: veto) al “Growth compact” per ottenere in cambio un intervento del Fondo salva stati permanente (Esm) a sostegno dei paesi “neo virtuosi” i cui sforzi non sono ancora riconosciuti pienamente dai mercati (leggi: l’Italia). “Finlandia e Olanda – ha detto ieri Mario Monti – hanno una certa sofferenza verso questi meccanismi di stabilizzazione, presentano obiezioni che cercheremo di sormontare”. Ieri però, a sostegno delle ragioni di Roma, è arrivata una dichiarazione di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue: “Ogni paese deve prendere sul serio le proprie responsabilità, specie quando deve realizzare decisioni prese all’unanimità”. Il riferimento era alle dissenzienti Finlandia e Olanda. Più sibillina la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che oggi sarà a Roma per incontrare Monti: “Le decisioni di ogni singolo paese meritano rispetto”, ha detto in una conferenza stampa. Berlino intende così porsi a capo di una fronda rigorista per depotenziare l’intesa del 28-29 giugno?
Quel che è certo è che, contrariamente alle attese, anche in Germania si fa strada l’idea che il differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato tedeschi e quelli dei paesi della periferia sia ingiustificato alla luce degli sforzi riformatori sin qui sostenuti. Nella sua comunicazione al Bundestag sui risultati del vertice di Bruxelles, la cancelliera aveva ammesso che il varo di uno scudo anti-spread era diventato necessario. Sui dettagli si vedrà, ma intanto anche il centro di ricerca economica Zew, di orientamento liberale, suggerisce l’istituzione di un fondo “FIRE” (Fiscal Interest Rate Equalization) per livellare i tassi di interesse dell’Eurozona degli stati più a rischio. A differenza degli Eurobond, il fondo non avrebbe come conseguenza la condivisione del debito e ad esso contribuirebbero soltanto stati membri a basso rendimento (Germania, Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo) al fine di mantenere per un periodo di tempo limitato (sei mesi o un anno) il tasso di interesse dei titoli decennali italiani e spagnoli sotto il 5 per cento. L’idea è cioè che i governi del nord Europa utilizzino la spesa per interessi risparmiata dall’inizio della crisi per comprare direttamente il debito di Italia e Spagna. L’acquisto di bond rimarrebbe comunque condizionato all’approvazione di riforme strutturali. I vantaggi del FIRE sono molteplici, spiega nel suo studio l’economista Friedrich Heinemann. Quello principale è che la creazione di un nuovo fondo non sarebbe condizionata alla prestazione di garanzie da parte degli stati prestatori e i costi si materializzerebbero subito, senza gravare sulle generazioni future.
"Après Nous le déluge!" LUIGI XV; http://ideas.repec.org/f/pma1570.html; http://papers.ssrn.com/sol3/cf_dev/AbsByAuth.cfm?per_id=1590874; https://www.researchgate.net/profile/Cosimo_Magazzino/; uniroma3.academia.edu/CosimoMagazzino; http://scienzepolitiche.uniroma3.it/cmagazzino/
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