giovedì 15 marzo 2012

Legalità e crescita le scelte urgenti, di Michele Salvati

LA LEGGE CONTRO LA CORRUZIONE

Non ci sono stati accordi espliciti, al momento della formazione del governo Monti, sui problemi che dovevano essere esclusi dal suo raggio d’azione. I partiti che lo sostengono avevano riconosciuto che il compito prioritario del governo era ed è quello di rimediare alla disastrosa situazione in cui eravamo precipitati, sia di natura economica, sia di credito internazionale. Ma da ciò consegue che, sulle misure più idonee a raggiungere quell’obiettivo, la discrezionalità del governo dev’essere molto ampia. Una buona occasione per esercitare questa discrezionalità e segnalare il proprio orientamento è il ddl sulla corruzione, in discussione alla Camera dopo essere già stato approvato al Senato sotto il precedente governo: avendo alcuni partiti presentato emendamenti che configurano nuove fattispecie di reato, allungano i termini di prescrizione o introducono misure accessorie, il Pdl non soltanto annuncia la sua opposizione, com’è perfettamente legittimo, ma implicitamente consiglia il governo di tenersi fuori da questa materia. Due osservazioni soltanto. La prima è che corruzione e illegalità sono problemi gravissimi per il nostro Paese, dai quali dipendono la sua insoddisfacente crescita economica e il suo scarso credito internazionale. La seconda è che, proprio per questo, il governo Monti non deve manifestare alcuna incertezza in proposito: la lotta sarà lunga, ma bisogna partire con misure incisive e con una road map ben definita.
Nella classifica di Transparency International l’Italia occupa un posto incredibilmente basso. L’indice da 10 (corruzione minima) a 0 (corruzione massima) vede in testa per il 2011 Danimarca e Finlandia con 9,4; vede nella parte alta (tra il 7 e l’8) i grandi Paesi europei; vede in coda la Somalia, con 1. L’Italia, con 3,9 è di poco superiore ai Paesi europei più corrotti, Romania e Grecia, a pari livello del Ghana e inferiore a molti Paesi in via di sviluppo. Sull’affidabilità di questo indice e su molte altre questioni rinvio a Donatella della Porta e Alberto Vannucci, Mani Impunite (Laterza, 2007), il migliore studio d’insieme sulla corruzione in Italia per un lettore non specialista. Tre conclusioni. Si tratta di un fenomeno di antica data, ma che da Mani Pulite in poi, con qualche oscillazione, è sempre stato al centro dell’opinione pubblica. La corruzione, e più in generale l’illegalità, la criminalità e l’inefficienza amministrativa — tutti fenomeni strettamente collegati — sono ostacoli formidabili alla crescita economica e al benessere della popolazione, oltre che una grave lesione della qualità della democrazia e della convivenza civile. Le iniziative di contrasto adottate sono state numerose, ma tutte caratterizzate da scarso successo. Insomma, la corruzione in Italia è massiccia, molto dannosa, di essa sappiamo molto ma non riusciamo a estirparla.
Non è per nulla vero che la corruzione sia un destino inevitabile, inflittoci dalla nostra storia. La lotta alla corruzione conosce successi straordinari: esemplare è quello di Singapore, passato in quarant’anni da uno dei Paesi più corrotti al mondo alla testa dell’indice di Transparency International, a pari merito con le piccole democrazie nordiche europee (e passato, sia detto per inciso, dalla miseria ad un reddito pro capite superiore a 43.000 dollari).
Il confronto con Singapore è per molte ragioni improponibile, prima tra tutte il fatto che Singapore è una democrazia, diciamo così,…fortemente autoritaria. Ma valgono anche per l’Italia alcune considerazioni che da quel confronto si possono trarre. La prima è che il successo arride ai Paesi che hanno fatto della lotta alla corruzione un obiettivo prioritario, condiviso dall’intera élite politica e istituzionale. Tale obiettivo dev’essere sostenuto per un periodo molto lungo: quarant’anni sono pochi da un punto di vista storico, ma moltissimi da un punto di vista politico, in democrazia, dove ogni cinque anni o meno possono cambiare i governi. La lotta alla corruzione deve articolarsi a 360 gradi, sull’intero spazio dei possibili interventi dell’autorità politica e delle istituzioni. I controlli di natura non giudiziaria devono essere coordinati centralmente da un’autorità dotata di ampi mezzi e grandi poteri, responsabile di fronte alle supreme autorità politiche per i risultati che consegue. E poi, quando la magistratura interviene, il governo non deve opporsi alla sua attività di indagine: governo e magistratura devono operare nella stessa direzione, quella di una lotta inflessibile contro la corruzione e l’illegalità.
Il ddl oggi in discussione alla Camera è limitato nei suoi scopi e assai lontano dalla consapevolezza di che cosa sia necessario per impostare un serio contrasto a questa intollerabile «peculiarità» italiana. Per questo è auspicabile non soltanto che il governo respinga come inaccettabili i richiami all’inopportunità o incompetenza a intervenire in materia — ciò che Monti ha già fatto — ma che tragga spunto dalla discussione in Parlamento per indicare i cardini essenziali della road map di lungo periodo che dovrà essere adottata. Il voto quasi unanime di ratifica della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione, ieri sera al Senato, pone fine ad un grave ritardo (la Convenzione è del 1999) e fa sperare che ci siano minori resistenze ad un intervento del governo sul ddl in discussione alla Camera.

http://www.corriere.it/editoriali/12_marzo_15/salvati-legalita-crescita-scelte-urgenti_37912bbc-6e67-11e1-850b-8beb09a51954.shtml

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