RITORNO AL SISTEMA PROPORZIONALE?
Adesso che la sentenza della Corte costituzionale ha aperto
un’autostrada di fronte a coloro che sono interessati a chiudere la
stagione maggioritaria iniziata nei primi anni Novanta e a reintrodurre
la proporzionale comunque camuffata, diventa tempo di bilanci. Che cosa
resta di positivo di quella stagione? Due cose. La legge sulla elezione
diretta dei sindaci. E il fatto che gli italiani, sia pure per poco,
hanno potuto sperimentare ciò che non avevano mai conosciuto ai tempi
della Prima Repubblica e che è la regola in altre democrazie: primi
ministri e governi scelti tramite un confronto elettorale aperto fra
forze politiche contrapposte anziché tramite giochi parlamentari
post-elettorali.
Il sistema non ha funzionato bene? Forse, ma occorre tempo (a
volte, qualche generazione) perché le innovazioni vengano davvero
assimilate, diventino parte della tradizione politica di un Paese e
possano dare il meglio di sé. Non si è concesso alla rivoluzione
maggioritaria il tempo necessario perché fosse assimilata. Soprattutto,
non si è verificato ciò che i riformatori degli anni Novanta speravano:
non c’è stato l’effetto- trascinamento allora auspicato. Non sono
seguite (tranne nel caso dei governi locali) quelle trasformazioni
istituzionali che avrebbero dovuto accompagnare il cambiamento della
legge elettorale: non sono stati toccati i rapporti fra presidenza della
Repubblica, governo e Parlamento, e i rispettivi poteri. Abbiamo così
accoppiato—provocando gravi disfunzioni — una legge maggioritaria (che
carica di una fortissima legittimazione, e di pari aspettative, i
governi così eletti) a relazioni fra le suddette tre istituzioni rimaste
invariate, più adatte all’epoca precedente, quando i governi, nati da
accordi parlamentari, avevano legittimazione debole e precaria.
Ma, si dice, il vero difetto stava nel fatto che con il
maggioritario si formavano coalizioni eterogenee e rissose, con grave
danno per la governabilità. Approfondiamo questo aspetto. In tutte le
democrazie difficili (come è stata e continuerà ad essere la nostra)
esistono molti estremisti, persone alla perenne ricerca di una leva per
«rovesciare il tavolo ». Ne consegue che nelle democrazie difficili sarà
sempre molto nutrito il numero di rappresentanti parlamentari degli
estremisti. Che cosa deve farci la democrazia con questi rappresentanti?
Nella logica maggioritaria li include, in quella proporzionale li
esclude. I proporzionalisti propongono di tornare a un sistema nel quale
i rappresentanti degli estremisti siano esclusi dalle combinazioni di
governo. La proporzionale, a differenza del maggioritario, lo consente.
A prima vista, sembra ragionevole. Ma c’è un problema. Poiché gli
estremisti sono tanti, ne consegue che i partiti moderati non
disporranno mai dei numeri necessari per alternarsi al governo, per
formare coalizioni elettorali in grado di conquistare la maggioranza dei
seggi. Risultato: l’esclusione permanente dei partiti estremisti
determina l’impossibilità di alternanze per vie elettorali. Sbarrata
quella possibilità, non resta che la formazione dei governi tramite
accordi parlamentari tra partiti moderati.
In concreto, significa che qualche partito sarà al governo
sempre, quali che siano i risultati delle elezioni, nonché le sue
performance governative. E significa che i governi che si formano
(attraverso un gioco di inclusioni ed esclusioni dell’una o l’altra
frazione moderata) saranno governi a debole legittimazione, privi di
quel valore aggiunto che dà a un premier e al suo governo la vittoria
elettorale. Inoltre, poiché la punizione degli elettori può essere
elusa, i governi avranno vita breve (non ci saranno mai governi di
legislatura), continuamente destabilizzati dalle ambizioni personali di
questo o quel politico, o gruppo, provvisoriamente escluso dal governo.
Così è stato nella Quarta Repubblica francese (1946-1958). Così è stato
in Italia (dopo i governi della ricostruzione) fino al 1993. Così è
sempre nelle democrazie difficili, gravate da un eccesso di estremisti.
Oltre a una perenne debolezza e instabilità degli esecutivi, con
la proporzionale c’è l’inconveniente che i partiti estremisti, sciolti
dai vincoli delle coalizioni di governo, dispongono della libertà di
manovra necessaria per mietere buoni raccolti elettorali.
Invece, nella logica maggioritaria applicata alle democrazie
difficili, gli estremisti vengono inclusi. La ratio è: fanno meno danni
se sono dentro. Nelle coalizioni che la logica maggioritaria impone, i
partiti estremisti possono essere controllati e, entro certi limiti,
responsabilizzati. E non dispongono di sufficiente spazio di manovra per
strappare troppi consensi ai moderati. Si può anche sperare che col
tempo i bollori si spengano, che molta più gente, grazie al fatto che
gli estremisti non sono troppo liberi di spararle grosse, si stanchi di
loro scoprendo le virtù della moderazione. Non è sicuro che accada. Ma,
almeno, in regime di maggioritario, una speranza c’è. Con la
proporzionale, invece, tale possibilità è esclusa. Si tratta di un
perfetto brodo di coltura per estremisti liberi dalle costrizioni del
governo, l’ambiente più adatto per fare crescere opposizioni
irresponsabili.
Ai tempi della proporzionale, esistevano in Italia grandi partiti
con un forte insediamento sociale. A differenza di altri, chi scrive
non ne è mai stato un estimatore. Resta che quei partiti assicuravano
una certa coesione sociale. Come si potrebbe evitare, con il ritorno
alla proporzionale, un effetto marmellata, una condizione permanente di
confusione e di precarietà, posto che quei partiti radicati di un tempo
non sono più ricostituibili? Il futuro sarebbe scritto: instabilità,
governi deboli e precari, ampi spazi per opposizioni irresponsabili.
Varrà la pena di pensarci se e quando (come sembrano indicare i
propositi che la politica sta manifestando) si metterà mano alla riforma
elettorale.
http://www.corriere.it/editoriali/12_gennaio_19/proporzionale-nostalgie-fuori-luogo-panebianco_d1734f18-4247-11e1-9408-1d8705f8e70e.shtml
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