sabato 31 marzo 2012

La trappola delle tasse, di Alberto Alesina Francesco Giavazzi


TAGLIARE LE SPESE SI PUO' (E SI DEVE)


L'Europa e l'Italia si trovano fra Scilla (la recessione) e Cariddi (debito e deficit). Sono acque molto difficili ed errori di navigazione possono essere fatali. I mercati li temono e le loro preoccupazioni si riflettono negli spread che si stanno di nuovo allargando. Quelli italiani sono saliti di 50 punti in meno di due settimane. Lo sbaglio da evitare, e che invece in Europa è sempre più frequente, è dare eccessiva importanza alla dimensione dell'aggiustamento dei conti pubblici, trascurandone la qualità. In Paesi come l'Italia, dove la pressione fiscale è vicina al 50% del reddito nazionale (Pil), ostinarsi a ridurre deficit e debito aumentando le imposte è inutile, o addirittura controproducente perché ogni beneficio rischia di essere annullato dall'effetto recessivo di un ulteriore aumento della pressione fiscale.


Negli ultimi otto mesi, in quattro successive manovre volte a correggere i nostri conti pubblici, la pressione fiscale è cresciuta di quasi 2 punti: dal 44,7% del Pil nel 2010 al 46,5% fra due anni. Quelle quattro manovre hanno anche ridotto le spese al netto degli interessi: apparentemente di 3 punti, dal 49,5 al 46,5% del Pil. Ma un'analisi più attenta mostra che una parte significativa di questa riduzione di spesa è avvenuta mediante tagli nei trasferimenti dello Stato a Comuni, Province e Regioni. Questi ultimi non hanno compensato i minori trasferimenti riducendo a loro volta la spesa, ma hanno aumentato alcune imposte locali, come le addizionali Irpef che sono entrate in vigore in questi giorni. Rifacendo i conti si scopre che dei circa 5 punti di correzione dei conti pubblici attuati nei mesi scorsi, quattro si otterranno tramite aumenti di imposte e uno soltanto per effetto di minori spese. Il risultato è che fra due anni la pressione fiscale complessiva (cioè sommando imposte pagate allo Stato e ad enti locali) supererà il 50%. Non è una peculiarità italiana: sta accadendo un po' ovunque in Europa.


E, tuttavia, studiando le correzioni dei conti pubblici attuate negli ultimi 40 anni nei maggiori Paesi industriali si apprendono tre lezioni. 1) Gli aggiustamenti fiscali che funzionano sono quelli che riducono le spese, aprendo così la strada a riduzioni del carico fiscale; 2) tanto meglio funzionano quanto più sono accompagnati da riforme che stimolino la crescita; 3) la discesa del debito è un processo che richiede tempi molto lunghi. Per essere credibile, servono quindi istituzioni che garantiscano la continuità delle politiche necessarie per ridurre il debito.


Le regole europee, anche le modifiche ai trattati decise tre mesi fa, continuano invece a porre l'accento esclusivamente sul pareggio di bilancio, senza dir nulla sulla composizione delle manovre per raggiungerlo, né sull'assetto istituzionale necessario per garantire continuità, ad esempio creando Commissioni fiscali indipendenti, la cui creazione avevamo proposto in un articolo del 3 marzo scorso. Dovendo scegliere tra un aggiustamento più severo, ma attuato solo elevando la pressione fiscale, e uno più moderato, ma attuato riducendo in via strutturale, e quindi permanente, la spesa, va preferito il secondo.


Nelle scorse settimane si è parlato di spostare il peso fiscale dalle imposte dirette (sul reddito) a quelle indirette (sui consumi). Le seconde sono meno distorsive delle prime e scoraggiano meno il lavoro, ma sempre imposte sono e riducono il potere d'acquisto dei salari. Facciamo pure una riforma fiscale di questo tipo, ma in un quadro di riduzione non di aumento del carico fiscale complessivo!


Riforma del mercato del lavoro ed equilibrio dei conti pubblici hanno un ovvio collegamento: l'impiego pubblico, che è una delle fonti principali di rigidità della spesa. Tant'è vero che le amministrazioni pubbliche, per acquisire un po' di flessibilità, fanno esse pure ricorso a contratti a tempo determinato, contribuendo a creare anche qui un mercato del lavoro «duale».
Per molti aspetti, quindi, i problemi del mercato del lavoro del settore pubblico sono simili a quelli del settore privato. Non solo. Soprattutto nel Sud l'impiego pubblico è una forma di sussidio permanente, un modo molto inefficiente per trasferire reddito alle regioni del Mezzogiorno, che non le aiuta a diventare più produttive, anzi ostacola lo sviluppo dell'occupazione nel settore privato. Per giusti motivi di equità questo governo ha eliminato ogni differenza nel trattamento pensionistico tra dipendenti pubblici e privati. Non applicare le medesime regole al mercato del lavoro significa reintrodurre differenze inique nella natura dei contratti.


Sono queste le sfide che attendono il governo Monti, un esecutivo nato per avviare riforme che la politica non ha avuto il coraggio di fare. Entrambi dovrebbero ricordarlo, governo e politica, prima che la luna di miele finisca.

http://www.corriere.it/editoriali/12_marzo_31/la-trappola-delle-tasse-alberto-alesina-francesco-giavazzi_aea8a71c-7af0-11e1-b4e4-2936cade5253.shtml

1 commento:

Anonimo ha detto...

http://www.blog.art17.it/2012/03/07/stiglitz-premio-nobel-delleconomia-i-primi-a-lasciare-leuro-ne-usciranno-meglio/