lunedì 20 febbraio 2012

Proclama del re Francesco II delle Due Sicilie quando lasciò Napoli (6 settembre 1860)


"Fra i doveri prescritti ai re, quelli dei giorni di sventura sono i più grandiosi e solenni, ed io intendo di compierli con rassegnazione scevra di debolezza, con animo sereno e fiducioso, quale si addice al discendente di tanti monarchi.
A tale uopo rivolgo ancora una volta la mia voce al popolo di questa metropoli, da cui ora debbo allontanarmi con dolore. Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei stati, nonostante ch'io fossi in pace con tutte le potenze europee. I mutati ordini governativi, la mia adesione ai grandi principi nazionali e italiani non valsero ad allontanarla, che anzi la necessità di difendere l'integrità dello Stato trascinò seco avvenimenti che ho sempre deplorati. Onde io protesto solennemente contro queste inqualificabili ostilità, sulle quali pronunzierà il suo severo giudizio l'età presente e futura. Il corpo diplomatico presente presso la mia persona seppe, fin dal principio di questa inaudita invasione, da quali sentimenti era compreso l'animo mio per tutti i miei popoli, e per questa illustre città, cioè garantirla dalle rovine e dalla guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni d'arte, e tutto quello che forma il patrimonio della sua grandezza, e che appartenendo alle generazioni future è superiore alla passione di un tempo. Questa parola è giunta l'ora di compierla. La guerra si avvicina alle mura della città, e con dolore ineffabile io mi allontano con una parte dell'esercito, trasportandomi là dove la difesa dei miei diritti mi chiama. L'altra parte di esso resta per contribuire, in concorso con l'onorevole Guardia Nazionale, alla inviolabilità ed all'incolumità della capitale, che come un palladio sacro raccomando allo zelo del ministero. E chieggio all'onore e al civismo del sindaco di Napoli e del comandante della stessa guardia cittadina di risparmiare a questa Patria carissima gli orrori dei disordini interni e i disastri della guerra civile; al quale uopo concedo a questi ultimi tutte le necessarie e più estese facoltà. Discendente di una dinastia che per ben 126 anni regnò in queste contrade continentali, dopo averlo salvato dagli orrori in un lungo governo viceregnante, i miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il suo destino, prospero o avverso, serberò sempre per essi forti e amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia Corona non diventi face di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l'ho irrevocabilmente circondato, quello che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi, forti e felici.

Francesco"

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