domenica 5 febbraio 2012

Buon compleanno all’“Ulisse”, finalmente popolare come lo voleva Joyce, di Antonio Gurrado

Quando la Shakespeare & Co. pubblicò l’“Ulisse”, il 2 febbraio 1922, Joyce gongolava perfido: “Ci ho messo dentro tanti di quegli enigmi che fra cent’anni gli studiosi staranno ancora cercando di risolverli”. Ne sono passati novanta e nel frattempo gli studiosi hanno intasato gli scaffali con tentativi più o meno arditi di sceverare ogni ambiguità del testo in un crescendo di erudizione e costo.

L’agile guida del 1930, scritta da Stuart Gilbert sotto l’occhio vigile di Joyce stesso, costava molto meno del ponderoso “Allusions in Ulysses” del 1968, per tacere della miriade di volumi su specifici aspetti dell’opera il cui prezzo si attesta su quote proibitive. Intanto, nel 1984, il filologo Hans Walter Gabler ha pubblicato l’edizione sinottica dell’“Ulisse” in tre volumi, un pezzo raro; e nel 2011, trascorsi i settant’anni dalla morte, Joyce è stato sottratto alle pastoie del diritto d’autore e l’“Ulisse” è diventato di pubblico dominio. La Newton Compton ha potuto pubblicarne una nuova versione da affiancare alla “traduzione integrale autorizzata” di Giulio De Angelis (Mondadori, 1960).

Possiamo stare certi che Joyce non si starà rivoltando nella tomba per il prezzo stracciato: 9 euro e novanta per 853 pagine. Tanto per fare un raffronto, l’edizione economica dell’“Eleganza del riccio” costa tre euro in più; la stessa Newton, pubblicando la “Recherche” nella stessa collana dell’ “Ulisse”, la fa pagare la bellezza di 24 euro e novanta. Non dipende solo dalla lunghezza del romanzo. Proust non scriveva cercando di intercettare il pubblico popolare; Joyce, nonostante la fama d’incomprensibile, sì. Lo stesso protagonista dell’“Ulisse” ne incarna il target: in libreria Leopold Bloom è attratto dai “caratteri storti e sciatti” delle “Scabrose rivelazioni” di Maria Monk e compra i feuilleton di Paul de Kock. La sua biblioteca comprende discutibili edizioni di Spinoza e Shakespeare, libri divulgativi su Napoleone e l’astronomia, bibbie popolari quali “Forza fisica e come ottenerla”.

Joyce, come nota Terry Eagleton, è esoterico e democratico al contempo; sua moglie, un’ex cameriera, lo venerava ma gli chiedeva: “Perché non scrivi libri che la gente può capire?”. L’edizione Newton risolve quest’apparente contraddizione con una politica editoriale temeraria. Da un lato, il traduttore Enrico Terrinoni dichiara di avere impostato la propria versione non solo sullo svecchiamento del lessico di De Angelis, ma soprattutto sul rispetto “del ritmo, dei suoni e dell’allusività semantica dell’originale”: testo che, tutto costellato di riferimenti alla parlata e alla musica della Dublino d’inizio Novecento, doveva nella sua difficoltà suonare familiare anche a un analfabeta che lo udisse leggere. Dall’altro lato, Terrinoni dà un taglio nettamente politico all’introduzione, seguendo la strada segnata da Declan Kiberd quando curò l’edizione economica dell’“Ulisse” per la Penguin.

Sorvola sul labirinto semantico – ritenendolo non un problema da risolvere ma il divertimento precipuo della lettura – e si concentra sulla portata pacifista e tollerante della trama, dettaglio che può sfuggire a studiosi intenti a cavillare sulla punteggiatura. Joyce, che nel 1927 intitolò una raccolta “Poesie da un penny”, sarebbe felice di scoprire di costare quasi un terzo di Proust; col ruvido senso del paradosso che lo contraddistingueva, potrebbe riformulare la scommessa così: “Ci ho messo dentro tanti di quegli enigmi che fra novant’anni ne stamperanno un’edizione popolare”.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/12161

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