Oggi i funerali a Londra
Nei romanzi la Thatcher ha sempre qualche colpa, pure se dopo di lei sono arrivati i colori che hanno cancellato gli “anni marroni”. E quella guerra maldigerita, poi
"La figlia del droghiere che insisteva sulla parsimonia e sull’economia del bravo padre di famiglia ha finito per creare una società disastrosamente basata sul debito”. Parola di Jonathan Coe, sempre una certezza quando serve un attacco a Margaret Thatcher. Lo immaginiamo tra quelli che cantano “Ding dong! The Witch is Dead”, la canzoncina del “Mago di Oz” – la intonano i Mastichini, esibendo il certificato di morte attorno a una Dorothy piuttosto perplessa – tornata in classifica dopo la scomparsa dell’odiato primo ministro. Intanto Ian Jack, columnist del Guardian e dal 1995 al 2007 direttore di Granta, sente il bisogno di ricordare al mondo che la sua dolcissima mamma a metà degli anni Ottanta usava dire “mi meraviglio che nessuno le abbia ancora sparato”.
Chissà quanto deve essere costato a Jonathan Coe – uno che rese noto tardivamente il suo amore per Evelyn Waugh, timoroso perché lo scrittore era in conto alla destra – dedicare qualche riga del diario di Henry Winshaw alle lodi di Mrs Thatcher. Esigenze di personaggio, visto che Henry (discendente di una famiglia “antica e disgustosa”, certifica il sito di Feltrinelli, che nel 1995 pubblicò “La famiglia Winshaw”) è un politico conservatore: “Non dobbiamo dimenticare che dobbiamo tutto a Margaret. E’ magnifica, inarrestabile. Si libera dei suoi avversari come fossero erbacce. Sembrava così bella quando ha vinto. Come potremo mai ripagarla per tutto ciò che ha fatto?”.
Chissà quanto deve essere costato a Jonathan Coe – uno che rese noto tardivamente il suo amore per Evelyn Waugh, timoroso perché lo scrittore era in conto alla destra – dedicare qualche riga del diario di Henry Winshaw alle lodi di Mrs Thatcher. Esigenze di personaggio, visto che Henry (discendente di una famiglia “antica e disgustosa”, certifica il sito di Feltrinelli, che nel 1995 pubblicò “La famiglia Winshaw”) è un politico conservatore: “Non dobbiamo dimenticare che dobbiamo tutto a Margaret. E’ magnifica, inarrestabile. Si libera dei suoi avversari come fossero erbacce. Sembrava così bella quando ha vinto. Come potremo mai ripagarla per tutto ciò che ha fatto?”.
Nel “tutto ciò che ha fatto Margaret Thatcher”, è compresa la cancellazione degli “anni marroni”. Così li chiama Jonathan Coe – che come romanziere se la cava meglio di quando indossa i panni dell’economista – in “La banda dei brocchi”, ambientato nel 1973. Erano marroni i tavolini dei pub, marrone la moquette, marrone il soffitto scurito dal fumo di un milione di sigarette senza filtro, marroni le auto e i vestiti dei clienti. Tre canali tv, l’elettricità che va e viene (quando al pub scoppia una bomba messa dai terroristi irlandesi, il primo pensiero va a un black out), la birra verdastra fatta in casa per risparmiare, con il kit comprato da Boots, i sindacati furiosi contro gli immigrati che rubano il lavoro.
A valle della Thatcher – la società disastrosamente fondata sul debito di cui Coe assieme a molti altri, la ritiene responsabile, non essendo il rilancio dell’economia britannica una colpa – troviamo l’ultimo romanzo di John Lanchester, appena uscito da Mondadori. “Capital” era il titolo originale, in italiano “Pepys Road”, dal nome dell’immaginaria via londinese dove abitano i personaggi. “Pepys” è Samuel Pepys, diarista seicentesco che oltre alla peste e al grande incendio di Londra raccontava i suoi tentativi di infilare le mani sotto le gonne delle cameriere (in un misto linguistico di sua invenzione, secondo lui incomprensibile alla consorte). Da uomo di mondo, annota: “E’ bello stare a guardare cosa possono fare i soldi”.
Le case di Pepys Road, costruite a fine Ottocento, fanno la loro scalata sociale come gli individui. Scrive Lanchester: “Emergono dalla scialba crisalide dei tardi anni Settanta per trasformarsi in una farfalla dai colori squillanti nel decennio thatcheriano e nel corso del lungo boom economico che seguì”. Non pare per niente una brutta cosa, il denaro gira, gli scantinati e le soffitte vengono ristrutturati. Finché i finanzieri della City scoprono il quartiere, fanno salire i prezzi alle stelle, era “come il Texas durante il boom petrolifero, solo che invece di scavare un buco nella terra, alla gente bastava starsene lì a immaginare il valore della propria casa che schizzava verso l’alto così in fretta da non riuscire a stargli dietro”.
A valle della Thatcher – la società disastrosamente fondata sul debito di cui Coe assieme a molti altri, la ritiene responsabile, non essendo il rilancio dell’economia britannica una colpa – troviamo l’ultimo romanzo di John Lanchester, appena uscito da Mondadori. “Capital” era il titolo originale, in italiano “Pepys Road”, dal nome dell’immaginaria via londinese dove abitano i personaggi. “Pepys” è Samuel Pepys, diarista seicentesco che oltre alla peste e al grande incendio di Londra raccontava i suoi tentativi di infilare le mani sotto le gonne delle cameriere (in un misto linguistico di sua invenzione, secondo lui incomprensibile alla consorte). Da uomo di mondo, annota: “E’ bello stare a guardare cosa possono fare i soldi”.
