Sono dalla parte dei giovani che si ribellano al potere oligarchico
delle storiche pubblicazioni scientifiche - per dirla semplicemente,
nessuna scoperta è vera se non appare su Nature , Science , o The New England Journal of Medicine - e reclamano una «Open Science», una scienza aperta a chi, per età e cultura, non può far parte di quella oligarchia.
Negli anni passati ho avuto il privilegio di avere quasi una decina di lavori pubblicati sul New England Journal of Medicine e non vorrei sembrare irriconoscente. Ma i tempi sono cambiati. Per sua natura, la scienza è «aperta», ma ciò che dobbiamo migliorare è l’accesso al suo mondo. Per questo, già cinque anni fa ho avviato in Europa una campagna a favore dell’Open Access to Science.
Il problema del difficile ingresso dei giovani nelle carriere della ricerca è mondiale ed è certamente legato alla scarsità di investimenti globali, ma ha cause profonde anche nell’organizzazione stessa del mondo scientifico. Fra queste figura senza dubbio la comunicazione delle nuove scoperte e i risultati degli studi, prima all’interno della comunità scientifica mondiale e poi alla società civile, che giustamente attende di conoscere questi nuovi traguardi.
Proprio lavorando molto in mezzo ai giovani ricercatori mi sono reso conto di almeno tre ragioni di insoddisfazione nei confronti dell’attuale sistema di informazione in scienza. La prima è il tempo troppo lungo che intercorre fra risultati di un lavoro e la loro pubblicazione. Prima che una nuova ricerca appaia su una rivista scientifica bisogna aspettare mesi per sapere se verrà pubblicato oppure no; poi l’articolo che la descrive va corretto, e altri mesi o un anno intero possono ancora passare prima della effettiva pubblicazione. Questo ritardo operativo si traduce in un ritardo nella disseminazione delle conoscenze, che può a sua volta comportare un ritardo nel progresso scientifico. La seconda ragione è la scarsa disponibilità di informazioni in tutti gli angoli del Pianeta, che va contro il principio galileiano dell’universalità della scienza. Gli alti costi delle riviste scientifiche limitano la loro distribuzione nei Paesi emergenti. La terza ragione è che i commenti o le critiche a un lavoro pubblicato su una rivista appaiono mesi dopo, e così le risposte degli autori: il processo che dovrebbe essere di «botta e risposta» può durare un anno, e in un mondo che è ormai abituato ai tempi di reazione di Twitter, questo non è più accettabile. Oggi dunque non c’è alternativa al web per la diffusione delle informazioni scientifiche, come succede per il resto delle comunicazioni. Ci sono progetti, come quello di Negroponte, che disegnano un futuro in cui ogni cittadino della Terra avrà accesso a un computer. Il mondo già si orienta verso questo scenario. Se tutti questi computer avranno accesso a un network, la disseminazione dell’informazione scientifica sarà garantita e i giornali cartacei rischierebbero di diventare un ricordo.
Noi ci siamo mossi in questa direzione creando la prima pubblicazione scientifica oncologica on-line che abbiamo chiamato «ecancermedicalscience».
Sulla nostra rivista i lavori sono esaminati immediatamente e l’accettazione o il rifiuto viene reso noto nel giro di una settimana; i commenti appaiono in diretta; l’accesso alla rivista è gratuito e la partecipazione alla discussione è gratuita. E’ un giornale aperto agli autori e aperto ai lettori. «Ecancer» sta avendo molto successo. Certo, è un modello scomodo da seguire, perché comporta lo scardinamento dei pilastri dell’autorevolezza scientifica. Ma vorrei rassicurare i giovani «ribelli»: l’open access alla scienza è un obiettivo che può solo essere ostacolato o ritardato, ma non può essere evitato. La rivoluzione del web ha fatto del nostro Pianeta un mondo globale, in grado di ascoltare anche la voce del singolo individuo da ogni angolo remoto: non c’è via di ritorno e la scienza non può che cogliere il lato positivo di questa nuova straordinaria realtà.
Negli anni passati ho avuto il privilegio di avere quasi una decina di lavori pubblicati sul New England Journal of Medicine e non vorrei sembrare irriconoscente. Ma i tempi sono cambiati. Per sua natura, la scienza è «aperta», ma ciò che dobbiamo migliorare è l’accesso al suo mondo. Per questo, già cinque anni fa ho avviato in Europa una campagna a favore dell’Open Access to Science.
Il problema del difficile ingresso dei giovani nelle carriere della ricerca è mondiale ed è certamente legato alla scarsità di investimenti globali, ma ha cause profonde anche nell’organizzazione stessa del mondo scientifico. Fra queste figura senza dubbio la comunicazione delle nuove scoperte e i risultati degli studi, prima all’interno della comunità scientifica mondiale e poi alla società civile, che giustamente attende di conoscere questi nuovi traguardi.
Proprio lavorando molto in mezzo ai giovani ricercatori mi sono reso conto di almeno tre ragioni di insoddisfazione nei confronti dell’attuale sistema di informazione in scienza. La prima è il tempo troppo lungo che intercorre fra risultati di un lavoro e la loro pubblicazione. Prima che una nuova ricerca appaia su una rivista scientifica bisogna aspettare mesi per sapere se verrà pubblicato oppure no; poi l’articolo che la descrive va corretto, e altri mesi o un anno intero possono ancora passare prima della effettiva pubblicazione. Questo ritardo operativo si traduce in un ritardo nella disseminazione delle conoscenze, che può a sua volta comportare un ritardo nel progresso scientifico. La seconda ragione è la scarsa disponibilità di informazioni in tutti gli angoli del Pianeta, che va contro il principio galileiano dell’universalità della scienza. Gli alti costi delle riviste scientifiche limitano la loro distribuzione nei Paesi emergenti. La terza ragione è che i commenti o le critiche a un lavoro pubblicato su una rivista appaiono mesi dopo, e così le risposte degli autori: il processo che dovrebbe essere di «botta e risposta» può durare un anno, e in un mondo che è ormai abituato ai tempi di reazione di Twitter, questo non è più accettabile. Oggi dunque non c’è alternativa al web per la diffusione delle informazioni scientifiche, come succede per il resto delle comunicazioni. Ci sono progetti, come quello di Negroponte, che disegnano un futuro in cui ogni cittadino della Terra avrà accesso a un computer. Il mondo già si orienta verso questo scenario. Se tutti questi computer avranno accesso a un network, la disseminazione dell’informazione scientifica sarà garantita e i giornali cartacei rischierebbero di diventare un ricordo.
Noi ci siamo mossi in questa direzione creando la prima pubblicazione scientifica oncologica on-line che abbiamo chiamato «ecancermedicalscience».
Sulla nostra rivista i lavori sono esaminati immediatamente e l’accettazione o il rifiuto viene reso noto nel giro di una settimana; i commenti appaiono in diretta; l’accesso alla rivista è gratuito e la partecipazione alla discussione è gratuita. E’ un giornale aperto agli autori e aperto ai lettori. «Ecancer» sta avendo molto successo. Certo, è un modello scomodo da seguire, perché comporta lo scardinamento dei pilastri dell’autorevolezza scientifica. Ma vorrei rassicurare i giovani «ribelli»: l’open access alla scienza è un obiettivo che può solo essere ostacolato o ritardato, ma non può essere evitato. La rivoluzione del web ha fatto del nostro Pianeta un mondo globale, in grado di ascoltare anche la voce del singolo individuo da ogni angolo remoto: non c’è via di ritorno e la scienza non può che cogliere il lato positivo di questa nuova straordinaria realtà.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9659
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