Ci sono due persone che hanno vinto la guerra, o meglio il dibattito
americano sulla guerra. Uno è Andrew Sullivan, l’altro è Christopher
Hitchens. Sono due intellettuali raffinati e giornalisti
bastiancontrari, uno difficilmente etichettabile, ma diciamo di simpatie
conservatrici; e l’altro di estrema sinistra. Le loro voci sono state
le più ascoltate e le più influenti nei rispettivi campi. Ovvio, non
sono stati i soli. Anche altri come Thomas Friedman e William Safire
hanno scritto cose importanti sull’11 settembre e sul suo significato,
ma come scrive il New York Observer, Sullivan è stato abile a sfidare la
sua parte sul pericolo che si nasconde in tutti i fondamentalismi
religiosi, e forse nel cuore della religione stessa, non solo nell’Islam
quindi.
Hitchens, detto Hitch, invece ha preso per la collottola la sinistra e gli ha imposto di trattare i terroristi come oppressori dei derelitti del mondo, e non come i portavoce un po’ svitati di chi lotta contro le ingiustizie. Li ha chiamati "Islamo-fascists". E la definizione ha preso piega tra i liberal e i leftist d’America.
Ed è curioso che entrambi siano Brits expatriate, cioè inglesi che vivono in America. Così come è curioso che tutti e due prendano esempio da un altro inglese, George Orwell. A Sullivan e Hitch, il post undici settembre è apparso simile a quello che l’autore di "1984" dovette fronteggiare nel 1940, quando fu uno dei pochi a prendere di petto il disfattismo della destra e della sinistra europea nei confronti di Adolf Hitler e del nazismo. E alla fine ebbe ragione, così come sembrano aver avuto ragione Sullivan e Hitch, almeno fino a questo momento.
I due sono partiti da posizioni opposte, ma le conclusioni sono simili. Sullivan è cattolico e ha ricondotto l’undici settembre al potere oscuro della religione, mentre Hitchens, che è un duro di sinistra, non ha perso tempo a processare l’impero americano. Non c’entra niente, ha detto. Almeno in questo caso, perché Hitchens non è certo uno che si tira indietro quando c’è da criticare l’America.
Andrew Sullivan ha 39 anni e scrive sul Wall Street Journal, sul Sunday Times e sul settimanale The New Republic (che ha diretto tra il 1991 e il 1996) ma l’articolo più importante in questa crisi l’ha pubblicato sul magazine del New York Times, il 7 di ottobre. Il titolo era chiarissimo: "Questa è una guerra di religione". Sullivan ha spiegato che è troppo facile attribuire l’undici settembre esclusivamente al fanatismo religioso. E’ necessario, piuttosto, chiedersi se non è il credo religioso stesso – e in particolare quello monoteista e basato sulle Scritture – a contenere al suo interno la tentazione terrorista. Il riferimento è ai fondamentalisti cristiani d’America, a quel blocco conservatore e bacchettone che Sullivan mette sullo stesso piano dei seguaci di bin Laden: "C’è un legame tra i fondamentalismi occidentali e quelli mediorientali. Se fondi il tuo credo su libri scritti più di mille anni fa e ci credi letteralmente, il mondo non può che apparirti orribile. Se credi che le donne debbano stare in un harem e vivere in stato servile, allora è ovvio che Manhattan ti sembri Gomorra. Ma allo stesso modo se pensi che l’omosessualità sia un crimine punibile con la morte, il mondo non può che apparirti come Sodoma. E da qui a pensare che queste centrali del male debbano essere distrutte, come ha fatto bin Laden, è un attimo". E infatti Jerry Falwell, che è il leader dei cristiani fondamentalisti americani, crede che la distruzione di Lower Manhattan sia in qualche modo una conseguenza dei peccati commessi a New York dai pagani, dagli abortisti, dai gay e dalle lesbiche e dalle femministe. "Certo, poi si è scusato per la mancanza di tatto – ha scritto Sullivan – ma non ha ripudiato l’essenza teologica dell’affermazione. Il punto è che i fondamentalisti americani sanno che stanno perdendo la battaglia culturale, sono terrorizzati da un mondo senza fede religiosa e temono la dannazione per un’America che ha perso di vista la nozione di Dio".
