LA LEGGE CONTRO LA CORRUZIONE
Non ci sono stati accordi espliciti, al momento della formazione del
governo Monti, sui problemi che dovevano essere esclusi dal suo raggio
d’azione. I partiti che lo sostengono avevano riconosciuto che il
compito prioritario del governo era ed è quello di rimediare alla
disastrosa situazione in cui eravamo precipitati, sia di natura
economica, sia di credito internazionale. Ma da ciò consegue che, sulle
misure più idonee a raggiungere quell’obiettivo, la discrezionalità del
governo dev’essere molto ampia. Una buona occasione per esercitare
questa discrezionalità e segnalare il proprio orientamento è il ddl
sulla corruzione, in discussione alla Camera dopo essere già stato
approvato al Senato sotto il precedente governo: avendo alcuni partiti
presentato emendamenti che configurano nuove fattispecie di reato,
allungano i termini di prescrizione o introducono misure accessorie, il
Pdl non soltanto annuncia la sua opposizione, com’è perfettamente
legittimo, ma implicitamente consiglia il governo di tenersi fuori da
questa materia. Due osservazioni soltanto. La prima è che corruzione e
illegalità sono problemi gravissimi per il nostro Paese, dai quali
dipendono la sua insoddisfacente crescita economica e il suo scarso
credito internazionale. La seconda è che, proprio per questo, il governo
Monti non deve manifestare alcuna incertezza in proposito: la lotta
sarà lunga, ma bisogna partire con misure incisive e con una road map
ben definita.
Nella classifica di Transparency International l’Italia occupa un
posto incredibilmente basso. L’indice da 10 (corruzione minima) a 0
(corruzione massima) vede in testa per il 2011 Danimarca e Finlandia con
9,4; vede nella parte alta (tra il 7 e l’8) i grandi Paesi europei;
vede in coda la Somalia, con 1. L’Italia, con 3,9 è di poco superiore ai
Paesi europei più corrotti, Romania e Grecia, a pari livello del Ghana e
inferiore a molti Paesi in via di sviluppo. Sull’affidabilità di questo
indice e su molte altre questioni rinvio a Donatella della Porta e
Alberto Vannucci, Mani Impunite (Laterza, 2007), il migliore studio
d’insieme sulla corruzione in Italia per un lettore non specialista. Tre
conclusioni. Si tratta di un fenomeno di antica data, ma che da Mani
Pulite in poi, con qualche oscillazione, è sempre stato al centro
dell’opinione pubblica. La corruzione, e più in generale l’illegalità,
la criminalità e l’inefficienza amministrativa — tutti fenomeni
strettamente collegati — sono ostacoli formidabili alla crescita
economica e al benessere della popolazione, oltre che una grave lesione
della qualità della democrazia e della convivenza civile. Le iniziative
di contrasto adottate sono state numerose, ma tutte caratterizzate da
scarso successo. Insomma, la corruzione in Italia è massiccia, molto
dannosa, di essa sappiamo molto ma non riusciamo a estirparla.
Non è per nulla vero che la corruzione sia un destino inevitabile,
inflittoci dalla nostra storia. La lotta alla corruzione conosce
successi straordinari: esemplare è quello di Singapore, passato in
quarant’anni da uno dei Paesi più corrotti al mondo alla testa
dell’indice di Transparency International, a pari merito con le piccole
democrazie nordiche europee (e passato, sia detto per inciso, dalla
miseria ad un reddito pro capite superiore a 43.000 dollari).
Il confronto con Singapore è per molte ragioni improponibile, prima
tra tutte il fatto che Singapore è una democrazia, diciamo
così,…fortemente autoritaria. Ma valgono anche per l’Italia alcune
considerazioni che da quel confronto si possono trarre. La prima è che
il successo arride ai Paesi che hanno fatto della lotta alla corruzione
un obiettivo prioritario, condiviso dall’intera élite politica e
istituzionale. Tale obiettivo dev’essere sostenuto per un periodo molto
lungo: quarant’anni sono pochi da un punto di vista storico, ma
moltissimi da un punto di vista politico, in democrazia, dove ogni
cinque anni o meno possono cambiare i governi. La lotta alla corruzione
deve articolarsi a 360 gradi, sull’intero spazio dei possibili
interventi dell’autorità politica e delle istituzioni. I controlli di
natura non giudiziaria devono essere coordinati centralmente da
un’autorità dotata di ampi mezzi e grandi poteri, responsabile di fronte
alle supreme autorità politiche per i risultati che consegue. E poi,
quando la magistratura interviene, il governo non deve opporsi alla sua
attività di indagine: governo e magistratura devono operare nella stessa
direzione, quella di una lotta inflessibile contro la corruzione e
l’illegalità.
Il ddl oggi in discussione alla Camera è limitato nei suoi scopi e
assai lontano dalla consapevolezza di che cosa sia necessario per
impostare un serio contrasto a questa intollerabile «peculiarità»
italiana. Per questo è auspicabile non soltanto che il governo respinga
come inaccettabili i richiami all’inopportunità o incompetenza a
intervenire in materia — ciò che Monti ha già fatto — ma che tragga
spunto dalla discussione in Parlamento per indicare i cardini essenziali
della road map di lungo periodo che dovrà essere adottata. Il voto
quasi unanime di ratifica della Convenzione di Strasburgo sulla
corruzione, ieri sera al Senato, pone fine ad un grave ritardo (la
Convenzione è del 1999) e fa sperare che ci siano minori resistenze ad
un intervento del governo sul ddl in discussione alla Camera.
http://www.corriere.it/editoriali/12_marzo_15/salvati-legalita-crescita-scelte-urgenti_37912bbc-6e67-11e1-850b-8beb09a51954.shtml
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