mercoledì 11 luglio 2012

Le cartucce morali per il rigorismo di Merkel? Vedi alla voce “Bibbia”, di Marco Valerio Lo Prete


La storia intrecciata di “peccato” e “debito” nel mondo giudaico-cristiano e le scoperte del teologo G. Anderson

Notare che in tedesco il termine utilizzato per “debito” (Schuld) è lo stesso utilizzato per “colpa” (Schuld), e che alcuni paesi dell’Eurozona sono definiti in Germania “Defizit-sünder” (“peccatori del deficit”), è uno dei modi per descrivere il connotato morale che la leadership politica di Berlino attribuisce alla crisi economica in corso. Per questo un detrattore di Angela Merkel come Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia, parla sprezzantemente di “moralismo” e spiega che la “sofferenza” imposta da Berlino via austerity fiscale altro non sia che una forma di “redenzione” incomprensibile dal punto di vista macroeconomico. Un sostenitore della cancelliera utilizza invece lo stesso argomento, ribaltandolo: secondo David Brooks, columnist conservatore del New York Times, Germania e Stati Uniti condividono una positiva tensione morale, in base alla quale “l’impegno dovrebbe portare a una ricompensa quanto più spesso possibile”, e l’opposto deve valere per la mancanza d’impegno.
Meno noto, però, è il fatto che l’equazione “debito uguale peccato” ha radici anticheche affondano nelle Sacre scritture del mondo giudaico-cristiano. E’ questa, perlomeno, la tesi di Gary A. Anderson, docente di Teologia cattolica all’Università di Notre Dame (negli Stati Uniti), autore nel 2009 di “Sin. A history”, in questi giorni tradotto e pubblicato da Liberilibri proprio per animare il dibattito sulle sorti della moneta unica. Sostiene Anderson che “definire il peccato non è semplice” e per questo “se prestiamo attenzione a come la gente ne parla, notiamo come sia imprescindibile l’uso della metafora”. Il problema, scrive l’autore, è che nel caso del mondo giudaico-cristiano e dei suoi testi di riferimento “le traduzioni costituiscono un ostacolo perché riducono una grande varietà di locuzioni a una singola espressione canonica: ‘perdonare un peccato’”. Perdendo così di vista un cambiamento fondamentale: se infatti durante il periodo più antico del mondo giudaico-cristiano predominava l’idea del peccato inteso come fardello o macchia, è poi emersa gradualmente l’immagine del peccato come debito, definitivamente affermatasi nel Nuovo testamento.
Si prenda il libro del Levitico, collocato da alcuni studiosi nel periodo 1000-587 a.C. e da altri tra 550 e 400 a.C. Vi si descrive il Giorno dell’espiazione, in cui il popolo d’Israele dovrà portare due capri al tempio di Gerusalemme. Qui Aronne, sommo sacerdote, “poserà ambedue le  mani sulla testa del capro vivo e confesserà sopra di esso tutte le iniquità e le trasgressioni dei figli d’Israele, qualunque sia il loro peccato, e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di questo, lo manderà via nel deserto” (Levitico 16, 21). Il capro dovrà riportare il peso dei peccati agli inferi, perciò – conclude Anderson – “il rituale del capro espiatorio è legato all’immaginario del peccato inteso come un pesante fardello che necessita di essere portato via dal dominio dell’umanità”. Quasi tutti gli eventi dell’Antico testamento si svolgono però nel periodo del Primo tempio, che inizia convenzionalmente con la costruzione del tempio da parte di re Salomone (X secolo a.C.) e si conclude con la distruzione dello stesso tempio da parte del re Nabucodonosor (587 a.C.) e infine il ritorno degli Israeliti nelle loro terre dopo la cattività nell’impero babilonese (nel 520 a.C. sono gettate le fondamenta del nuovo tempio).
Ma qualcosa cambia nelle narrazioni e nei documenti riferiti al periodo del Secondo tempio che dura fino al 70 d.C., anno della distruzione del tempio da parte dei romani. “Nel Nuovo testamento la metafora del peccato come debito diventa pervasiva”. Un esempio su tutti: il noto verso del Padre Nostro dal Vangelo di Matteo: “Rimetti a noi i nostri debiti come li rimettiamo ai nostri debitori”. E’ l’umanità tutta, come dimostra una traduzione accorta della Lettera ai Colossesi, a essere peccatrice e quindi debitrice, tanto che “Gesù ha cancellato il documento scritto a mano del nostro debito e lo ha inchiodato alla croce” (Lettera ai Colossesi 2, 14). Il cambiamento (di metafora) riguarda dunque il Nuovo testamento, ma anche tutta la letteratura rabbinica, e la sua origine – osserva Anderson – si rintraccia già in uno dei testi più tardi della Bibbia ebraica, nel documento noto come “Secondo Isaia”.

Ma Dio utilizza una “contabilità creativa”
Alla ricostruzione storica l’autore affianca un’analisi filologica approfondita, e arriva alla conclusione che la causa principale del passaggio dal peccato-fardello al peccato-debito sia l’influenza dell’aramaico: “L’adozione, da parte dei governi persiani, dell’aramaico come lingua ufficiale della legge e del commercio ebbe un profondo impatto sul dialetto dell’ebraico parlato nel periodo del Secondo tempio”. Nella lingua aramaica, non a caso, la parola che indica il debito, hoba, coincide con il termine con il quale si indica il peccato. La metafora di riferimento dunque cambia ma i traduttori, inclusi i primissimi tra loro, non rendono mai le locuzioni in maniera letterale. Eppure – e questa è la seconda conclusione dello studio di Anderson – le metafore sono molto più che semplici parole: “Il modo in cui parliamo del peccato influenza il modo in cui agiamo al riguardo. Uno dei  cambiamenti più significativi fu l’evoluzione della pratica dell’elemosina come colonna portante della fede biblica”.
Il Merkel-pensiero su debito, peccato e colpa, dunque, poggia su spalle di giganti, non c’è che dire. Con due “dettagli”, però, che depongono a favore di una lettura non solo moralista dell’indebitamento: primo, “Dio non amministra il suo libro contabile in maniera meccanica”, precisa Anderson, ma piuttosto fa uso di “contabilità creativa” in molti casi in cui si tratta di condonare debiti-peccati. Secondo: fin dal Levitico è noto che l’anno ricorrente del Giubileo è anno di liberazione, ma anche di perdono dei debiti. I merkeliani di ferro sono avvertiti.

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