Il «fronte italiano» di questa terribile crisi finanziaria mondiale si
è, almeno temporaneamente, chiuso con la firma da parte del presidente
Napolitano del «decreto salva Italia», in attesa di una chiusura
definitiva con l’approvazione parlamentare. Prima ancora, però, che
l’inchiostro presidenziale si fosse asciugato si è aperta un’altra, e
ben più vasta, zona di incertezza.
Ad aprirla è stata Standard & Poor’s che è, assieme a Moody’s e a
Fitch, una delle grandi agenzie di rating, ossia di valutazione tecnica
di tutti i titoli quotati del mondo: azioni, obbligazioni, titoli del
debito pubblico e quant’altro. Il problema è che dalla valutazione
tecnica - in cui hanno collezionato risultati altalenanti, promuovendo
spesso banche e imprese americane fallite o crollate in Borsa di lì a
poco - questi tre arbitri della finanza mondiale sono passati
rapidamente negli ultimi sei mesi a giudizi sempre più apertamente
politici: un Paese come gli Stati Uniti è stato declassato perché gli
«esperti», sovente senza volto, di Standard & Poor’s, hanno ritenuto
troppo debole Obama.
E quindi di fatto non realizzabile la politica economica del Presidente
americano. Sempre più spesso si avventurano in previsioni
macroeconomiche, ben al di fuori delle loro competenze, con analisi che
ieri il direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni, ha
giustamente definito «semplicistiche» e «superficiali».
Le agenzie di rating stanno dando l’impressione di «giocare» con i
debiti pubblici dei maggiori Paesi del mondo, tirandoli su e giù come
burattini appesi ai fili di un teatrino. Due giorni fa, Moody’s ha
promosso la Nigeria per le sue grandi potenzialità, ieri Standard &
Poor’s ha «messo sotto osservazione» la Germania e altri quattordici
Paesi europei per potenziale rischio di insolvenza. Meno di un mese fa,
tuttavia, nessuna delle agenzie di rating si era accorta che era vicina
all’insolvenza una grande società americana di brokeraggio, MF Global,
il cui presidente Jon Corzine un tempo era presidente di Goldman Sachs,
un altro grande della finanza americana. Ciò che colpisce è la loro
arroganza: «Mettono sotto osservazione» chi vogliono e quando vogliono,
comunicano sovente i loro risultati a mercati aperti, incuranti - o
forse compiaciuti - delle oscillazioni dei titoli che i loro comunicati
provocano. E per colmo di ironia, realizzano utili cospicui facendosi
pagare per la loro opera di valutazione dalle loro «vittime» ossia dalle
imprese e dai governi messi sotto osservazione.
C’è un complotto dietro tutto questo? Probabilmente non lo sapremo mai
anche se un filo conduttore volto a scardinare l’euro sarebbe del tutto
plausibile, dal momento che la frenesia declassatoria ha colpito in
questi giorni anche i fondi salva-Stati creati per difendere la moneta
europea. Visto il seguito che hanno sui mercati, però, il risultato è lo
stesso, con o senza complotto. Come osservava Keynes, quando si tratta
di indovinare chi sarà la vincitrice di un concorso di bellezza, gli
spettatori non indicheranno la ragazza che ritengono più bella ma quella
che, secondo loro, sarà ritenuta più bella dalla maggior parte degli
spettatori stessi. Allo stesso modo, molti vendono i titoli declassati
da Moody’s e compagni non perché ritengono che i titoli meritino il
declassamento ma perché pensano che tutti seguiranno le indicazioni di
Moody’s e il valore dei titoli in ogni caso scenderà. Questo
comportamento da gregge è una delle obiezioni più forti contro chi è in
adorazione della razionalità dei mercati.
Complotto o non complotto, è giunto il momento di finirla. Se vogliono
che l’Europa abbia un futuro, i leader di Francia e Germania che stanno
preparando il vertice dell’8-9 dicembre, nel quale sarà progettato,
forse con apposite nuove istituzioni, il continente di qui a
dieci-vent’anni, non possono permettere che qualcuno li faccia danzare
come burattini. Eppure, in questo momento, pressoché tutto il continente
è costretto a fare manovre di bilancio sicuramente necessarie ma che
avrebbero potuto essere più diluite nel tempo, evitando disagi e
sofferenze, sostanzialmente perché lo impongono Moody’s, Standard &
Poor’s e Fitch.
Un’Europa essenzialmente fondata sulla moneta e sui mercati - visto che
ha rinunciato a basarsi sui valori - non può nascere se non si
sottopongono non solo la moneta ma anche i mercati, a cominciare da
quelli finanziari, a regole severe. Le agenzie di rating dovrebbero
essere costrette alla periodicità delle analisi e alla regolarità degli
annunci e le loro valutazioni dovrebbero limitarsi a parametri
finanziari; e qualora non rispettassero queste regole potrebbero essere
multate e dovrebbe essere loro impedito di agire. La funzione di
valutazione dei titoli potrebbe anche essere affidata a enti pubblici
internazionali, come il Fondo Monetario, proprio perché si tratta
soprattutto di una funzione pubblica.
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