domenica 26 febbraio 2012

Anche Salazar era un sig. Preside, di Gennaro Sangiuliano


La dittatura che risanò il Portogallo, tecnico e duraturo potere forte

Antonio de Oliveira Salazar avrebbe dovuto chiamarsi António Salazar de Oliveira, perché secondo la consuetudine portoghese il cognome è composto da quello della madre, seguito da quello del padre. E il padre dell’economista che diventerà dittatore si chiamava António de Oliveira, ricco amministratore di latifondi a Vimieiro. Un errore dell’anagrafe ne invertì il cognome ma non intaccò la carriera di accademico predestinato a un potere più vasto di quello dell’università. La vulgata storica dominante ha catalogato la vicenda politica di António de Oliveira Salazar sotto il ramo dei fascismi, di quei movimenti politici che, sull’esempio dell’esperienza mussoliniana, si affermarono, sia pur con caratteristiche diverse, negli anni Trenta del Novecento in molti stati europei. Ma, a ben vedere, questa risulta essere una banale semplificazione a cui va contrapposta una più accurata verità. E non solo perché alla fine degli anni Trenta il regime salazariano dichiarerà illegali e reprimerà tutti quei movimenti che si richiamavano apertamente al fascismo italiano o al nazismo tedesco.

Il salazarismo fu una dittatura tecnocratica, nata dai “poteri forti” del Portogallo dell’epoca, le banche e gli agrari, e sedimentata nelle convinzioni di un gruppo di accademici convinti di una certa superiorità. Nel 1917, appena diciottenne, ancor prima di essersi addottorato, il giovane Salazar fu nominato assistente alla cattedra di Scienze economiche dell’Università di Coimbra, ne diventerà titolare un anno dopo dando inizio a una carriera di barone accademico. Sono anni di profonde lacerazioni per il Portogallo in preda a una costante e violenta instabilità politica. Dalla proclamazione della Repubblica (1910), la vita politica è scandita da sanguinosi colpi di stato, da conflitti sociali, dal protagonismo violento dei militari, dalle aspirazioni rivoluzionarie delle sinistre, dal duro anticlericalismo che minaccia le radici cattoliche del paese. Proprio nel 1910, anno di tumulti, fu fondato il Cadc, il Centro Nazionale Accademico, un gruppo di pressione di ambienti universitari che si riunisce nell’antico convento di Santa Chiara a Coimbra.

Il giovane Salazar che è anche un fervente cattolico ne risulta fra i più attivi adepti, insieme a un suo compagno di studi con cui condivide l’alloggio, Gonçalves Cerejeira, futuro cardinale di Lisbona e primate del Portogallo, un’amicizia decisiva per le sorti dell’economista. Il Cadc si dotò anche di una rivista, l’Impartial, titolo eloquente che richiamava la presunta imparzialità del gruppo accademico, sul quale Salazar scrisse i suoi primi articoli di economia firmandosi Alve da Siva. Una delle rare biografie di Salazar tradotta in italiano e scritta da Jacques Ploncard d’Assac lo descrive “alto, dinoccolato, le orecchie grandi, i capelli neri, pettinati con una riga a sinistra, le mani in tasca, la catena dell’orologio che gli sbarrava il panciotto”. Un tipico portamento da uomo dei poteri forti, per metà banchiere, per metà professore.

L’approdo alla politica del professore non avviene dal basso, attraverso il movimentismo che muove in quei decenni i futuri dittatori di destra e di sinistra, non poggia su un partito politico né sulla costruzione di una leadership carismatica. Tantomeno Salazar è un golpista alla Francisco Franco. Il suo ingresso al governo avvenne per cooptazione verticistica, il golpe lo fece fare ad altri, a rozzi generali, Cabeçadas, Gomes da Costa e Carmona, che promossero la cosiddetta “Rivoluzione nazionale del 28 maggio del 1926”, un colpo di stato, che mette fine alla Repubblica e segna l’inizio dell’Estado Novo, formula retorica che altro non è che la Dictadura Nacional destinata a durare fino alla Rivoluzione dei garofani del 1974. I generali golpisti, per darsi una verniciata di presentabilità e non capendo nulla di economia, gli offrirono il dicastero delle Finanze. “Ho ricevuto l’ordine di marcia di presentarmi al ministero delle Finanze ed eccomi”, dichiara ai giornalisti. Anni dopo ricostruirà personalmente la vicenda in una lunga intervista: “Quando scoppiò la rivoluzione del 28 maggio, il comitato militare di Coimbra venne a offrirmi il portafoglio delle Finanze”.

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