Il trionfatore
in Sud Carolina si ispira al grande presidente anni '80: "Incarno i
valori profondi dell’America". Il suo successo cambia tutto: la corsa
per la nomination sarà lunga
Scommettete zero euro su come andrà a finire la campagna per le
primarie del partito repubblicano americano. Tutto aperto, tutto
incerto, tutto fluido. La vittoria in South Carolina di Newt Gingrich
mette in discussione ogni potenziale certezza.
Ronald Reagan in una foto dell'87
Ora può vincere lui, può vincere Romney, può persino vincere qualcun altro. Niente azzardi, niente previsioni. Se un euro qualcuno lo volesse giocare, invece, allora che lo scommetta su che cosa farà adesso Gingrich: cercherà di trasmettere all’America, alla sua America, l’idea del nuovo Reagan. Lui, sì. Così si pone, così si sente: vede un Paese che ha bisogno di tornare a quegli ideali incarnati da The Gipper.
Alla fine dell’ultimo dibattito stravinto in South
Carolina ha detto: «Se ho vinto non è perché sono un good debater. Ma
perché esprimo i valori profondi del popolo americano. Sono pronto a
scontrarmi con Obama per dimostrare che è lui l’estremista». Coma a
dire: io sono l’americano, lui no; io sono quello autentico, lui no; io
sono quello occidentale, lui no. È l’omaggio aggiornato all’ideale di
un’America leader del mondo dell’era reaganiana, quella capace di
battere l’Unione Sovietica e il comunismo. A quell’epoca, Gingrich si
ispira anche nei dettagli simbolici: la festa dopo la vittoria in South
Carolina è stata accompagnata da Born in the Usa di Bruce Springsteen,
considerato un manifesto dell’America anni Ottanta: quella di Rocky e di
Rambo, quella dei noi siamo i buoni e gli altri sono i cattivi.
Gingrich guarda lì, a un passato da aggiornare: attacca la Cina e il
suo strapotere sul debito pubblico americano. Dice che con lui alla Casa
Bianca cambierebbe tutto. Il 40 per cento ottenuto in South Carolina è
il punto di partenza di una nuova strategia: dopo la vittoria ha lodato
Romney, Santorum e Paul, cioè tutti i rivali in queste primarie. Un modo
per presentarsi come un duro sì, ma ecumenico, uno quindi in grado di
conciliare eventualmente le istanze dell’elettorato più conservatore, ma
anche quelle dei gruppi più moderati che tifano Romney. L’ex speaker
della Camera sa che la sfida sarà lunga. L’ha voluto lui: è la sua
vittoria a cambiare gli equilibri e ad allungare la corsa. Adesso si va
in Florida, dove teoricamente è favorito Romney, ma dove a questo punto i
giochi si riaprono: i 15 punti medi di vantaggio nei sondaggi dell’ex
governatore del Massachusetts diventano molto relativi. Anche in South
Carolina c’era questo margine e la situazione s’è ribaltata in quattro
giorni. Da qui al voto di Tampa, Miami, Orlando e Tallahassee c’è più di
una settimana perciò è davvero come se si ripartisse da zero. Pronti,
partenza, via: all’inizio delle primarie sembrava che la tappa in
Florida sarebbe stata il potenziale traguardo, ora invece è il
contrario. Sarà una corsa lunga: lo dicono gli staff dei candidati, lo
dice lo stratega del bushismo Karl Rove, lo dicono i giornali che
detestano Gingrich, ma che in queste ore ne hanno riconosciuto sia la
capacità di recuperare da un inizio di primarie non esaltante, sia di
sfruttare gli errori di Romney. Perché questa è un’altra chiave: il
vincitore in New Hampshire è clamorosamente caduto sulla storia delle
tasse al 15 per cento e del conto segreto nel paradiso fiscale delle
Cayman. Un peccato troppo grande che adesso lo costringe a rincorrere
Gingrich e a dimostrare di non avere nulla da nascondere. Ieri Romney ha
annunciato che pubblicherà i suoi redditi on line. La ricchezza è la
debolezza dell’ex governatore del Massachusetts, così come l’infedeltà e
la movimentata vita sentimentale sono quella dell’ex speaker della
Camera. Gingrich, però, è più abile a rimbalzare le accuse: è più
aggressivo, è più pronto, è più abituato. Ha lottato di più nella vita e
in politica. Semmai ha il problema opposto, Newt: l’aggressività e il
carattere lo portano a esagerare. Quando sente odore di vittoria rischia
di strafare, di sentirsi già al traguardo. Non è questo il caso. Non ora. Lui, come l’avversario principale,
sa che si andrà per le lunghe, sa che ci vorrà tempo, ci vorrà
pazienza. C’è qualcuno che intravede anche la possibilità che si arrivi
alla convention di settembre senza un vincitore e che la nomination si
decida lì con un accordo dietro le quinte, con un inciucio di palazzo
fatto fuori dal palazzo. Difficile, ma possibile, certo. In America può
succedere tutto.
http://www.ilgiornale.it/esteri/gingrich_vuol_fare_nuovo_reagan_vincere_primarie-maratona/23-01-2012/articolo-id=568332-page=0-comments=1
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