La pellicola con Meryl Streep mette in scena la statista in declino e malata. Ma le sfuggono la grandezza e la generosità di Maggie
Il film The Iron Lady ce la mette tutta per
raccontarci una Margaret Thatcher rattrappita dall’età e dal dolore,
simbolo della triste caducità dell’ambizione. Ma non ce la fa.
Perché la “Signora di Ferro” non era un robot che una narrazione impietosa potesse e dovesse riaccompagnare nei più angusti limiti dell’umano. C’è il meglio di noi in questa donna, e riaffiora nel ritratto di celluloide che ne fa un’impeccabile Meryl Streep. Era imperfetta e egoista come noialtri: ma tutti i difetti dell’ego bulimico di un capo ammaliato dai riflettori si riscattavano in un super-io d’acciaio.
Il senso non del film, ma della sua carriera politica e della sua
vita sta tutto in un paio di frasi, nostalgiche, appese nell’aria ma con
radici profonde come quelle di una quercia. «Ora vogliono tutti
“diventare qualcuno”. Noi volevamo fare qualcosa». La regista Phillida
Lloyd non è una fine esegeta del conservatorismo thatcheriano. Ma
esistono figure, i grandi leader sempre, in cui è sottile il confine tra
ciò che si crede e ciò che si è. Credeva che solo nella libertà e nella
competizione donne e uomini potessero dare il meglio e trovare se
stessi. Diede il meglio, e trovò il futuro di una nazione.
«Carattere» è la prima parola che viene alla mente quando si pensa a
Margaret Thatcher. Il thatcherismo fu prima ancora che una prassi di
governo, una visione della società. Per Shirley Letwin, il thatcherismo
era la dottrina delle «virtù vigorose». L’individuo che il thatcherismo
vuole mettere al centro del mondo «ha la schiena dritta, è
indipendente, avventuroso, energetico, un libero pensatore, è leale
verso gli amici, e tetragono verso i nemici». È un personaggio
vittoriano, sottratto all’immaginario e restituito alla realtà nella
vita vissuta degli umili.
Ci sono alcune scene, nella biopic che esce venerdì anche in Italia, che
dicono tutto di Margaret Thatcher. Sono quelle in cui la giovane
Alexandra Roach ne incarna l’impegno per conquistare un seggio in
Parlamento. Era accesa dal desiderio di dare rappresentanza a una
«nazione di bottegai». I papaveri del partito la guardavano dall’alto in
basso. Lei seppe parlare a chi cercava nel successo non una
gratificazionesociale ma la conferma della bontà del proprio lavoro.
La giovane Margaret combatte la spocchia di un partito di uomini,
sorretta dalla tenera complicità dell’alleato più fedele, Dennis
Thatcher.
The Iron Lady è una storia d’amore. È il racconto
dell’infinita devozione di due anime diverse: lei divorata dal bisogno
di dare un senso alla vita, lui perso della sua leonessa.
Uomo ironico, imprenditore di successo, Dennis seppe stare sempre un passo dietro la scena. Ci furono giorni migliori e giorni peggiori.
Uomo ironico, imprenditore di successo, Dennis seppe stare sempre un passo dietro la scena. Ci furono giorni migliori e giorni peggiori.
Il film ne dà conto, così come allude alla vita scapestrata dei due
figli, Carol e Mark, rincretiniti di troppo amore da una madre
assente. Ma chi scrive ricorda DT e MT, pochi mesi prima della morte di
Dennis, su una terrazza alla Camera dei Lords nell’ennesima comparsata
celebrativa, tenersi per mano come sposini.
Il messaggio di The Iron Lady non è che
anche«il-primo-capo-digoverno- donna-della-storia-dell’Occidente » era,
dopotutto, umana. Magari quella era l’intenzione. Se però il film lo
guardate con occhi sinceri, scoprirete che c’è qualcosa di infinitamente
più sorprendente, e più commovente,dell’umanità di un capo. Si può
essere umani, dannatamente umani, irrimediabilmente umani, e sfidare
ogni giorno la forza di gravità.
Margaret Thatcher era ed è una moralista. È convinta che esista il bene e esista il male, sa che il secondo è più seducente del primo. Conosce il sapore acre degli errori: ne ha commessi tanti. Ma è la sua granitica convinzione che una donna oppure un uomo possono, contro tutti e il destino, prendere in mano le briglie della propria vita, che ne ha fatto un grande primo ministro, e una ruggente liberista.
Margaret Thatcher era ed è una moralista. È convinta che esista il bene e esista il male, sa che il secondo è più seducente del primo. Conosce il sapore acre degli errori: ne ha commessi tanti. Ma è la sua granitica convinzione che una donna oppure un uomo possono, contro tutti e il destino, prendere in mano le briglie della propria vita, che ne ha fatto un grande primo ministro, e una ruggente liberista.
Libertà e responsabilità sono la stessa cosa. Salvò un Paese che
stava precipitando in una spirale di declino, restituendogli l’una e
l’altra.
Una scena cruciale nel film è quella in cui il premier rifiuta
le lusinghe keynesiane dei suoi ministri, rinunciatari innanzi agli
scioperi e alle proteste. La medicina è amara ma è giusta: andiamo
avanti coi tagli alla spesa pubblica. Il risparmio è una virtù, non lo è
la spesa allegra.
«Ci odieranno oggi ma ci ringrazieranno per generazioni - e guai a
voi, cari colleghi, se tutto ciò cui pensate è la rielezione ». Era il
buon senso della figlia di un droghiere. Fu la salvezza
dell’Inghilterra.
http://www.ilgiornale.it/cultura/la_thatcher_che_salvo_nazione__il_film_leader_britannica_vuole_umanizzare_troppo_personaggio/24-01-2012/articolo-id=568515-page=0-comments=1