giovedì 4 aprile 2013

Enzo Jannacci, l'ultima intervista tra Dio e l'idea della morte, di Enrico Fovanna

"Amo interrogarmi anche se sbaglio risposte"


Enzo Jannacci si è spento a Milano (Ansa)

Enzo Jannacci, sulla via di Rimini, ieri cantava al meeting di Cl, ammette: «C’è Dio nella mia vita. È come un seme, qualcosa che ti cresce dentro, ce l’hanno tutti, poi qualcuno ripiega nell’indifferenza, ma è un seme che non è negato a nessuno». Neanche a Enzo, dunque, che certo non è mai brillato per bigottismo, ma lo spirito lo ha coltivato, eccome. «Di Dio ne avevo già parlato qualche anno fa, con un giovane cronista appena assunto, che mi sembrava di dover aiutare. Ho raccontato delle cose molto intime e ponderate, le sapevano solo mio figlio e mia moglie, ho parlato del silenzio della Croce, della carezza del Nazareno, cose che in qualche modo avevo cercato di mettere anche tra le righe delle canzoni. E questo aveva suscitato sorpresa».

Jannacci, l’ateo, diceva qualcuno, che si converte.
«Piano, gente, quale ateo. L’etimologia è precisa. Nessuno è senza Dio. La fede è come l’amore, un sentimento in cui credere. E va alimentato. Come la fedeltà».

Dio è stato sempre dentro di lei o una scoperta dell’età adulta?
«È cresciuto in me con il corpo e l’intelletto. Fino a 17 anni ero piccolo di statura, uno e cinquantasette, e di pari passo andava la mia immaturità intellettuale. Studiavo tutto a memoria. Non venivo ammesso agli esami. Ma tiravo avanti perché qualcosa già c’era, dentro. Ed è venuto fuori dopo. Mi avevano impostato, certo, mio padre e mia madre. Un seme era stato messo, nel mio caso, ma ripeto, esiste in tutti noi».

E la scelta della professione di medico è stata conseguente?
«L’ho fatto per sessant’anni il medico e certo, nell’idea di curare gli altri questo seme è stato fondamentale. Mio padre ha preteso, senza coercizione, che suo figlio respirasse il clima della solidarietà. Devo questo dono a lui e a mia madre, ma sto ancora maturandolo oggi. Anche perché continuo a darmi delle risposte, che perlopiù si rivelano sbagliate. Però me le faccio, le domande. Anche sulla morte».

La morte: la fede aiuta a sopportare meglio l’idea?
«Non lo so. È un luogo comune. Lo dicono i preti, ma per gli altri si tratta di una fantasia. Certo, se penso alla morte, in questi giorni, alla gente che abbiamo lasciato in mezzo al mare, mi indigno. Il nostro Paese ha creato i presupposti per dei crimini contro l’umanità. Prima si soccorre, poi si applica la legge».

Cosa si doveva fare con i barconi?
«Per ovviare a un reato, bisogna avere il corpo del reato. Ma se l’hai fatto morire in mare. Li vogliono “rimbalzare”... Ma l’Unione Europea è stata chiara. Abbiamo commesso dei crimini contro l’umanità. Il Vaticano ha ragione, sono dei pazzi».

Mala sua fede com’è?
«Non è quella del Dio, il diavolo, la Madonna. No, ho un altro modo di viverla, ma non vorrei entrare in un terreno davvero troppo intimo. Oggi c’è solo un gran gusto del chiasso, un piacere dell’indifferenza, del guardare instupiditi e invidiosi il premier. Un Paese che andrebbe smemorato e riattivato, come direbbe Montale».

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