UN MERCATO OPACO CHE COSTA CARO
Tutti colpevoli, nessun colpevole? Nella commedia delle parti che
ogni volta fa da contorno all'aumento del prezzo della benzina non si
riesce mai a trovare una «pistola fumante». Neppure quando, come ieri,
si arriva al livello record di 1,84 euro al litro. Gli automobilisti se
la prendono con i gestori degli impianti, i benzinai danno la colpa alle
compagnie petrolifere, queste ultime la scaricano sullo Stato e sulle
sue tasse. È ora di spezzare questo circolo vizioso, una rete di
interessi e collusioni che si è storicamente basata sull'assenza di
concorrenza, e che l'Antitrust non riesce a smantellare. Senza vera
competizione è difficile, se non impossibile, che gli italiani possano
pagare prezzi trasparenti, come sarebbe invece loro diritto.
Partiamo subito da una considerazione fattuale: il sistema dei
carburanti che si è trascinato fino a oggi ha fatto comodo a tanti. Da
quella minoranza di gestori che ha approfittato degli esodi estivi e
delle feste comandate per i ritocchi dell'ultima ora, fino alle
compagnie che hanno giostrato con le loro scorte e con i tempi degli
aumenti o delle diminuzioni di prezzo. Anche la mano pubblica ci ha
messo del suo: niente di più facile, per fare cassa, di un semplicissimo
aumento delle ormai famigerate «accise», che insieme all'Iva sono pari
oggi al 60% del prezzo. Comodo, tutto molto comodo e senza impicci: con
qualche bilanciamento ad hoc per placare gli autotrasportatori, a
sopportare il peso saranno solo «semplici» cittadini silenti.
Ma c'è un modo per introdurre l'antivirus della concorrenza in un
corpo ormai assuefatto alle reciproche convenienze? Fino a ieri i
benzinai hanno preferito rimanere per la stragrande maggioranza sotto il
rassicurante ombrello dei grandi marchi (e dei 5 centesimi al litro
garantiti) piuttosto che affrontare il rischio di diventare piccoli
imprenditori. Le compagnie petrolifere si sono ispirate ai modelli del
Nord Europa (meno impianti, più grandi, tanto self service) ma si sono
guardate bene dall'allentare la presa sulla distribuzione.
Il governo Monti, con il decreto sulle liberalizzazioni, pare
aver trovato la chiave per valicare questo «muro di gomma»
anticoncorrenziale, disponendo in linea di principio che i gestori
possano acquistare liberamente, e al prezzo più conveniente, il
carburante all'ingrosso, e non solo dal marchio a cui sono legati da un
vincolo di esclusiva (per ora lo potranno fare solo i pochi che sono già
proprietari degli impianti e solo per il 50% del loro erogato).
Separare gli interessi delle compagnie da quelli dei gestori è un passo
nella direzione giusta. Ma il difficile è mettere in competizione tra
loro le compagnie petrolifere e fare in modo che si facciano concorrenza
vera per vendere benzina e gasolio al sistema distributivo. Le
«sorelle» del petrolio, grandi e piccole che siano, sono attive dal
pozzo alla pompa di benzina. Spesso lavorano insieme, con profonde
collusioni nel sistema dei depositi, e lungo questa catena decidono di
spostare i margini dove fa loro più comodo. Magari in Paesi fiscalmente
più favorevoli. Qualcuno, nel recente passato, ha proposto l'idea di un
mercato all'ingrosso dei carburanti. Di una sorta di Borsa (come quella
elettrica) dove le compagnie farebbero le loro offerte di prezzo sotto
il controllo di un'autorità pubblica e indipendente. Discutibile, certo.
Ma lì, quanto meno, la trasparenza sarebbe assicurata.
http://www.corriere.it/editoriali/12_febbraio_01/scandalo-benzina-agnoli_23ba0070-4c9b-11e1-8838-1be80b480ae6.shtml
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