La forza dell’argomentazione di Sullivan sta nel suo essere profondamente cattolico. Ma è un cattolico un po’ particolare, perché è anche omosessuale. E per di più con il virus Hiv nel corpo: "Ma non posso combattere contro la guerra e contro l’Hiv contemporaneamente", dice. E nonostante la Chiesa abbia condannato la sua omosessualità, Sullivan le è rimasto devoto e combatte per essere accettato.
Allo stesso modo la forza di Hitchens sta nell’essere sempre stato un liberal radicale. Da anni, per esempio, conduce una battaglia contro Henry Kissinger, che considera come uno dei più atroci criminali del secolo ("è l’uomo che ha devastato la Cambogia, Cipro, il Cile e Timor Est"). Ha scritto centinaia di articoli sull’argomento e all’ex segretario di Stato che qualche giorno fa è stato nominato "miglior cervello d’America" ha fatto un processo con un libro ("The trial of Henry Kissinger"). Ha irriso Madre Teresa di Calcutta e la sua holding della carità con un’inchiesta dal titolo blasfemo: "La posizione del missionario: Madre Teresa in teoria e in pratica". Scrive per la bibbia del progressismo inglese, e cioè per il Guardian, ma anche per The Nation, il settimanale della sinistra newyorchese, e per il mensile radical chic, Vanity Fair. Un "antiamericano" di professione come Gore Vidal dice che se un giorno dovesse nominare un delfino, ebbene questo sarebbe proprio Hitchens. Che è amico di Edward Said, i cui articoli in Italia vengono pubblicati dal Manifesto, e di Susan Sontag, cioè di altre due colonne dei leftist d’America.
Hitchens è anticonvenzionale, sempre. E nel suo ultimo libro ("Letters to a young contrarian", sul modello delle lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke) dispensa consigli di anticonformismo a un immaginario allievo di radicalismo. Il Guardian ha scritto che dire "Hitch è un bastiancontrario, è come sostenere che Napoleone era un semplice soldato". Anche uno dei suoi più grandi amici, lo scrittore Martin Amis, nel suo libro autobiografico "Experience" ha scritto che Hitch è così furioso che spesso non riesce a trattenersi, e forse si è ricordato di quando gli presentò il grande scrittore Saul Bellow, che è ebreo, e Hitch cominciò a parlargli male d’Israele, cioè dell’altra sua grande fissazione.
Quanto sia duro Hitch, se ne è accorto Noam Chomsky, alfiere della sinistra più radicale e fierissimo oppositore dell’intervento americano in Afghanistan. Scrivono entrambi per The Nation, e quando Chomsky si è arrischiato a criticare la colonna di Hitchens è stato sommerso da decine di articoli. Hitch irride i pacifisti (un suo articolo sul Guardian è stato titolato "Ha, Ha, Ha to the pacifists") e il suo disprezzo per il fanatismo islamico nasce con Khomeini e con la fatwa nei confronti del suo amico Salman Rushdie. "Sono fascisti travestiti da musulmani" scrive, e questi "poveri stupidi" che invocano la pace non se ne accorgono: "Dicono che l’Afghanistan è il luogo dove il paese più ricco del mondo bombarda il più povero, ma a questo giochetto retorico non mi battono. Cari pacifisti, che ne dite di questa: l’Afghanistan è il posto dove la società più aperta del mondo si confronta con quella più chiusa. Oppure: è il posto dove piloti d’aereo donne uccidono uomini che schiavizzano le donne. Non vi basta? Eccone altre due: l’Afghanistan è il luogo in cui chi bombarda indiscriminatamente viene colpito in modo chirurgico e accurato. Oppure: è il luogo dove il più grande numero di povera gente applaude chi bombarda il proprio governo".
Hitchens, che ha 53 anni, scrisse le stesse cose ai tempi delle operazioni militari in Kosovo, anzi aveva criticato Washington per aver aspettato troppo tempo a intervenire. E ai pacifisti di oggi dice: "Perché non ripensate a quando dicevate che il bombardamento del Kosovo avrebbe definitivamente consegnato i serbi a Milosevic?". Oltre a Chomsky, uno dei grandi avversari di Hitchens è il regista Oliver Stone, uno che ama scovare un complotto capitalista dietro ogni angolo. E non contento, poi ne fa anche un film. Hitch non gli perdona di propagandare la tesi del legame tra l’attacco all’America e il riconteggio dei voti presidenziali in Florida. A lui e alla sinistra che segue Chomsky scrive: "C’è una profonda similitudine tra questo vostro modo di vedere le cose e quello di quei conservatori che salutano l’11 settembre come un giudizio divino su un mondo di peccatori".