Le case di Pepys Road, costruite a fine Ottocento, fanno la loro scalata sociale come gli individui. Scrive Lanchester: “Emergono dalla scialba crisalide dei tardi anni Settanta per trasformarsi in una farfalla dai colori squillanti nel decennio thatcheriano e nel corso del lungo boom economico che seguì”. Non pare per niente una brutta cosa, il denaro gira, gli scantinati e le soffitte vengono ristrutturati. Finché i finanzieri della City scoprono il quartiere, fanno salire i prezzi alle stelle, era “come il Texas durante il boom petrolifero, solo che invece di scavare un buco nella terra, alla gente bastava starsene lì a immaginare il valore della propria casa che schizzava verso l’alto così in fretta da non riuscire a stargli dietro”.
Siamo nel 2007, quando il romanzo comincia, e la brigata dickensiana di personaggi si offre alla nostra golosità. L’altro scrittore di riferimento è Anthony Trollope, con il romanzo “La vita oggi” uscito nel 1875. I titoli si potrebbero tranquillamente scambiare, già nel colossale romanzo vittoriano – mille pagine che presero il via da scandali finanziari londinesi risalenti agli anni 70 di due secoli fa – troviamo speculazioni senza copertura e truffe alla Madoff. Orchestra ogni nefandezza, spesso con la fattiva complicità delle sue vittime, il misterioso Auguste Melmotte. Ufficio alla City e casa in Grosvenor Square, dilapida un patrimonio (che non possiede) in magnifici ricevimenti e alla fine si ritrova senza il contante per le spese indispensabili.
La sua controparte in “Pepys Road” si chiama Roger Yount, quarantenne che spera a fine anno nel bonus da un milione di dollari. Giusto per rimettere a posto i conti di casa: le 150 mila sterline di stipendio annuo vanno via come niente, tra la tata e la vicetata, le auto, il pilates a domicilio, le vacanze esotiche, lo shopping della consorte. Verso la fine del romanzo, guarderà con preoccupazione un tassametro che segna 30 sterline. Gli altri abitanti di Pepys Road hanno altri problemi. L’ottantenne vedova Petunia Howe ha un mancamento, mentre fa la spesa al negozietto gestito dalla famiglia pachistana, e si ritroverà a letto accudita dalla figlia che ormai vive fuori città. L’operaio polacco che provvede ai lavori di casa – e ricorda “Moonlighting”, il film girato da Jerzy Skolimowski nel 1982, con Jeremy Irons che capeggia la brigata di idraulici e imbianchini – e l’ausiliaria della sosta, clandestina, frequentano la via per lavorarci, assieme alla tata ungherese. Si è appena trasferito, nella casa messa a disposizione dalla società, un giovane e molto promettente calciatore importato dal Senegal. A tutti, una mattina, arriva la fotografia della loro casa, e sotto la scritta minacciosa “Vogliamo quello che avete voi”.
La sua controparte in “Pepys Road” si chiama Roger Yount, quarantenne che spera a fine anno nel bonus da un milione di dollari. Giusto per rimettere a posto i conti di casa: le 150 mila sterline di stipendio annuo vanno via come niente, tra la tata e la vicetata, le auto, il pilates a domicilio, le vacanze esotiche, lo shopping della consorte. Verso la fine del romanzo, guarderà con preoccupazione un tassametro che segna 30 sterline. Gli altri abitanti di Pepys Road hanno altri problemi. L’ottantenne vedova Petunia Howe ha un mancamento, mentre fa la spesa al negozietto gestito dalla famiglia pachistana, e si ritroverà a letto accudita dalla figlia che ormai vive fuori città. L’operaio polacco che provvede ai lavori di casa – e ricorda “Moonlighting”, il film girato da Jerzy Skolimowski nel 1982, con Jeremy Irons che capeggia la brigata di idraulici e imbianchini – e l’ausiliaria della sosta, clandestina, frequentano la via per lavorarci, assieme alla tata ungherese. Si è appena trasferito, nella casa messa a disposizione dalla società, un giovane e molto promettente calciatore importato dal Senegal. A tutti, una mattina, arriva la fotografia della loro casa, e sotto la scritta minacciosa “Vogliamo quello che avete voi”.
Diceva Nathaniel Hawthorne, a proposito dei romanzi di Anthony Trollope: “Sono proprio il genere che preferisco, così realistici, come se un gigante avesse tagliato un grosso pezzo di globo terrestre e l’avesse messo in una teca di vetro”. John Lanchester, in 500 pagine che si leggono di corsa, procura al lettore gli stessi piaceri. Ed è assai meno cupo di J. G. Ballard, che in “Millennium People” (uscito nel 2003) immaginò la rivolta della buona borghesia nel quartiere di Chelsea Marina, sulle sponde del Tamigi. Chirurghi, broker, avvocati e architetti si sentono sfruttati, la sicurezza scarseggia e le lauree valgono quanto “un diploma in origami”. “Mi creda, capisco bene perché i minatori sono entrati in sciopero”, spiega uno di loro. E scende in piazza a tirar su le barricate con la Volvo.
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