LAVORO, TROPPI TIMORI
Con le consultazioni avviate dal ministro Fornero, la partita sul
mercato del lavoro sta entrando nel vivo. Sinistra e sindacati hanno
levato gli scudi a difesa dell'articolo 18. Per ora, dunque, la
discussione riguarda essenzialmente il cosiddetto contratto unico o
«prevalente» (che dovrebbe sostituire la pletora di contratti atipici) e
gli ammortizzatori sociali.
Precarietà e scarse tutele contro la disoccupazione sono problemi
molto seri, che creano crescente disagio sociale. Su entrambi i fronti
le soluzioni non possono che essere di tipo «difensivo»: ciò che serve è
infatti maggiore protezione. L'agenda delle riforme non può però
esaurirsi con questo tipo di misure. Occorrono anche provvedimenti di tipo «espansivo», capaci di stimolare l'occupazione.
In Italia mancano i posti di lavoro. Non è solo colpa della
crisi, il problema ha radici strutturali. I nostri tassi di occupazione
sono fra i più bassi d'Europa: rispetto alla Gran Bretagna (che ha la
stessa popolazione dell'Italia) abbiamo quasi sette milioni di occupati
in meno, soprattutto donne. La via maestra per creare lavoro è
ovviamente la crescita. Ma attenzione: la struttura del mercato
occupazionale è a sua volta un fattore di crescita. Se ci sono troppe
strozzature, i posti di lavoro non arrivano neppure quando l'economia si
espande. Le riforme possibili sono tante, ma la più promettente è una
drastica semplificazione delle norme. Agli imprenditori stranieri il
diritto del lavoro italiano appare come un indecifrabile mosaico
bizantino, privo di certezze interpretative e applicative. Il risultato è
che abbiamo pochissimi investimenti esteri e così rinunciamo a
centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.
C'è poi la riforma dei servizi per l'impiego. Mancano programmi
efficienti di reinserimento e riqualificazione dei disoccupati,
soprattutto i più anziani. Chi è in cerca di lavoro è abbandonato a se
stesso, mentre ai beneficiari di sussidi non viene chiesta alcuna
contropartita. Scuola e università non parlano con le imprese, che a
loro volta non sanno valorizzare le competenze di diplomati e laureati.
Abbiamo un enorme deficit di occupazione nel terziario: se non
incentiviamo l'economia dei servizi è impensabile raggiungere i livelli
d'impiego di Francia o Gran Bretagna.
Le parti sociali possono far molto, anche sul piano bilaterale.
Ma sulle questioni decisive occorre l'iniziativa del governo. Ciò vale
soprattutto per la semplificazione. La proposta Ichino sul nuovo Codice
del lavoro costituisce un'ottima base da cui partire. La questione della
flessibilità in uscita potrebbe anche essere accantonata e affrontata,
per il momento, con sperimentazioni volontarie.
Sul mercato del lavoro dal governo Monti ci aspettiamo non un
compromesso al ribasso, ma un progetto ambizioso che combini l'obiettivo
dell'equità protettiva con quello dell'efficienza regolativa e
organizzativa. E ci auguriamo che, al momento buono, sinistra e
sindacati sappiano mostrare disponibilità e lungimiranza: non solo sul
primo, ma anche sul secondo obiettivo.
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