Gli stati dell’Ue firmano il Patto fiscale rigorista, ma poi accolgono gli input liberalizzatori di Monti & Cameron
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La necessità di ripianare i conti pubblici ovviamente non esce di scena, soprattutto dopo che il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, ha annunciato che il suo paese intende sforare di circa 15 miliardi di euro l’obiettivo di rientro del deficit fissato dal precedente governo per il 2012 (da un rapporto deficit-pil del 4,4 per cento al 5,8). Eppure è evidente che gli effetti della “lettera dei 12” capi di governo del 20 febbraio scorso, promossa da Monti insieme a David Cameron (Regno Unito), intitolata “Un piano per la crescita in Europa”, si fanno sentire. L’austerity suggerita (e imposta) da Berlino non è più l’unica ricetta a disposizione sul tavolo.
Infatti, nel comunicato finale del vertice a 27, ci sono molti dei punti chiave di quella missiva dei 12. A partire dall’esigenza dichiarata di “portare il Mercato unico a un nuovo stadio di sviluppo”, formula praticamente identica a quella usata due settimane fa da Cameron & co. Seguono poi riferimenti al mercato unico digitale da completare entro il 2015, al mercato unico per il settore energetico, alla riduzione del fardello burocratico, all’importanza di innovazione e ricerca. Non sfugge invece l’assenza di un qualsiasi accenno alle “riforme del mercato del lavoro”, giudicate come “una priorità” da Monti, Cameron e Rutte, mentre dai più europeisti è salutata con favore l’apertura ai “project bond” per finanziare infrastrutture comuni.
A Bruxelles, d’altronde, c’era chi sosteneva da tempo una parziale correzione di rotta rispetto alla sola inflessibilità sui conti pubblici: “La Commissione è in sintonia con quella missiva dei 12 capi di governo”, spiega Tajani. Non a caso lui stesso la prossima settimana presenterà al presidente José Manuel Barroso “un decalogo per la crescita”. In comune con i 12 “volenterosi” Tajani preme per l’integrazione del mercato interno; con le conclusioni del summit di ieri è invece d’accordo sull’utilizzo di project bond (per infrastrutture strategiche come il progetto di navigazione satellitare Galileo). Il commissario italiano aggiunge poi che “l’Europa può diventare leader della ‘terza rivoluzione industriale’, grazie a un grande piano di finanziamento a tassi agevolati garantito con fondi della Banca europea per gli investimenti (Bei)”. Non solo: “Si tratta di garantire un maggiore accesso ai capitali per le piccole e medie imprese del continente, contemporaneamente sgravandole dell’eccessiva burocrazia grazie alla riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi entro il 2015”. L’uscita dalla crisi però passa anche per una “svolta di tipo legislativo” che assegni a Bruxelles “poteri politici” di intervento, non solo sui conti pubblici, “ma a tutela dell’interesse generale anche su liberalizzazioni e competitività delle economie nazionali”. Italia e Regno Unito sembrano starci, ma cosa ne pensano Berlino e Parigi?
A Bruxelles, d’altronde, c’era chi sosteneva da tempo una parziale correzione di rotta rispetto alla sola inflessibilità sui conti pubblici: “La Commissione è in sintonia con quella missiva dei 12 capi di governo”, spiega Tajani. Non a caso lui stesso la prossima settimana presenterà al presidente José Manuel Barroso “un decalogo per la crescita”. In comune con i 12 “volenterosi” Tajani preme per l’integrazione del mercato interno; con le conclusioni del summit di ieri è invece d’accordo sull’utilizzo di project bond (per infrastrutture strategiche come il progetto di navigazione satellitare Galileo). Il commissario italiano aggiunge poi che “l’Europa può diventare leader della ‘terza rivoluzione industriale’, grazie a un grande piano di finanziamento a tassi agevolati garantito con fondi della Banca europea per gli investimenti (Bei)”. Non solo: “Si tratta di garantire un maggiore accesso ai capitali per le piccole e medie imprese del continente, contemporaneamente sgravandole dell’eccessiva burocrazia grazie alla riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi entro il 2015”. L’uscita dalla crisi però passa anche per una “svolta di tipo legislativo” che assegni a Bruxelles “poteri politici” di intervento, non solo sui conti pubblici, “ma a tutela dell’interesse generale anche su liberalizzazioni e competitività delle economie nazionali”. Italia e Regno Unito sembrano starci, ma cosa ne pensano Berlino e Parigi?
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