Insomma, Hitchens e Sullivan sono due eretici. E se il primo sa di essere stato scomunicato dalla sinistra "perché mi accusano di essermi spostato al centro, anzi più a destra della destra e con un punto di approdo ancora da determinare", Sullivan ha il suo bel da fare con chi, a destra, non sopporta l’approccio libertario sui diritti civili e la disinvoltura con cui affronta temi teologici, analisi sui talebani e rapporti con il proprio fidanzato. Ora scrive 24 ore su 24 sul suo sito (andrewsullivan.com), commentando e discettando su guerra, fede, religione e omosessualità, ed è davvero un bell’esempio di come fare giornalismo su Internet.
Sullivan e Hitchens su una cosa divergono, il giudizio su Bill Clinton. O meglio entrambi lo odiano, ma da due sponde opposte. Così se Sullivan non fa passare giorno senza imputare alla negligenza clintoniana l’undici settembre, specie ora che si è scoperto la Casa Bianca ha avuto modo e tempo per fermare gli uomini di bin Laden, Hitchens sostiene caparbiamente che il bombardamento contro il laboratorio farmaceutico in Sudan nel 1998, che per l’Amministrazione nascondeva un deposito di gas nervino, in realtà è stato un orribile crimine di guerra.
Il New York Observer fa notare che i due hanno ancora qualcos’altro in comune, e di nuovo un altro punto di contatto con Orwell. Tutti e tre hanno affrontato piccoli scandali privati e politici. Hitchens per aver deposto contro il suo (ex) caro amico Sidney Blumenthal, consigliere del presidente nel caso Lewinsky, per rafforzare le ragioni dell’impeachment a Clinton; e Orwell per aver fornito i nomi dei sospetti comunisti alle autorità inglesi. Due bei tipini. E che dire di Sullivan? Lui fu scoperto mentre frequentava con pseudonimo un sito pornografico alla ricerca di rapporti "barebacking", che è il modo in cui i gay americani definiscono il sesso non protetto. Seguì uno scandalo sui giornali newyorchesi, specie quelli gay oriented e di sinistra che mal sopportano lo strano conservatorismo di Sullivan.
Hitchens, detto Hitch, invece ha preso per la collottola la sinistra e gli ha imposto di trattare i terroristi come oppressori dei derelitti del mondo, e non come i portavoce un po’ svitati di chi lotta contro le ingiustizie. Li ha chiamati "Islamo-fascists". E la definizione ha preso piega tra i liberal e i leftist d’America.
Ed è curioso che entrambi siano Brits expatriate, cioè inglesi che vivono in America. Così come è curioso che tutti e due prendano esempio da un altro inglese, George Orwell. A Sullivan e Hitch, il post undici settembre è apparso simile a quello che l’autore di "1984" dovette fronteggiare nel 1940, quando fu uno dei pochi a prendere di petto il disfattismo della destra e della sinistra europea nei confronti di Adolf Hitler e del nazismo. E alla fine ebbe ragione, così come sembrano aver avuto ragione Sullivan e Hitch, almeno fino a questo momento.
I due sono partiti da posizioni opposte, ma le conclusioni sono simili. Sullivan è cattolico e ha ricondotto l’undici settembre al potere oscuro della religione, mentre Hitchens, che è un duro di sinistra, non ha perso tempo a processare l’impero americano. Non c’entra niente, ha detto. Almeno in questo caso, perché Hitchens non è certo uno che si tira indietro quando c’è da criticare l’America.
