venerdì 16 marzo 2012

Oggi il Glasgow Rangers potrebbe fallire. Scomparirebbe uno dei club più antichi del mondo, di Simone Trebbi


La fine del calcio?


Ballare sul corpo dei rivali è una macabra usanza, che affonda le proprie radici in una insospettabile tradizione popolare che tuttora aleggia tra Scozia e Inghilterra. L'uggiosa Glasgow è la metafora perfetta di un dualismo innato, una separazione così netta da essere avvertita a ogni angolo d'osservazione, soprattutto quando a scendere in campo sono le due squadre cittadine e il calcio diventa di colpo l'apparente effimero dal quale chiunque ama lasciarsi sedurre.


L'atmosfera mistica e pregna di magia, pietra miliare della tradizione celtica, rischia però di scomparire definitivamente.
Uno dei club calcistici più antichi del mondo è stato fondato proprio in quel di Glasgow, sponda Rangers, nel lontano 1872. La squadra, ora, si trova a dover affrontare una pessima amministrazione, che per aggiudicarsi giocatori poi rivelatisi molto spesso sopravvalutati, ha messo sul piatto ingaggi mastodontici in relazione alle proprie possibilità. All'erario britannico, inoltre, spettano circa 90 milioni di euro: se entro oggi i Rangers non troveranno un acquirente disposto a farsi carico dei debiti, il mondo del calcio dovrà rinunciare alla squadra da cui tutto – o quasi – ebbe inizio il secolo scorso.


E sebbene si fosse fatto il nome di Brian Kennedy (già proprietario dei Rangers Rugby), l'uomo ha confessato candidamente "di non voler comprare il club, ma di non poter vedere i Rangers morire". Le quotazioni di un possibile fallimento continuano a levitare, poichè i soldi hanno poco senso della storia e tendono ad essere auto referenziali. Anche i tifosi dei bianco-verdi Celtics hanno fiutato l'evento, tanto da esordire con entrate scenografiche durante le partite casalinghe al grido di "balleremo la conga / quando i Rangers moriranno". I Celtic non sembrano consapevoli che la mancanza d'una squadra riduce inevitabilmente il senso specifico dell'altra; parafrasando il celebre motto ispanico del Barcellona riprodotto sulle gradinate del Camp Nou, entrambe le società sono "mès que un club", molto più di una pur leggendaria storia calcistica.


Rangers e Celtic incarnano infatti una rivalità che esula dalla mera competizione sportiva, sfociando in principi etici, religiosi e politici radicalmente differenti. I Blue Knights, i cavalieri dei Glasgow Rangers, sono nati da un'idea che coinvolse nel 1872 più fondatori, dai fratelli McNeil a Peter Campbell. Rappresentano in tutti gli aspetti l'animo filomonarchico che lega ancora ben più di uno scozzese, compreso il forte sentimento religioso protestante e conservatore. I Celtic, che presero vita nel 1888 da uno sconosciuto uomo religioso di origini irlandesi, oggi sono l'espressione della parte cattolica di Glasgow, anche detta nostalgicamente – con richiamo al fondatore – "anima d'Irlanda", impermeandosi ai valori conservatori con un progressismo che vede nella Scozia secessionista una battaglia divina e voluta dall'alto.


Il tessuto sociale di Glasgow è intimamente connesso alle tematiche pubbliche e storiche rappresentate dai due club rivali, tanto che in seguito a numerosi episodi di violenza e tensione, il Parlamento scozzese ha votato una legge che vieta espressamente ai tifosi dei Rangers e dei Celtic di esprimersi pubblicamente (con cori, ad esempio) su temi quali religione e sovranità nazionale. Da non sottovalutare anche l'atteggiamento dei tifosi dei Celtic, che meglio di mille filosofie racconta la Glasgow calcistica: la rivalità è talmente accesa che anche in una crisi quasi irreversibile come quella dei Rangers, mai l'agonismo lascia posto ad un qualche sentimento simile alla pietà. Se è vero che le grandi perdite vengono metabolicamente soppesate, i Celtic si troveranno a far fronte a una perdita impagabile, rinunciando a quella competitività che è sempre stato il timone ed il motore della mitica Old Firm, forse il derby calcistico con più tradizione e storia al mondo.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/12705

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