domenica 4 marzo 2012

Le riforme da blindare, di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

L'esperienza di Mario Monti si concluderà fra poco più di un anno. Dopo le elezioni tornerà un esecutivo normale, composto da politici, che per ora stanno a guardare. Nel frattempo il governo sta attuando alcune riforme sacrosante. Ha dovuto accettare molti compromessi (sulle liberalizzazioni), alcuni rinvii (sulla riforma del mercato del lavoro). Ma comunque procede. Sta anche contenendo il deficit: sarebbe stato meglio se lo avesse fatto tagliando le spese, anziché aumentando le imposte, ma comunque il risultato è stato raggiunto.

Che cosa impedirà a un prossimo governo di cancellare queste riforme e tornare al punto di prima? Se lo facesse perché questo è il mandato che ha ricevuto dalla maggioranza degli elettori, nulla da eccepire: è la democrazia. Ma il rischio è che il prossimo governo, come tanti in passato, risponda più alle pressioni di interessi potenti che alla volontà dei cittadini. Se questo è il rischio, c'è qualcosa che Monti può fare per «blindare» le sue riforme?

Per alcune non è facile. Un settore deregolato può essere semplicemente ri-regolato. L'età pensionabile può essere di nuovo abbassata: lo fece nel 2007 il governo Prodi quando cancellò la riforma Maroni. Subiremmo gli strali dell'Unione europea, ma potrebbero non bastare a difendere le riforme. Sulla spesa pubblica però qualcosa si può fare per blindare una politica rigorosa ed evitare il ritorno al «mercato dei favori» e alla crescita delle spese. Anche qui i precedenti non sono incoraggianti. Negli anni Novanta, sotto la pressione dei parametri europei, la spesa pubblica al netto degli interessi scese di quattro punti, in percentuale del prodotto interno lordo: dal 44 al 40%. In soli cinque anni, fra il 2001 e il 2006, il governo Berlusconi la riportò al 44%.

La strada indicata dai trattati europei per garantire che il rigore non venga abbandonato è l'introduzione di un vincolo di bilancio in pareggio nella Costituzione. Il Parlamento italiano ha iniziato a farlo votando in dicembre una legge costituzionale, prima alla Camera, poi al Senato. Si tratta di un primo passo perché le leggi costituzionali richiedono due votazioni successive in ciascuna Camera.

Il pareggio di bilancio è una regola molto rigida che permette poca flessibilità. Per un Paese come il nostro che soffre di un'endemica incapacità di controllare la spesa, la perdita di flessibilità sul deficit sarebbe un costo che converrebbe pagare. Ma il nostro Parlamento ha scelto una strada diversa approvando una legge che pur recando il titolo «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione», di fatto non impone alcun vincolo, limitandosi a richiedere che il governo rispetti «l'equilibrio del bilancio», un principio vago e pericoloso. Infatti (come ha osservato il senatore Nicola Rossi) fu proprio sull'equivoco fra «equilibrio» e «pareggio» di bilancio che fece leva una sentenza della Corte costituzionale del 1966 che, interpretando l'articolo 81 della Costituzione, aprì la strada all'approvazione di leggi di spesa prive di copertura (un'eventualità che Luigi Einaudi aveva intravisto già nel 1948 quando aveva messo in guardia contro la vaghezza dell'articolo 81).

Così come fece Einaudi, Mario Monti dovrebbe chiedere che il Parlamento, nella seconda lettura della legge sul pareggio di bilancio, ne modifichi il testo, rendendolo più specifico. Considerati i tempi delle leggi costituzionali è però improbabile che il governo possa blindare il rigore fiscale seguendo questa strada. Una via alternativa, suggerita dall'esperienza alcuni Paesi (Olanda, Belgio, Svezia, Cile, Gran Bretagna e altri) è l'istituzione di «Commissioni fiscali indipendenti». L'Olanda offre un esempio interessante. Il Cpb (Netherlands Bureau for Economic Analysis) ha due funzioni. Innanzitutto produce le stime sulla crescita che il governo poi usa per preparare la legge di bilancio. Questo evita ciò che spesso accade: governi che per non tagliare la spesa costruiscono il bilancio sulla base di stime di crescita eccessivamente ottimiste. Se poi la crescita è diversa da quanto stimato dallo stesso Cpb, è sempre questo organismo che stabilisce quale è il peggioramento dei conti pubblici giustificabile con la minor crescita. Ma la caratteristica forse più interessante del Cpb è il compito che gli è stato affidato di valutare e rendere noti ai cittadini prima delle elezioni gli effetti sul debito pubblico dei programmi economici dei diversi partiti (i partiti non sono obbligati a farsi valutare ma raramente usano questa possibilità).

Istituzioni come il Cpb sono meglio delle regole numeriche e dello stesso vincolo costituzionale del pareggio di bilancio: infatti possono essere flessibili pur non potendo essere manipolabili. L'autorevolezza del Cpb è garantita dalla sua indipendenza, che deriva da uno statuto molto simile a quello della Banca d'Italia: un'istituzione pubblica, il cui direttore è nominato dal governo, come il Governatore, ma che gode della più completa indipendenza.

I conti pubblici sono una questione eminentemente politica e una Commissione fiscale non può, né deve entrare, nel merito strettamente «politico». È con tasse e spese che si costruiscono le alleanze, si vendono favori, si premiano certi gruppi di reddito o altri, insomma si fa politica. Ma vi sono anche aspetti tecnici, di contabilità, stime macroeconomiche degli effetti di politiche alternative, dei loro effetti di lungo periodo sulle generazioni future. Su tutti questi aspetti un comitato tecnico indipendente potrebbe esprimere valutazioni che rendano più difficile per un governo in carica seguire politiche insostenibili.

Il 12 febbraio 1981, trentuno anni fa, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse al Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, la lettera che avviò il cosiddetto «divorzio» tra le due istituzioni. Da quel giorno la politica monetaria in Italia cambiò corso. È improbabile che senza quell'atto lungimirante saremmo stati ammessi nell'unione monetaria. È con un atto analogo che oggi Mario Monti potrebbe blindare la sua eredità.

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