Andrew Sullivan ha 39 anni e scrive sul Wall Street Journal, sul Sunday Times e sul settimanale The New Republic (che ha diretto tra il 1991 e il 1996) ma l’articolo più importante in questa crisi l’ha pubblicato sul magazine del New York Times, il 7 di ottobre. Il titolo era chiarissimo: "Questa è una guerra di religione". Sullivan ha spiegato che è troppo facile attribuire l’undici settembre esclusivamente al fanatismo religioso. E’ necessario, piuttosto, chiedersi se non è il credo religioso stesso – e in particolare quello monoteista e basato sulle Scritture – a contenere al suo interno la tentazione terrorista. Il riferimento è ai fondamentalisti cristiani d’America, a quel blocco conservatore e bacchettone che Sullivan mette sullo stesso piano dei seguaci di bin Laden: "C’è un legame tra i fondamentalismi occidentali e quelli mediorientali. Se fondi il tuo credo su libri scritti più di mille anni fa e ci credi letteralmente, il mondo non può che apparirti orribile. Se credi che le donne debbano stare in un harem e vivere in stato servile, allora è ovvio che Manhattan ti sembri Gomorra. Ma allo stesso modo se pensi che l’omosessualità sia un crimine punibile con la morte, il mondo non può che apparirti come Sodoma. E da qui a pensare che queste centrali del male debbano essere distrutte, come ha fatto bin Laden, è un attimo". E infatti Jerry Falwell, che è il leader dei cristiani fondamentalisti americani, crede che la distruzione di Lower Manhattan sia in qualche modo una conseguenza dei peccati commessi a New York dai pagani, dagli abortisti, dai gay e dalle lesbiche e dalle femministe. "Certo, poi si è scusato per la mancanza di tatto – ha scritto Sullivan – ma non ha ripudiato l’essenza teologica dell’affermazione. Il punto è che i fondamentalisti americani sanno che stanno perdendo la battaglia culturale, sono terrorizzati da un mondo senza fede religiosa e temono la dannazione per un’America che ha perso di vista la nozione di Dio".
La forza dell’argomentazione di Sullivan sta nel suo essere profondamente cattolico. Ma è un cattolico un po’ particolare, perché è anche omosessuale. E per di più con il virus Hiv nel corpo: "Ma non posso combattere contro la guerra e contro l’Hiv contemporaneamente", dice. E nonostante la Chiesa abbia condannato la sua omosessualità, Sullivan le è rimasto devoto e combatte per essere accettato.
Allo stesso modo la forza di Hitchens sta nell’essere sempre stato un liberal radicale. Da anni, per esempio, conduce una battaglia contro Henry Kissinger, che considera come uno dei più atroci criminali del secolo ("è l’uomo che ha devastato la Cambogia, Cipro, il Cile e Timor Est"). Ha scritto centinaia di articoli sull’argomento e all’ex segretario di Stato che qualche giorno fa è stato nominato "miglior cervello d’America" ha fatto un processo con un libro ("The trial of Henry Kissinger"). Ha irriso Madre Teresa di Calcutta e la sua holding della carità con un’inchiesta dal titolo blasfemo: "La posizione del missionario: Madre Teresa in teoria e in pratica". Scrive per la bibbia del progressismo inglese, e cioè per il Guardian, ma anche per The Nation, il settimanale della sinistra newyorchese, e per il mensile radical chic, Vanity Fair. Un "antiamericano" di professione come Gore Vidal dice che se un giorno dovesse nominare un delfino, ebbene questo sarebbe proprio Hitchens. Che è amico di Edward Said, i cui articoli in Italia vengono pubblicati dal Manifesto, e di Susan Sontag, cioè di altre due colonne dei leftist d’America.
Hitchens è anticonvenzionale, sempre. E nel suo ultimo libro ("Letters to a young contrarian", sul modello delle lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke) dispensa consigli di anticonformismo a un immaginario allievo di radicalismo. Il Guardian ha scritto che dire "Hitch è un bastiancontrario, è come sostenere che Napoleone era un semplice soldato". Anche uno dei suoi più grandi amici, lo scrittore Martin Amis, nel suo libro autobiografico "Experience" ha scritto che Hitch è così furioso che spesso non riesce a trattenersi, e forse si è ricordato di quando gli presentò il grande scrittore Saul Bellow, che è ebreo, e Hitch cominciò a parlargli male d’Israele, cioè dell’altra sua grande fissazione.
