Il presidente del Consiglio, professor Mario Monti, ha affermato che in conseguenza di queste liberalizzazioni Pil e produttività possono aumentare del 10 per cento. Non avendo specificato in quanti anni ciò avrebbe luogo, si può essere autorizzati a supporre che questo miracolo economico avvenga in un anno. Sicché l’Italia, per effetto del decreto varato ieri, aumenterebbe in un anno più di ciò che riesce a fare la Cina. Se una frase come questa l’avesse pronunciata Silvio Berlusconi, i media sarebbero pieni di commenti ironici e sarcastici. Invece non si nota alcun sarcasmo e nessuna ironia per questa affermazione lunare. Nelle pagine interne del Sole24Ore c’è una possibile spiegazione dell’arcano di questa magia di sapore medieval-rinascimentale. Infatti uno studio di due ricercatori della Banca d’Italia del 2009 riguardante la concorrenza nel settore dei servizi sostiene, con un’analisi econometrica, che ove per effetto della liberalizzazione il margine applicato dalle imprese dei servizi dell’Italia scendesse al livello medio del resto dell’area europea, nel giro di cinque anni, successivamente, in un arco complessivo di 30 anni, si avrebbe un incremento graduale del prodotto nazionale. Esso, fra 30 anni, risulterebbe accresciuto di quasi l’11 per cento annuo.
Ci sono, per altro, due condizioni perché ciò si materializzi da qui al 2040: A) che si liberalizzino tutti i servizi, ossia commercio, credito, assicurazioni, comunicazioni telefoniche e postali, costruzioni, elettricità, gas, acqua, trasporti nazionali, regionali e locali, hotel e ristoranti; B) che tali liberalizzazioni generino la riduzione dei margini italiani al livello medio europeo.
Si ipotizza, cioè, che gli elevati margini non derivino da costi particolari di natura fiscale, burocratica e giudiziaria, che in Italia si debbono sopportare, né da altri fattori (lo Statuto dei lavoratori che con l’articolo 18 così come attualmente interpretato, scoraggia la crescita delle imprese oltre i 15 addetti, il rischio delle assicurazioni più alto che altrove, il servizio di miglior qualità degli alberghi e ristoranti di minor dimensione, eccetera). Queste estese liberalizzazioni non si vedono nel decreto Monti.
Aumentare il numero dei taxi, dei notai, delle farmacie non è una liberalizzazione, e l’effetto sul Pil è di dividere la torta di questi settori che hanno un’importanza marginale, nel prodotto nazionale, con qualcuno in più. Non c’è alcuna liberalizzazione per servizi pubblici locali come la rete idrica o i trasporti. Lo scorporo della rete ferroviaria da Ferrovie italiane spa per passarla al Tesoro è una statizzazione, che disintegra questo complesso e genera incertezza per la gestione del programma di costruzione della rete alta velocità. La liberalizzazione consisterebbe nella facoltà di esercitare aziende ferroviarie nuove di servizio locale e nazionale, con tutte le fermate utili, per trasporto merci e passeggeri, al di fuori dell’alta velocità, l’unica parte che funziona (abbastanza) bene delle nostre ferrovie. Quanto allo scorporo di Snam da Eni, essendo Eni quotata in Borsa, non si capisce se lo Stato indennizzerà il Cane a sei zampe per tale scorporo. Anche questa è una statizzazione che rischia di bloccare investimenti in corso. La liberalizzazione consisterebbe in un decreto che fissasse il diritto di terzi all’uso della rete gas di Snam.
L’abolizione delle tariffe minime per gli avvocati crea problemi per le cause civili, perché non si sa più quanto si deve pagare di spese legali se si perde la causa. Si potrebbe continuare sulla povertà di contenuto liberalizzatore di questo decreto e sugli effetti collaterali negativi che può comportare. Mi limito a notare che questo sparare cifre, come il 10 per cento del Pil, getta discredito sulla categorie dei professori e sulla credibilità del governo, con riguardo alle previsioni economiche su quest’anno che sono quanto mai discordanti. Il governo prevede una riduzione del Pil dello 0,5%, mentre Confindustria stima un calo dello 1,6 e il Fondo monetario internazionale addirittura del 2,2.
Non credo che le previsioni di Confindustria e del Fondo siano corrette, perché la Bce sta attuando una politica monetaria espansiva con misure non convenzionali, come i prestiti triennali all’1% alle banche, in cambio di garanzie costituite da titoli pubblici e privati e la flessione dell’euro del 10% che in poco tempo stimola le esportazioni. Ma urge una politica pro crescita di cui queste «liberalizzazioni» non sono neppure un surrogato.
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