Quanto sia duro Hitch, se ne è accorto Noam Chomsky, alfiere della sinistra più radicale e fierissimo oppositore dell’intervento americano in Afghanistan. Scrivono entrambi per The Nation, e quando Chomsky si è arrischiato a criticare la colonna di Hitchens è stato sommerso da decine di articoli. Hitch irride i pacifisti (un suo articolo sul Guardian è stato titolato "Ha, Ha, Ha to the pacifists") e il suo disprezzo per il fanatismo islamico nasce con Khomeini e con la fatwa nei confronti del suo amico Salman Rushdie. "Sono fascisti travestiti da musulmani" scrive, e questi "poveri stupidi" che invocano la pace non se ne accorgono: "Dicono che l’Afghanistan è il luogo dove il paese più ricco del mondo bombarda il più povero, ma a questo giochetto retorico non mi battono. Cari pacifisti, che ne dite di questa: l’Afghanistan è il posto dove la società più aperta del mondo si confronta con quella più chiusa. Oppure: è il posto dove piloti d’aereo donne uccidono uomini che schiavizzano le donne. Non vi basta? Eccone altre due: l’Afghanistan è il luogo in cui chi bombarda indiscriminatamente viene colpito in modo chirurgico e accurato. Oppure: è il luogo dove il più grande numero di povera gente applaude chi bombarda il proprio governo".
Hitchens, che ha 53 anni, scrisse le stesse cose ai tempi delle operazioni militari in Kosovo, anzi aveva criticato Washington per aver aspettato troppo tempo a intervenire. E ai pacifisti di oggi dice: "Perché non ripensate a quando dicevate che il bombardamento del Kosovo avrebbe definitivamente consegnato i serbi a Milosevic?". Oltre a Chomsky, uno dei grandi avversari di Hitchens è il regista Oliver Stone, uno che ama scovare un complotto capitalista dietro ogni angolo. E non contento, poi ne fa anche un film. Hitch non gli perdona di propagandare la tesi del legame tra l’attacco all’America e il riconteggio dei voti presidenziali in Florida. A lui e alla sinistra che segue Chomsky scrive: "C’è una profonda similitudine tra questo vostro modo di vedere le cose e quello di quei conservatori che salutano l’11 settembre come un giudizio divino su un mondo di peccatori".
Insomma, Hitchens e Sullivan sono due eretici. E se il primo sa di essere stato scomunicato dalla sinistra "perché mi accusano di essermi spostato al centro, anzi più a destra della destra e con un punto di approdo ancora da determinare", Sullivan ha il suo bel da fare con chi, a destra, non sopporta l’approccio libertario sui diritti civili e la disinvoltura con cui affronta temi teologici, analisi sui talebani e rapporti con il proprio fidanzato. Ora scrive 24 ore su 24 sul suo sito (andrewsullivan.com), commentando e discettando su guerra, fede, religione e omosessualità, ed è davvero un bell’esempio di come fare giornalismo su Internet.
Sullivan e Hitchens su una cosa divergono, il giudizio su Bill Clinton. O meglio entrambi lo odiano, ma da due sponde opposte. Così se Sullivan non fa passare giorno senza imputare alla negligenza clintoniana l’undici settembre, specie ora che si è scoperto la Casa Bianca ha avuto modo e tempo per fermare gli uomini di bin Laden, Hitchens sostiene caparbiamente che il bombardamento contro il laboratorio farmaceutico in Sudan nel 1998, che per l’Amministrazione nascondeva un deposito di gas nervino, in realtà è stato un orribile crimine di guerra.
Il New York Observer fa notare che i due hanno ancora qualcos’altro in comune, e di nuovo un altro punto di contatto con Orwell. Tutti e tre hanno affrontato piccoli scandali privati e politici. Hitchens per aver deposto contro il suo (ex) caro amico Sidney Blumenthal, consigliere del presidente nel caso Lewinsky, per rafforzare le ragioni dell’impeachment a Clinton; e Orwell per aver fornito i nomi dei sospetti comunisti alle autorità inglesi. Due bei tipini. E che dire di Sullivan? Lui fu scoperto mentre frequentava con pseudonimo un sito pornografico alla ricerca di rapporti "barebacking", che è il modo in cui i gay americani definiscono il sesso non protetto. Seguì uno scandalo sui giornali newyorchesi, specie quelli gay oriented e di sinistra che mal sopportano lo strano conservatorismo di Sullivan.
http://www.camilloblog.it/archivio/2002/01/23/sullivan-e-hitchens-i-bastiancontrari-che-hanno-vinto-la-guerra-delle-opinioni/
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